Ci segnalano questo articolo pubblicato sul sito Direttanfo.blogspot.com che titola:
“Aragoste, spiaggia privata e..”. L’ex hostess sputtana Alitalia: come si è suicidata la compagnia”
Già provando a condividere l’articolo su Facebook notiamo che il nostro add-on (che vi consigliamo di scaricare qui) ci segnala che siamo di fronte ad un sito che contiene bufale.
Il blog Direttanfo.blogspot.com è infatti presente nella nostra black list. L’articolo riporta come fonte LiberoQuotidiano.it ed è in effetti in copia e incolla di questo articolo.
Siamo davanti ad un tentativo di clickbait: è sufficiente leggere l’articolo per capire che il titolo non rispecchia il contenuto. Quando si parala di aragoste e di spiagge private, si gioca sul filo dell’equivoco.
Nel testo, che è un copia e incolla a catena da vari siti, non avviene alcuno “sputtanamento” di Alitalia, bensì compare solamente una serie di ricordi di una fantomatica hostess anonima.
Analizziamo insieme il testo:
giovedì 27 aprile 2017
“Aragoste, spiaggia privata e..”. L’ex hostess sputtana Alitalia: come si è suicidata la compagnia
Il male di Alitalia? Viene da lontano, molto lontano. E se prima vi abbiamo dato conto della testimonianza di un pilota su (recenti) maxi-buonuscite e sperperi da record, ora arriva il racconto di Lucia, una vecchia hostess della compagnia che, appunto, dimostra come la compagnia di bandiera abbia fatto tutto il possibile per fallire.
Vicina ai settant’anni, a Il Giornale spiega che “sì, mi fa malinconia vedere Alitalia fare questa fine. Ma con un po’ di distacco emotivo – sottolinea – dico anche che non poteva reggere.
Era chiaro da tempo che sarebbe finita così. Io sui suoi aeroplani ho vissuto due anni fantastici. Ma quello stile non poteva durare. Troppo champagne, troppe aragoste, troppi benefit”.
Non è chiaro a chi fossero destinati i “troppi champagne” e le “troppe aragoste”. Questo elenco messo in un virgolettato termina con “troppi benefit”, lasciando intendere che le cose citate fossero destinate al personale di volo, ma potrebbe riferirsi anche ai clienti della prima classe.
Questo concetto nel resto dell’articolo non si chiarisce e si continua a giocare sul equivoco.
Il racconto di Lucia si riferisce alla fine degli anni ’70, quelli del boom economico, dove Alitalia si permetteva lussi insensati, sia per i passeggeri sia per i dipendenti.
Una politica di cui lo sfacelo attuale è una conseguenza diretta. Racconta la signora: “Vita impegnativa, certo. Faticosa, anche, soprattutto sul lungo raggio, per via del fuso orario, dopo un po’ non capivo più se per il mio corpo era giorno o notte. Ma sull’altro piatto della bilancia c’era uno stipendio che faceva di me, tra tutti i miei coetanei, una privilegiata. E un sacco di altri vantaggi che spesso erano ancora più consistenti dello stipendio”.
Quale tipo di vantaggi? Presto detto: “La diaria di missione era così ricca che non riuscivamo a spenderne neanche un terzo, eravamo già spesati di tutto, mangiavamo a bordo, la diaria ce la mettevamo in tasca. O gli alberghi. Credo che Alitalia si facesse una questione di immagine di non scendere sotto al cinque stelle. A Milano ci faceva dormire al Gallia, che all’epoca era uno degli alberghi più lussuosi della città; d’estate, quando c’ era il volo su Rimini, si dormiva al Grand Hotel, quello di Fellini.
Ma il bello era quando si andava all’estero”.
Già, perché Lucia confessa che “le mete preferite per noi personale di bordo erano quelle sudamericane, soprattutto di inverno, quando lì è estate. Prima di ripartire per l’Italia avevamo diritto a quattro o cinque giorni di pausa, praticamente una vacanza tutta spesata. Se atterravamo a Caracas venivamo ospitati in un albergo indimenticabile, con la piscina e la spiaggia privata, non oso immaginare quanto costasse.
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