Le bufale purtroppo sono come le mode, e gli indinniati sono le fashion victim della bufala: basta che un evento riporti in moda un determinato filone di bufale, e tutti si affolleranno a diffondere quelle dello stesso tema, così, per essere una moda.
In questo periodo le notizie su Israele fanno cronaca, e se l’informazione ha dalla sua le notizie, la controinformazione non può che ritirare fuori vecchie bufale.
Ci chiedono i nostri contatti conto di un portale che avrebbe “dimostrato che il Diario di Anna Frank è un falso”.
Leggendolo abbiamo scoperto che tale blog, che non riporteremo in integrale per non fornire visibilità, altro non ha fatto che ridiffondere le fake news relative all’Olocausto del negazionista Faurisson, già da noi sottoposto a rigido fact checking in passato.
Eppure, vi assicuriamo di aver avuto gente in casella di posta decisa ad insistere perché il vostro articolo parlava dell’Olocausto, non è questo, questo parla del Diario di Anna Frank.
Ed è su questo fenomeno che contano i bufalari per riviralizzare le loro creazioni: basta stralciare pezzi di bufala ancora utilizzabili e giocarseli come una storia a se stante per ingannare il pubblico.
Quindi, torneremo sul negazionismo quel tanto che basta per smontare pezzo per pezzo le ciniche affermazioni, melange di vari negazionismi confluiti nella critica citata, ripescato per i giorni nostri
Davvero? Questa sarebbe una prova? A noi pare una domanda da studentello svogliato, ed il destino della povera Anna fu suffragato da numerose ricerche e testimonianze dirette.
Lo scopo dei campi di sterminio, come è noto a tutti, non era provvedere all’esecuzione immediata dei prigionieri (cosa che avrebbe potuto essere messa in atto in ogni momento dall’arresto in poi) ma provvedere al completo e sistematico annientamento dei prigionieri, procurandosi manodopera a costo zero, “materiale umano” per esperimenti di varia natura e ridurre il maggior numero di individui in stato di prostrazione prima della fine.
Ci chiediamo seriamente come si possa arrivare nel XXImo secolo senza aver non dico aperto un libro di storia, ma almeno un testo di Primo Levi.
Valutazione aleatoria e del tutto falsificata. Si basa su una definizione di stile del tutto arbitraria, della quale dibatteremo inoltre nel prossimo punto.
Otto Frank non era un filologo, un editore professionista o un esperto storiografo. Era un padre di famiglia che aveva subito una lunga serie di lutti ed era preso tra il desiderio di mantenere viva la memoria di sua figlia e la necessità di garantire ai pensieri che riteneva essere i più intimi e reconditi, quelli che, da padre, sapeva che la figlia non avrebbe mai voluto dati in pasto ad estranei, anche se per una nobile ragione. Come ricorda Luzzatto
Oggi, lungi da riconoscere in Otto Frank (come vorrebbero Robert Faurisson e gli spargitori di odio antisemita sul web) il malizioso artefice di una truffa politico-letteraria, i lettori dell’edizione critica dei Diari hanno ragione di riconoscere in lui un interprete meraviglioso dei manoscritti originali. Fu infatti con grandissima sensibilità che il padre intervenne sui testi della figlia: da un lato, raccogliendo, o anche allargando il velo di discrezione che Anne aveva deciso di stendere sopra i conflitti con la madre e la sorella; dall’altro lato, restituendo un’esistenza a ragionamenti, passioni, desideri che Anne aveva deciso di sacrificare per motivi di opportunità, perché sperava così di vedersi più facilmente pubblicata dopo la fine della guerra. – Fu grazie al lavoro di Otto che nei Paesi Bassi nel 1947, e poi là nel mondo dove il Diario uscì in traduzione, milioni di lettori poterono incontrare un’Anne Frank ancora viva e palpitante, ricomposta sulla pagina a partire dai due testi cui si era consegnata. […] In altri termini, fu grazie al collage non dichiarato della versione A con la versione B che la figura di Anne Frank poté emergere, nella versione C, in tutta la sua umanità di ragazza insieme normale ed eccezionale. Il libro-simbolo della Shoah era nato dalle mani di un padre amoroso, non da quelle di un rigoroso filologo
L’attuale Diario di Anna Frank in vendita è il frutto consapevole di tre stratificazioni.
Abbiamo infatti la versione A, il Diario così come Anna Frank lo redasse inizialmente negli anni del Nascondiglio Segreto.
Dal 28 marzo 1944 Anna Frank, come descritto nel Diario stesso, udì da Radio Orange un appello al popolo Olandese per conservare traccia scritta del periodo dell’occupazione tedesca in modo da documentare le atrocità del regime. Anna Frank decise, con l’impulsività tipica di una ragazzina, che il suo Diario sarebbe stata una testimonianza quasi perfetta, e cominciò a scriverlo in doppia copia: proseguendo la versione A ed aggiungendo una versione B, la quale conteneva anche gli eventi dell’anno passato ritrascritti.
Con le cognizioni sulla pubblicazione e l’editoria tipiche di un ragazzino, Anna Frank pensò che se il suo diario sarebbe un giorno diventato un vero e proprio documento storico avrebbe dovuto usare uno stile più curato, quindi ricorresse alcuni brani e costruzioni collazionando gli eventi del 1943 con le conoscenze e competenze linguistiche della Anna del 1944, e decise che avrebbe dovuto usare degli pseudonimi e dei soprannomi per gli altri suoi compagni di sventura cosa che, in un ipotetico futuro, le avrebbe evitato la necessità di riraccogliere i loro consensi o pseudonimizzare tutti coloro che si fossero opposti alla narrazione delle loro storie. Ciò divenne il Manoscritto B, mutilo del periodo dal 30 marzo in poi (essendo il manoscritto B la bella copia del manoscritto A semplicemente non ebbe il tempo e non le fu consentito proseguire la sua opera) ma compreso di alcune parti andate distrutte del Manoscritto A.
Il Manoscritto C, in tutto questo è il tentativo di Otto Frank di portare a compimento la fatica letteraria di Anna nel manoscritto B, ma contemporaneamente rimuovere alcuni elementi che, da padre, riteneva una Anna alla quale fosse stato consentito di sopravvivere avrebbe ritenuto sconvenienti ed infantili, o semplicemente inadatti al fine didascalico, come critiche sulla madre e osservazioni sulla sessualità e sul ruolo della donna.
L’edizione pubblicata nel 1946 da Contact fu ulteriormente censurata tagliando altri passaggi legati a momenti intimi della ragazza (scompare la parola mestruazioni) e ulteriormente ritoccando la prosa (ma non gli eventi narrati), rendendo ogni critica riguardo lo stile che non è da ragazzina la boutade di qualcuno a digiuno delle nozioni necessarie o l’opera in malafede di un negazionista.
Brilla in negativo tra le traduzioni del testo la prima traduzione in lingua tedesca del 1954, secondo Valentina Pisanty fortemente manomessa allo scopo di rendere ideologicamente accettabile il diario per un pubblico tedesco (cosa che rende ogni critica basata sulla traduzione tedesca degli anni ’50 rigettabile a priori).
Solo negli anni ’90, grazie all’opera di Mirjam Pressler, il vasto pubblico europeo ha potuto godere di una versione definitiva del Diario, basata sul Manoscritto C, ma con tutte le parti arbitrariamente (ma in buona fede) rimosse da Otto Frank e dagli editori reintegrate dai Manoscritti B ed A, restituendo quindi l’immagine definitiva del Diario come Anna avrebbe voluto fosse consegnato alla memoria storica dopo aver udito l’appello Orangista in quel fatidico marzo del 1944.
Scusate, non vi abbiamo appena detto che Anna Frank ha cominciato a considerare il suo diario una testimonianza storica solo a partire dal 1944? Lo vedete che non ascoltate?
Aridaje! E allora ditelo che volete farvi ragione a colpi di falsità e tappandovi le orecchie. Se vi abbiamo detto che Anna introdusse i soprannomi nel Manoscritto B per non ritrovarsi, da adulta nel caso fosse sopravvissuta, nell’imbarazzante situazione di doversi barcamenare con le reazioni degli interpreti della storia e che la relazione con Peter è stata dapprima oggetto della revisione letteraria di una ragazzina comprensibilmente imbarazzata e poi di un padre che (a questo punto a ragione) temeva lo scrutinio del gelido e a tratti crudele popolo dei commentatori improvvisati (senza poter immaginare un futuro in cui questi avrebbero invaso il Web), perché continuate a ripetervi?
E questa come sarebbe una critica? No, dico, se mi dite, e cito testuale dal blog
É d’uopo osservare che i Frank non furono né “gasati” né “assassinati”, ma morirono di malattia, come migliaia di altri Tedeschi
Questo come proverebbe la falsità del Diario? Fate pace con la mente: o Anna Frank non esiste, oppure esiste ma vi dà fastidio l’esistenza del suo diario.
Ripetiamo, sull’esistenza dell’Olocausto abbiamo interi articoli su questo portale: il fatto che il Diario sia coerente con le trasmissioni radiofoniche udite da Anna Frank e riportate con precisione databile, dovrebbe provare la correttezza del diario, non la sua falsità.
Questo punto dell’incomprensibilmente lungo cahier de doleances diventa quindi un completo autogol.
Quella ampiamente sconfessata già nel 2003?
Oppure quella, oggetto come altre simili critiche, di
una causa civile nel dicembre 1993, per proibire la distribuzione del libello di Faurisson nei Paesi Bassi. Il 9 dicembre 1998, la Corte Distrettuale di Amsterdam sentenziò a favore dei richiedenti, vietando ogni futura negazione dell’autenticità del diario nonché la distribuzione sul territorio nazionale di pubblicazioni che ne affermassero la falsità, imponendo inoltre una sanzione di 25000 fiorini olandesi per ogni eventuale futura violazione di tale sentenza
Perché lo usavano in orari e quando tutti erano andati via dall’ufficio? (sarcasmo)
Quale parte di non dovevano fare silenzio per 24 ore su 24 non è chiara?
Sapete cosa altro si vede? Luci e sagome di persone dalle finestre
Perché avevano i surrogati
Infatti è andato tutto malissimo, e la decisione di Otto Frank non ha portato salvezza alla sua famiglia. In guerra si prendono decisioni difficili. A volte errate.
Abbiamo scritti di Anna Frank ulteriori rispetto al diario. La scrittura e lo stile coincidono: stacce.
Sostanzialmente, seguendo i link che vi abbiamo forniti di prove dell’esistenza storica del Diario di Anna Frank ce ne sono un sacco ed una sporta.
Sufficienti per smentire tutte le fonti improvvisate del mondo.
E, comunque, specialmente alla luce della recrudescenza delle bufale sull’Olocausto, ci teniamo a ricordarvi che pur non essendovi (ancora) nel nostro ordinamento uno specifico reato di Negazionismo tale fattispecie è ampiamente coperta dalla Legge Mancino, nella misura in cui
la propaganda all’odio razziale o il pubblico incitamento alla discriminazione o alla violenza si fondano sulla negazione della Shoah, dei crimini di genocidio e di quelli contro l’umanità e di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello Statuto della corte penale internazionale
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