Avrete letto questa notizia più volte, ed in mille salse, sui social e sulla stampa negli ultimi giorni: secondo il giornalista di Forbes Joe Tassi, i terroristi di Parigi avrebbero usato il PSN (PlayStation Network), ovvero la “rete” che connette tutti i videogiocatori “incalliti” della console per comunicare e mandarsi spunti sugli attentati, ipotizzando che gli stessi potrebbero infiltrarsi nelle chat di vari videogiochi, inserendo messaggi negli “editor di livello” (ovvero programmi per creare livelli customizzati dagli utenti) o direttamente chattare amabilmente di attentati col pretesto di giocare a complessi giochi di guerra.
Come già i veri giocatori tra voi potranno notare, il tutto è aleatorio e solamente ipotetico: un terrorista invero non sceglierebbe mai un sistema, come il PSN, che se inizialmente chiede solo indirizzo email, data di nascita e paese di provenienza, di fatto non esclude controllo console su cui lo userai (quindi con indicazione dei dati del sistema da cui ti connetti, utili, ad esempio, per il ban di console modificate), richiederà per simulare un uso “reale” l’aggiunta di una carta di credito valida per acquisire e tenere aggiornati i giochi che, asseirtamente, i terroristi userebbero come frontend per le loro comunicazioni e, soprattutto, renderebbe possibili tragicomici fraintendimenti più degni di un film per famiglie che non di una spy story.
Immaginate il terrorista che, ottenuta una copia di Destiny, Call of Duty o Assassin’s Creed o altri giochi del genere action li usi per simulare comunicazioni di guerra apparentemente relative a quei giochi ma di fatto legate alla verità.
Come potrebbe il terrorista che si finge un ragazzino che organizza raid virtuali evitare che invece il ragazzino che invece si finge possente soldato non si intrometta in una discussione pubblica, consigliando ad esempio al terrorista che vuole organizzare un raid a Parigi di comprare i nuovi capitoli della saga di Assassin’s Creed, non più ambientati nella capitale Francese, in quanto i vecchi capitoli sono ormai superati e resi obsoleti da giochi più moderni?
La soluzione è semplice: persino lo scrittore di sci-fi distopica Cory Doctorow, nel suo romanzo Little Brother aveva sì ipotizzato una rete di giovani ribelli adolescenti critici verso il Patriot Act statunitense ed inclini a discuterne aspramente, desiderosi di provare il loro governo nel falso usando una rete di console videoludiche (nel caso del romanzo di C. Doctorow, delle Xbox), ma il ragazzo a capo della sommossa viene mostrato consigliare ai suoi “seguaci” di installare nelle console una versione del tutto immaginaria di Linux, chiamata “Paranoid Linux”, in grado di non lasciare tracce sui server dei gestori del servizio (mentre nel seguito del romanzo compare invece la versione per cellulare Paranoid Android, installata dallo stesso personaggio sul suo cellulare per gli stessi motivi).
Il motivo è semplice: pensate a quanto detto da Edward Snowden, e da noi disaminato qui allo scopo di evitare allarmismi. Allo scopo di produrre un servizio migliore e tutelarsi dagli abusi i principali gestori di servizio, sono in grado di identificare parte dell’attività videoludica degli utenti, usandola per rendere loro un servizio migliore.
Tornando al PlayStationNetwork, diviene facile scoprire come attività quale l’elenco dei programmi usati, il software acquistato ed i salvataggi dei videogames vengono salvati in remoto: allo scopo, ad esempio, di tenere sincronizzata l’attività su più console, o di reinstallare giochi dopo la sostituzione di una unità danneggiata, oppure per salvare i “trofei”, ovvero i progressi di gioco rendendoli leggibili anche da PC o dalle altre console (fisse o portatili) in possesso dell’utente.
Usare la chat dei videogiochi per pianificare attentati pertanto ha lo stesso senso di usare Whatsapp o direttamente telefonare ad un “collega” terrorista: non impedisce la tracciabilità, non rende tutto più anonimo di un semplice “messaggino” e, anzi, mette tutto alla mercé proprio di una delle multinazionali cardine dell’Occidente che i terroristi vorrebbero asseritamente combattere.
Come per Facebook, anche il PSN ha una serie di attività di cui settare la privacy che, per forza di cose, vengono “loggate”, ovvero registrate sui server: pertanto, l’ipotetico terrorista che decida di usare il PSN per le sue comunicazioni avrebbe le stesse possibilità di riuscita creando un account su Facebook con la privacy settata a “soli amici” e sperare di non essere mai indagato. Minime.
Infatti, esattamente come per il famoso social network di Zuckemberg, la facoltà per gli utenti del PSN di settare impostazioni di privacy e limitare la visione dei propri contenuti a particolari gruppi di amici non comporta l’utilizzo arbitrario del servizio stesso. Difatti i vertici del servizio hanno recentemente dichiarato:
“PlayStation 4 consente la comunicazione tra amici e altri giocatori e, in comune con tutti i dispositivi moderni, ha il potenziale di poter essere abusata. Tuttavia, prendiamo le nostre responsabilità per proteggere i nostri utenti molto seriamente e invitiamo i nostri utenti o partner a segnalare le attività che possono essere sospette, offensive o illegali. Quando vengono segnalate, prendiamo sempre misure appropriate in collaborazione con le autorità competenti e continueremo a farlo.”
Lo stesso Tassi ha poi fortemente ridimensionato la portata del suo articolo, circostanza rilevata in Italia da Giornalettismo, ma troppo tardi per evitare di dare il la ad una sarabanda di permutazioni quasi memetiche della notizia, dove i terroristi in grado di riunirsi nelle chat dei videogames pianificando attentati tra un raid nelle galassie di Destiny ed una partita a Super Mario, tra un tuffo nel passato con i personaggi storici di Assassin’s Creed ed una partita a FIFA e PES dal sapore di una puntata di Holly&Benji diventano una forza oscura che corrompe i giovani proponendogli di “iscriversi ai terroristi” (come nello sketch telefonico del defunto bidello Mario Magnotta) promuovendosi mediante spam nelle chat dei videogiochi come imbonitori del mondo virtuale.
In sintesi nessuna console videoludica è stata trovata in possesso dei terroristi del recente attentato di Parigi, e né lo stato attuale delle tecnologie comporta una particolare efficacia dell’uso delle stesse rispetto agli esistenti mezzi di comunicazione.
Ulteriorimente riassumendo, risulta evidentemente incomprensibile il postulare che un terrorista utilizzi come mezzo di comunicazione e proselitisimo uno strumento con le stesse funzionalità, criticità e modalità di uso di Facebook e di ogni altro social, se non esacerbate dalla dispersione insita in una piattaforma destinata ad un pubblico di giocatori videoludici.
Un eventuale messaggio legato ad un attentato avrebbe, come si è visto, le stesse possibilità di cadere in un uditorio sbagliato, ovvero essere segnalato, archiviato ed inoltrato direttamente dai moderatori alle autorità giudiziarie competenti di un messaggio sui social network “convenzionali”.
Potrete dunque stare tranquilli: non sarà certo un “terrorista” conosciuto giocando a GTA a corrompere i vostri figli.
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