BUFALA E DISINFORMAZIONE Allucinante: il Parlamento approva la legge per controllare i nostri profili Facebook!

Torna in auge una bufala nata addirittura nel 2010, stavolta dal sito di Il Fatto Dal Web:

Controllati arbitrariamente dalla POLIZIA POSTALE, senza alcun mandato della magistratura!!! La notizia ovviamente è passata coperta dall’assoluto silenzio delle TV ma è stata divulgata dall’Espresso: LEGGETE E DIFFONDETE AL MASSIMO!!! La gente ha diritto di sapere!!!

E’ grottesco che mentre la maggioranza di governo si impegna da mesi per rendere più difficili le intercettazioni telefoniche richieste da magistrati, il ministero degli Interni si arroghi il diritto di intercettare i nostri dialoghi via Facebook senza alcun mandato della magistratura”

Il patto tra Facebook e il Viminale è un attentato ai diritti dei cittadini digitali. E la prova che gli utenti non possono essere spettatori passivi in un rapporto diretto tra le corporation di Internet e i governi locali

Nel nostro Paese abbiamo assistito negli ultimi anni a un’escalation di norme e di proposte di legge per rendere l’accesso a Internet sempre più difficile, controllato, burocratizzato.

Proprio in questi giorni, ad esempio, l’Agcom sta valutando come rendere operativa l’odiosa normativa sui video on line scritta da Paolo RoMani, con probabile pesante tassazione per chiunque abbia un sito su cui voglia caricare del materiale che «faccia concorrenza alla tv».

Contemporaneamente sui giornali della destra si è scatenata la consueta ‘caccia all’internauta’ che avviene dopo ogni gesto di violenza politica, in questo caso l’aggressione romana a Daniele Capezzone: nel dicembre scorso era stato il gesto di Massimo Tartaglia a Milano a far delirare i vari Schifani e Carlucci in proposito, ottenendo l’effetto immediato di far prorogare per un altro anno le norme medievali e tutte italiane sul Wi-Fi (a proposito: l’altro giorno Maroni ha promesso di “superare” il decreto Pisanu, e tuttavia il rischio è che si vada verso la sostituzione dell’identificazione cartacea con quella via sms, insomma anni luce lontani dalla navigazione libera).

Ma quello che denuncia Giorgio Florian nel suo articolo è molto più grave, forse il più pesante attentato mai realizzato in Italia contro i diritti dei “netizen”, i cittadini della Rete.

Il patto con cui la Polizia Postale italiana si è fatta concedere da Facebook il diritto di entrare arbitrariamente nei profili degli oltre 15 milioni italiani iscritti a Facebook, senza un mandato della magistratura e senza avvertire l’internauta che si sta spiando in casa sua, è di fatto un controllo digitale di tipo cinese che viola i più elementari diritti dei cittadini che dialogano utilizzando il social network: insomma, stiamo parlando di una vera e propria perquisizione, espletata con la violenza digitale del più forte.

Aspettiamo quindi urgenti chiarimenti dalla Polizia Postale e dal ministero degli Interni, da cui dipende. E non basta certamente una smentita rituale, perché le notizie pubblicate nell’articolo di Florian provengono da fonti certe e affidabili.

Da un punto di vista politico, inoltre, la cosa è davvero grottesca: mentre la maggioranza di governo si impegna da mesi per rendere più difficili le intercettazioni telefoniche richieste dai magistrati, contemporaneamente il ministero degli Interni si arroga il diritto di intercettare i nostri contenuti e i nostri dialoghi su Facebook senza alcun mandato della magistratura. Viene il sospetto che questa differenza di trattamento sia dovuta al fatto che i politici, i potenti e i mafiosi non comunicano tra loro sui social network, e quindi il loro diritto alla privacy venga considerato molto più intoccabile rispetto a quello dei normali cittadini che invece abitano la Rete.

Allo stesso modo, aspettiamo chiarimenti urgenti sul secondo socio del ‘patto cinese’ firmato a Palo Alto: Facebook, che da un po’ di tempo ha aperto uffici in Italia con tanto di responsabili e dirigenti.

Per prima cosa, Facebook ha l’obbligo di rendere pubblico l’accordo firmato con il nostro Ministero degli Interni, perché riguarda tutti noi, cittadini italiani e al contempo cittadini di Facebook. A cui quindi i vertici del social network devono non solo immediate scuse, ma garanzie precise che questo patto diventi al più presto carta straccia e che i diritti degli utenti vengano concretamente ripristinati e garantiti.

Il social network fondato da Zuckerberg, si sa, è uno straordinario strumento di socializzazione, di promozione di cause sociali e potenzialmente di crescita e confronto di tutta una società. Ma si va manifestando ultimamente anche come una dittatura in cui le pagine e i gruppi vengono bannati in modo in modo arbitrario e insindacabile: e adesso come un informatore di polizia di cui non ci si può più in alcun modo fidare.

Più in generale, quanto accaduto dimostra che i mondi virtuali di cui oggi siamo cittadini (inclusi YouTube, Google, Second Life etc) devono iniziare a rispondere in modo trasparente ai loro utenti. E gli accordi privati con i governi sono esattamente all’opposto di questa trasparenza.

IL SITO SI DISSOCIA DA OGNI RESPONSABILITA’ NON SAPENDO SE LA FONTE SIA ATTENDIBILE

CHIUNQUE AFFERMI IL CONTRARIO NE RISPONDERA’ DI CIO’ CHE AFFERMA

La fonte citata è Italiano sveglia, che però già a fine articolo (archive.is) segnala:

Noi ne avevamo già parlato qui BUFALA Il parlamento approva la legge per controllare i nostri profili un anno fa. L’articolo de L’Espresso citato risale addirittura al 2010, dal titolo La polizia ci spia su Facebook, in cui non si fa il minimo accenno al Parlamento italiano.
Successivamente, sempre L’Espresso pubblica la smentita della Polizia Postale e la replica della testata: Polizia su Facebook, smentita e replica.

(ANSA) – ROMA, 28 OTT – La polizia “non può accedere ai profili degli utenti di Facebook, se non dopo un’autorizzazione del magistrato e con l’utilizzo di una rogatoria internazionale”. Lo precisa il direttore della polizia postale e delle comunicazioni, Antonio Apruzzese, in riferimento all’articolo che sarà pubblicato domani dall’Espresso. “Si tratta di un equivoco” afferma Apruzzese, che poi spiega: “Alcune settimane fa sono venuti i responsabili di Facebook in Italia, in seguito ad una serie di contatti che abbiamo avuto nei mesi passati con l’obiettivo di capire come funziona la loro macchina”.

Nel corso dell’incontro, i responsabili dell’azienda di Palo Alto hanno fornito alla polizia postale – che le ha a sua volta inoltrate a tutte le forze di polizia italiane – le ‘linee guida’ per gestire tutto ciò che richiede l’intervento della polizia giudiziaria. “Ci hanno spiegato le loro procedure d’intervento – dice ancora Apruzzese – e si tratta di procedure che non ci consentono in alcun modo di accedere ai profili”. Dunque nessuna possibilità di spiare gli utenti. “Noi – prosegue il direttore della polizia Postale – svolgiamo quotidianamente un’attività di monitoraggio della rete, che è la stessa che fanno i colleghi in strada con le volanti. Non abbiamo la possibilità di entrare nei domicili informatici né nelle caselle postali degli utenti internet, senza autorizzazione della magistratura”. Una cosa che tra l’altro, conclude Apruzzese, “non ci passa neanche per la testa, visto che sarebbe un reato e non sarebbe utilizzabile come fonte di prova”. (ANSA).

Riprendendo l’articolo che stiamo trattando citiamo nuovamente questo passaggio:

Il patto con cui la Polizia Postale italiana si è fatta concedere da Facebook il diritto di entrare arbitrariamente nei profili degli oltre 15 milioni italiani iscritti a Facebook, senza un mandato della magistratura e senza avvertire l’internauta che si sta spiando in casa sua, è di fatto un controllo digitale di tipo cinese che viola i più elementari diritti dei cittadini che dialogano utilizzando il social network: insomma, stiamo parlando di una vera e propria perquisizione, espletata con la violenza digitale del più forte.

Eppure questa era solo la possibilità di cui L’Espresso parlava, che invece specificava che fino a quel momento si doveva procedere mediante l’autorizzazione della magistratura:

Un investigatore milanese rivela a “L’espresso” che, grazie alle autorizzazioni della magistratura, da tempo ottiene dai responsabili di Facebook Italia di visualizzare centinaia di profili riservati di altrettanti utenti, riuscendo persino ad avere accesso ai contenuti delle chat andando indietro nel tempo fino ad un anno.

Nel 2015 il presidente dell’autorità garante per la protezione dei dati personali, Antonello Soro, in un’intervista riportata sul sito Garante privacy parlava dei rischi dei social, che non vengono mai negati:

Abbiamo chiesto a Antonello Soro se esistono delle disposizioni sulla privacy dei messaggi nelle chat. Abbiamo la certezza che i dipendenti che gestiscono i server delle chat non possano leggere?

“È il punto di maggiore vulnerabilità. Quello delle misure di sicurezza che i titolari devono adottare per garantire la protezione dei nostri dati da accessi abusivi e utilizzazioni illegittime è uno dei profili cui annettiamo la massima importanza. Ovviamente il contenuto dei messaggi deve restare, anche sulle chat, inaccessibile ai terzi, cioè a chiunque non sia il destinatario. Gli stessi operatori che gestiscono i server delle chat non devono potervi accedere, dovendo limitarsi a svolgere le attività strettamente necessarie a garantire la funzionalità del sistema, delle quali siano stati espressamente incaricati”.

E come state agendo di concerto con il gruppo dei Garanti europei?

“La nostra Autorità ha contribuito all’elaborazione di un parere adottato dai Garanti europei, sull’uso delle app. La recente sentenza della Corte di giustizia sulla sicurezza dei dati trasferiti negli Usa, anche per social come Facebook, e la posizione assunta, proprio giovedì scorso, dall’organo di coordinamento dei Garanti europei, dimostrano come si possa impedire che norme meno garantiste quali quelle americane prevalgano sul diritto fondamentale della privacy. Quindi, in caso di modalità di gestione dei social, anche in Paesi non europei, che vìolino il diritto alla privacy dei cittadini europei, questi ultimi potrebbero richiedere tutela secondo la disciplina Ue, attraverso le Autorità di protezione dati”

Ma per il momento, azioni simili sono illegali. Per finire, ricordiamo che l’art. 15 della Costituzione sancisce:

La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili.

La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria [cfr. art. 111 c. 1] con le garanzie stabilite dalla legge.

Dato che le chat di Facebook sono considerate corrispondenza privata, una legge che dovesse muoversi in questo senso (cioè l’accesso ai contenuti privati senza il previo passaggio della magistratura) sarebbe anticostituzionale. Solo un magistrato può decidere se esistono i presupposti per effettuare delle intercettazioni.

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