Ci segnalano i nostri contatti il seguente articolo, targato VoxNews, che esprime delle critiche piuttosto radicali sull’operato della Lega Italiana per la Lotta ai Tumori (LILT), importante organismo di beneficenza. Riporta infatti l’articolo
Un corso di cucina, con esperti nutrizionisti che spiegano quali sono gli ingredienti che aiutano a prevenire il cancro, organizzato dalla Lilt (Lega italiana per la lotta contro i tumori) di Milano sia nel Capoluogo che a Sesto San Giovanni. Bello, direte voi: peccato, sia riservato alle donne islamiche.
Il progetto della Lilt – ovviamente a spese dei contribuenti – si intitola «Prevenire per nutrire il cambiamento» e ha come obiettivo la prevenzione sulla tavola degli immigrati. Non sia mai che abbiano a soffrire per le loro abitudini culinarie.
E non basta, visto che il ciclo di incontri di cucina sono stati e saranno rivolti a donne cinesi, filippine, peruviane e arabe. A Sesto la nutrizionista Alessandra Borgo ha illustrato alle partecipanti le proprietà dei singoli ingredienti, indicando quali alimenti siano salutari e quali meno. Il prossimo appuntamento, a fine novembre, sarà a Milano con la comunità peruviana. Le italiane? Che si arrangino.
Antonio Lamiranda, consigliere comunale di Fratelli d’Italia a Sesto San Giovanni, non ha gradito l’iniziativa: «Dopo il corso di piscina adesso anche un corso di cucina gratuito solo per donne arabo-islamiche? Ancora un caso di razzismo e discriminazione sul territorio di Sesto. Il tutto in barba al Sindaco Chittò: ne sa nulla? Ancora una volta un capannone è usato in modo improprio, per cucinare cibo. L’asl è stata informata? E i vigili del fuoco? Sono state prese tutte le misure di prevenzione antincendio? Chiedo l’intervento di Comune, asl e dei vigili, per sapere se l’iniziativa ha tutte le autorizzazioni. Altrimenti, sarò costretto a informare la Procura e, per protesta, organizzerò una grigliata di carne di maiale davanti alla sede della comunità islamica».
Peccato che la Rassegna Stampa, riportata proprio sulla pagina riporti tutt’altro.
Partiamo dalla Pagina Evento creata allo scopo, che è molto chiara nella descrizione:
Parte a fine novembre, e termina a marzo 2015, “Prevenire per nutrire il cambiamento”, un progetto di sensibilizzazione alla sana alimentazione con cui la nostra sezione sarà presente a Expo 2015 nei mesi di maggio e ottobre.
Il progetto coinvolgerà le donne delle le maggiori comunità di migranti di Milano volendo estendere a tutta la popolazione, senza discriminazione di etnia e provenienza, la cultura della sana alimentazione come strumento di prevenzione oncologica.
Il progetto si sviluppa attraverso una serie di laboratori pratici di cucina tradizionale dei paesi di origine delle donne, con la presenza di medici, nutrizionisti, cuoco di origine e mediatore culturale. Ad oggi le comunità coinvolte sono le seguenti: filippina, peruviana, araba e cinese.
Grazie al sostegno dei supermercati U2, alle donne partecipanti verrà consegnata una shopper di prodotti alimentari salutari e un buono spesa.
La partecipazione agli incontri è gratuita ed aperta alle sole donne migranti.
Aggiungiamo ora le note stampa indicate nella stessa pagina utente, tra cui spicca un testo del portale online “NuovaSesto” (oltre che scansioni della stampa locale che vi consigliamo di leggere per curiosità ed arricchimento personale)
È un dato certo che le abitudini alimentari sane possono contribuire alla prevenzione del cancro ed è proprio per aumentare la sensibilizzazione riguardo a questo importante argomento che sono stati messi in cantiere incontri, tra novembre e marzo, di cucina rivolti alle donne delle etnie presenti sul territorio: cinesi, filippine, latinoamericane ed arabe.
Ogni incontro avrà la supervisione di un un cuoco professionista del paese di origine delle donne coinvolte,di un mediatore linguistico e culturale e di una nutrizionista, con il compito di illustrare alle partecipanti le proprietà nutritive dei singoli ingredienti scelti, indicando quali siano salutari e quali meno;
Sarà cucinato un piatto tipico della cucina tradizionale delle “allieve”. Come sarà pure in un viaggio alla riscoperta dei sapori salutari e tradizionali della loro cucina, limitando il consumo del “cibo spazzatura” che sta sostituendo un’alimentazione equilibrata e corretta.
Ogni gruppo di donne prenderà parte a quattro incontri, realizzando quindi quattro ricette.
A rompere il ghiaccio sono state le donne arabe hanno cucinato un cous cous vegetariano.
Il progetto risulta ancora più importante in considerazione del fatto che, secondo l’Associazione Italiana registro tumori, negli anni è stato testato un importante aumento dell’incidenza dei tumori tra le popolazioni migranti italiane; dato è confermato anche dalla Lilt Milano, che ha registrato un aumento significativo del numero di persone straniere che hanno richiesto i servizi dell’Associazione, richieste che nella maggior parte dei casi hanno riguardato i sussidi economici per i malati di tumore
In primo luogo è evidente la presenza di una sponsorizzazione dei supermercati che hanno fornito i buoni ed i prodotti in omaggio, quindi limitando il denaro fornito dagli ubiqui “contribuenti” alla fornitura di… non ci è chiaro esattamente cosa, dato che il corso si è tenuto nei locali del Centro Islamico, già presente al momento dell’iniziativa (e del quale, peraltro, non dubitiamo sia perfettamente in regola con quanto necessario: la LILT non è certo un’organizzazione “nuova” nel settore, avendo un’esperienza di diverse decadi nell’organizzazione di eventi), alla presenza di medici e personale della LILT.
In secondo luogo è evidente che si tratti non di un corso di cucina etnica, ma di laboratori pratici dove le donne, assistite dai medici della LILT e dal mediatore culturale, si offrivano l’una con l’altra le specialità culinarie del loro paese, vedendosi “corrette” in eventuali abitudini non salutari dal personale medico presente.
In terzo luogo, volendo per forza cercare di “dare un prezzo alla vita umana”, come se investire sulla salute del migrante fosse uno spreco di risorse, la LILT ha dimostrato come con un minimo investitmento in prevenzione si possa dovente ridurre gli ingenti costi, sia economici che umani, dovuti all’incremento delle patologie oncologiche nella popolazione migrante. Una riduzione dei costi dal volto umano: se abbandonare un malato al proprio destino è cosa crudele, cosa nobile e giusta invece è fare in modo che questi non si ammali affatto.
In quarto luogo, la partecipazione della LILT all’Expo, anche postulando un costo minimo dell’iniziativa, sarà ben idonea a ripagarlo del tutto, portando quanto appreso nell’importante iniziativa prossima ventura del Comune di Milano, contribuendo ad attrarre pubblico ed avventori.
Non possiamo che domandarci infine, volendo per forza inserire cuoche italiane nell’iniziativa, quali specialità “etniche” avrebbero potuto recare ad un’iniziativa legata al rapporto tra cucina etnica e salute.
Inoltre torna la teoria della “coperta corta”, evidenziata in nostri brani come “BUFALA Immigrati in hotel di lusso, Italiani homeless a Siena“.
Il fatto che la LILT abbia deciso di organizzare nei locali del Centro Islamico, con l’aiuto del Mediatore Culturale e del personale medico un’iniziativa conviviale aperta ai migranti allo scopo di valutare la loro cucina e fornire consigli non nega l’opera che quotidianamente la LILT svolge in favore dei cittadini Italiani.
Riteniamo che sarebbe offensivo anche solo postulare che la LILT abbia mai, nella sua ormai quasi secolare carriera, principiata nel lontano 1922, trascurato anche solo un malato in favore di un altro, spingendo il bisognoso di cure ad “arrangiarsi”.
Con quattro campagne nazionali aperte ed un fitto calendario, tra cui recentissime una Raccolta di Fondi per un progetto di assistenza ai bambini malati di tumore ed il “giocoso” Movemeber, il “Novembre dei baffi” creato per combattere la grave piaga del tumore alla prostata, il fatto che la LILT abbia guardato per una volta al mondo degli Immigrati, sovente emarginato e le cui tradizioni culinarie diverse aggiungono un ulteriore aggravio all’analisi di un regime alimentare da parte della medicina di base, aggiungendo un briciolo di culture shock all’importanza del compito, non comporta che la minima risorsa sia stata detratta alla cura dei pazienti oncologici “nazionali”.
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