Bill Gates acquista Telegram è uno degli incubi dei complottisti, che vedono in Bill Gates stesso l’incarnazione di una sorta di “legione del male”.
Partiamo come al solito dalle basi per i più pigri: Telegram appartiene a Pavel Durov, che ne è il proprietario. Non Bill Gates, Pavel Durov lo è.
E inoltre, anche il riferimento alla causa del 1998 è decisamente esasperato, trasformando una soccombenza parziale in una soccombenza totale e caricandone il significato in modo da poterlo sfruttare come fonte.
Un video nel quale la parola Telegram neppure viene usata, e che non contiene la scena contenuta nel meme. Un falso.
Ma andiamo con ordine.
E questo è il messaggio che ci è stato esibito
Il testo dichiara
Bill Gates ha appena comprato Telegram per poter mantenere il controllo su cosa l’informazione può dire, pensare o su cosa può ricercare. Possiede più terra negli USA di ogni altro.
Questo è l’uomo che è stato condannato per aver monopolizzato il mercato dei browser internet nel 1998. Un video che tutti devono vedere per capire.
Ora, perché il possesso di terra dovrebbe rendere Bill Gates una minaccia non è chiaro.
Stiamo parlando del cattivone che vuole vaccinarci tutti anche se il Patriota Q non vuole, oppure del cattivo dei film Western coi baffoni, il cappello a pagnotta che sghinazzando compra tutta la terra impedendo ai poveri allevatori di crescere le loro pecorelle?
A parte questa piccola idosincrasia, come già evidenziato e confermato a Reuters dallo stesso ufficio stampa di Durov, Pavel Durov non intende cedere Telegram nel prossimo futuro.
E la screen è tratta da una puntata del telegiornale con un sottopancia contro gli effetti deleteri della cosiddetta “Cancel Culture”.
La bufala circola ininterrottamente ormai da mesi.
Ricorderete tutti Internet Explorer 4.0, il primo browser integrato col sistema operativo. Parte integrante delle versioni più aggiornate di Windows 95 e del successivo Windows 98.
Il problema sostanzialmente era tutto qui: in un periodo in cui il mercato dei browser era sostanzialmente aperto, ovvero l’utente medio, ove interessato ad Internet, avrebbe dovuto procurarsi il suo browser di fiducia, la mossa di Microsoft letteralmente rischiava di mettere la concorrenza fuori mercato.
Non solo Internet Explorer era già lì in attesa di utenti, integrato col sistema operativo al punto dal consentirti di avere finestre “permanenti” sul Desktop (il cosiddetto “Active Desktop”), ma l’utente medio non aveva alcuno stimolo o necessità di cercare altro.
Alla fine, la Commissione per il Commercio (FTC) mollò il colpo, ma il Dipartimento di Giustizia andò avanti.
Microsoft rischiò la soccombenza totale, che avrebbe significato smembrare la compagnia per eliminare la sua posizione di monopolio.
Un appello dopo, la sentenza di primo grado fu superata e Microsoft pervenne ad un accordo.
Fu riconosciuta una posizione di monopolio di fatto, ma tutti gli utenti dell’epoca ricordarono la soluzione.
Gradualmente, l’integrazione di Internet Explorer e Windows fu ridotta, e gli aggiornamenti successivi integrarono un sistema che guidava l’utente nella scelta dei diversi browser disponibili sul mercato, invitandoli ad una scelta consapevole.
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