C’è stato un tempo lontano in cui giocare su un computer era un’esperienza molto diversa da oggi. Non c’erano schede audio, i chip o le schede video erano progrettate intorno ad un monitor concepito come l’evoluzione di una telescrivente, e senza mouse e joystick non andavi lontano.
Ma con la fantasia potevi fare l’impossibile, e con l’aiuto di soluzioni tecniche modernissime nonostante la loro età potevi assicurarti di avere lo stesso identico gioco su decine e decine di piattaforme.
Stiamo parlando di porting crossplatform tra PC, Playstation, Xbox e Switch? No, stiamo parlando di Zork, celeberrima saga nata nel 1977 su un PDP-10 e diffusa come una moda incendiaria su tutti i computer degli anni ’80 e tutt’ora fruibile su qualsiasi cosa abbia un monitor ed una tastiera (anche virtuale). Anzi, qualsiasi cosa abbia un output testuale: una telescrivente è più che accettabile.
Zork non è affatto il primo gioco di avventura testuale della storia. Il record appartiene a “Colossal Cave Adventure” del 1976, ed entrambi hanno un antenato assai più celebre, la saga di Dungeon&Dragons.
Il set originale di Dungeon&Dragons del 1974 era infatti un’unica fusione dei romanzi fantasy dell’epoca (con una infarinatura di Tolkien, non per passione di Gygax ma per riconoscimento della passione che molti giocatori avevano per esso), con elementi della saga di Elric di Melniboné (evidenti nella divisione dei personaggi in “Legale”, “Neutrale” e “Caotico”, “buoni” e “cattivi” a seconda della loro attitudine a rispettare le regole nel loro compasso morale), i cicli di Jack Vance, il fantasy di Robert E. Howard e Michael Moorcock e miti e leggende varie.
Fusione che non era distaccata da un’opera di immedesimazione quasi teatrale: nel mondo di Dungeon&Dragons potevi creare il tuo personaggio, immedesimarti in esso e vivere avventure sotto la direzione di un “Game Master”, figura a metà tra il narratore, l’arbitro e il regista pronto a guidarti in una storia fantastica che potevi vedere solo con gli occhi della tua mente.
Colossal Cave Adventure ti forniva di fatto un Game Master virtuale: prima di ChatGPT, prima dei tentativi di creare computer che interagissero in modo “umano” col loro utente, prima degli anni ’80, negli anni ’70 di Colossal Cave Adventure un narratore virtuale ti incitava ad esplorare una grotta piena di mostri, pericoli e tesori: qualcosa che oggi chiameremmo “un Dungeon”.
Colossal Cave Adventure non nasceva però come fantasy, ma lo è diventato immediatamente. Negli anni ’70 infatti il programmatore William Crowther e sua moglie Patricia Crowther, programmatrice e speleologa (divenuta poi Patricia Wilcox) amavano esplorare la Mammoth Cave in Kentucky, usando la loro esperienza informatica per digitalizzare le loro mappe e i loro appunti.
Nel 1975 i due divorziarono e William si ritrovò con l’affido prevalente delle due figlie Sandy e Laura a Patricia (quindi di fatto limitando il tempo che potevano passare assieme) e con le esplorazioni in grotta ormai un ricordo.
William decise di ricreare quelle avventure sottoforma di un gioco da offrire alle figlie di cui sentiva la mancanza, mescolando elementi di esplorazione ad elementi presi da Dungeon and Dragon.
Creò così un gioco in Fortran che fosse giocabile su una telescrivente connessa ad un PDP-10, narrato da una “voce narrante” simpatica e divertente a imitazione del “game master” tipico ma in grado di divertire due ragazzine e con un primitivo sistema a linguaggio naturale.
Ad esempio potevi scrivere “Prendi la lampada” perché, ove nella “grotta virtuale” fosse programmata la presenza di una lampada, il personaggio lapotesse raccogliere.
William Crowther era contento così, ma Don Woods, giovane studente di Stanford, imbattendosi in una copia del gioco chiamato semplicemente “Adventure” contattò ogni singolo Crowther presente su Arpanet nel riuscito tentativo di ottenere dall’autore originale il permesso di innovare il gioco.
Lo rese quindi ancora più “avventura”, introducendo draghi sputafuoco, pirati ed enigmi, aggiungendo nuovi vocaboli, nuove azioni e nuove mappe, introducendo un sistema a punteggio. Ma sopratutto, popolarizzò l’idea di una avventura fantasy che potesse uscire dai tavoli dei giocatori ed arrivare sul display di un computer (o su una telescrivente).
Un altro lascito di Don Woods era l’idea di poter personalizzare il concetto stesso dell’Avventura.
Se Don Woods poteva contattare William Crowther per ottenere il permesso di creare una sua “Avventura nella grotta”, chiunque poteva creare una sua avventura da zero con la stessa formula appena nata ma collaudata dal gradimento di una generazione cresciuta a fantasy e giochi di ruolo.
Arriviamo così a Maggio del 1977: Tim Anderson, Marc Blank, Bruce Daniels, e Dave Lebling, studenti e programmatori (tranne Lebling, ricercatore) al MIT avevano un enorme problema.
Avevano giocato fino allo sfinimento a Colossal Cave Adventure, risolvendolo finché non riusciva più a divertirli. Siamo nel 1977 ricordiamo, quell’epoca un cui non esistevano ancora i personal computer, i microcomputer cominciavano a diventare home computer e non c’era uno standard o una industria variegata del “gioco per computer”.
Se volevi un computer o un gioco migliore di quello che avevi dovevi fartelo da te, ed è esattamente quello che il quartetto di personaggi decise di fare: creare una loro “Avventura” migliore delle altre avventure.
Il primo passo fu ricreare un “parser” altrettanto coinvolgente usando MDL, un linguaggio di programmazione diverso da Fortran, per ottenerlo. L’ispirazione in questo caso non era Dungeon&Dragons, che il team non aveva mai giocato direttamente, ma l’interpretazione dello stesso che era tracimata mediante Cave Adventure ed altri giochi.
Il prototipo di Zork aveva già molti dei tratti tipici della saga, e molto in comune con “Adventure“: ad esempio l’essere un gioco senza nome.
“Zork” era infatti una parola inventata che il team usava per programmi incompleti non ancora implementati.
Come per molti altri giochi, la trama era perlopiù scritta nei manuali (tradotto qui), che apparvero però solo in seguito, col successo commerciale della saga e nella fantasia di creatori e giocatori.
In un buffo mondo lontano, creato da divinità benevole e godereccie chiamate “Gli Implementors” (“gli implementatori”, i quattro programmatori originali) un regno chiamato Quendor cadde nelle mani di un re bellicoso e guerrafondaio, Duncanthrax, che presto conquistò tutto il mondo nella superficie per poi passare a rivolgere le sue attenzioni all’unico luogo rimasto, una rete di tunnel nel sottosuolo.
Quando il Regno di Quendor dominò tutto quello che c’era sopra e sotto la terra di Zork, compresi tunnel popolati da creature misteriose e nani ghiotti di fiocchi d’avena, Duncanthrax non potè che cedere il passo all’età e lasciare il suo regno ai suoi discendenti, una dinastia di idioti tra cui Re Stoltonio Testapiatta (King Dimwit Flathead in originale) che ribattezzò Quendor “Il Grande Impero Sotterraneo” e sperperò tutti gli averi della dinastia dei Testapiatta in grandi e costose opere inutili come statue gigantesche di se stesso, nuovi continenti marini e dighe inutili.
Stoltonio si lasciò dietro una dinastia di figli uno più stupido dell’altro che portarono alla caduta di Quendor, lasciando solo l’enorme rete di caverne piena di rovine e grandi tesori pronti ad attirare gli avventurieri di tutto l’ex Regno di Quendor, tra cui l’avventuriero senza nome protagonista della saga originale e destinato a diventare il “Dungeon Master” di tutto l’Impero Sotterraneo per aver dimostrato la sua abilità nel risolvere ogni enigma e pericolo paratosi contro.
Come Colossal Cave Adventure il gioco viene viene presentato da un narratore arguto e con un senso dell’umorismo, e con un sistema ad enigmi da risolvere mediante azioni: urlare “Eco” in una stanza colpita dal fenomeno porterà quindi a variare i rumori risolvendo l’enigma. Assieme a ladri e maghi apparirà un mostriciattolo iconico e caro a tutti i giocatori, il “Grue“, pericolosa e invincibile creatura dalle fattezze ignote in quanto può vivere solo nel buio più tetro morendo e dissolvendosi se esposto anche alla minima luce, espediente narrativo per impedire ad avventurieri che abbiano “memorizzato la mappa” di viaggiare alla cieca.
Zork era un progetto senza nome, un divertimento per poche persone, ma il PDP-10 su cui i quattro “implementors” stavano lavorando a Zork era connesso ad Arpanet, in un modo tale da consentire a chiunque si collegasse di vedere cosa fosse custodito e in lavorazione.
Quando un gruppo di utenti affamati di nuovi giochi scoprirono Zork cominciarono a collaborare alla sua creazione, giocando e segnalando bug, o proponendo aggiunte e creazioni per rendere il “Grande Impero Sotterraneo” ancora più emozionante.
Presto Zork continuò a crescere, venendo diffuso su altri computer e altre piattaforme, ma rimanendo col medesimo nome: “Dungeon” era già preso da Dungeon&Dragons e “Adventure” era già per Colossal Cave Adventure del resto.
Inoltre, un nome buffo e iconico come Zork sarebbe rimasto leggendario per l’eternità: la natura corale e collettiva di Zork si riflette nella scelta del suo protagonista, mai davvero descritto.
Chiunque può diventare l’avventuriero, che la voce narrante non descriverà mai in alcuna delle sue fattezze. L’avventuriero può essere uomo o donna, vecchio o bambino, chiunque abbia accesso a Zork e sia pronto a giocare, lasciandosi guidare da un narratore che, come nei “chatbot anni ’80”, era pronto a suggerire quali azioni siano possibili senza dar via la soluzione del gioco.
Nel 1979 Anderson, Blank, Lebling e altri cinque membri del Dynamic Modelling Group decisero di fondare una casa editrice di videogames, Infocom, con una mossa simile a quella che anni dopo il gamer Satoshi Tajiri avrebbe fatto per creare Game Freak e lanciare il franchise di Pokemon.
Ricorderete che già nel 1979 cominciavano ad esserci diversi micro e home computer e tutti incompatibili l’uno con l’altro.
Non avresti potuto ad esempio far girare lo stesso programma su un Commodore PET, su un Apple II, su un Tandy-Radioshack e su un SOL20.
All’interno della stessa famiglia di computer, a distanza anche solo di un un anno due, non avresti potuto far girare un programma per PET su un Commodore 64 o un VIC20 e viceversa.
Infocom, che partì solo coi soldi necessari per procurarsi i computer su cui lavorare, ebbe pertanto un’intuizione geniale: avrebbero portato il mondo di Zork su un linguaggio di programmazione particolare, lo Z-Code e scritto una serie di “macchine virtuali”, un interprete chiamato Z-Machine.
Lo scopo della Z-Machine era evidente: tutti voi avete familiarità con gli emulatori. Potete ad esempio scaricare VICE, un emulatore del Commodore 64 e del 128 e giocare a tutti i giochi del relativo home computer senza mai averne avuto uno.
Z-Machine è l’emulatore di un computer che non è mai esistito, uno strumento usato da Infocom per poter ricreare Zork su un computer immaginario più parco di prestazioni degli home computer (e vedremo in seguito, dei personal computer) dal 1979 in poi e venderlo ad ogni singolo detentore di computer “impacchettato” nell’apposito emulatore, uno per ogni tipo di computer che avrebbe ricevuto Zork.
Un’altra scelta fu “frammentare” lo Zork primario, la “prima avventura” in tre titoli (inizialmente due, poi motivi tecnici hannoo spinto per la trilogia) in modo da poter produrre e vendere il gioco con un rapporto qualità-prezzo adeguato.
Un easter egg nel primo capitolo riportava la frase “Write to Infocom, P.O. Box 120, Cambridge, Mass. 02142 for info on other products, including Movement Assistance Planners (M. A.P.s) and Hierarchical Information for Novice Treasure Seekers (H.I.N. T.S.).”: l’idea era che se Zork avesse venduto abbastanza, Infocom avrebbe inventato (cosa che accadde) un altro oggetto tipico del mondo dei gamer, i “feelies”, ovvero le “scatole di gioco” con mappe, regalini e manuali che oggi sopravvivono sottoforma di costosissime “Edizioni limitate” che costano più di un rene.
Con pochi soldi per autopubblicarsi Infocom chiese ad altri editori: Microsoft, che aveva già un suo porting di “Adventure” gli chiuse incerimoniosamente la porta in faccia per non farsi autoconcorrenza, lasciando solo Personal Software, la ditta in seguito nota come VisiCalc.
Il successo di Zork fu esplosivo, e coi soldi arrivarono anche i desiderati Feelies, come gli “InvisiClues“, manualetti di suggerimenti scritti in inchiostro invisibile rivelabile con appositi pennarelli: Infocom ricomprò i diriti di Zork da Personal Software (che allora divenne VisiCalc abbandonando il settore videoludico) e il resto è letteralmente la storia del fantasy digitale e del videogioco: e non solo.
Fino all’acquisizione di Infocom da parte di Activision, Infocom usò la Z-Machine per creare un numero impressionante di eccellenti avventure testuale, come A Mind Forever Voyaging, storia di una AI programmata per simulare gli effetti di una serie di riforme economiche in un mondo sempre più distopico dal punto di vista di un essere umano, una riduzione in forma di avventura testuale del capolavoro Guida Galattica dell’Autostoppista, il bizzarro e allegro mondo di Leather Goddesses of Phobos e Trinity, avventura nello spaziotempo legata alla storia del Progetto Manhattan, tutti venduti con i loro iconici feelies.
La saga di Zork stessa è sopravvissuta alle sue stesse origini, incarnandosi in una serie di spin-off e avventure grafiche che pur tradendone le origini di solo testo hanno portato avanti lo spirito ironico e allegro della saga.
Ma il lascito più grande di Zork è stato proprio la Z-Machine e il linguaggio ZIL (Zork Implementation Language), che grazie a interpreti come Inform e successivi ha consentito a generazioni di creativi di mettersi sulle tracce dei loro predecessori illustri creando facilmente molteplici avventure testuali in grado di funzionare su ogni computer e smartphone esistente.
Esistono ad oggi collettività, comunità e anche fondazioni, come l’Interactive Fiction Technology Foundation il cui scopo è coltivare l’amore e la passione per le avventure testuali, rendendo possibile archiviare quelle esistenti e crearne di nuove.
Ed esistono tool e programmi, come Ozmoo per il Commodore 64/128 e il Mega65, Yazmin per MacOS e Frotz per Windows che consentono di giocare a quelle avventure su computer vecchi e nuovi, e con un briciolo di ricerca troverete interpreti per qualsiasi cosa, dal PC al cellulare, in grado di far girare programmi.
Il concetto stesso di un gioco che funzionasse su una macchina virtuale onnipresente su diverse piattaforme è stato inoltre la base per SCUMM, motore di gioco usato da LucasArts per Maniac Mansion (da cui il nome “Script Creation Utility for Maniac Mansion”) usato poi per dare vita alla saga di Monkey Island, altro capolavoro assoluto del mondo del videogame dalla fama pari solo a quella di Zork.
Zork stesso è stato riconosciuto come un “artefatto culturale” degno di preservazione museale come primo e unico prodotto nel suo genere: nonostante il suo predecessore nobile “Cave Adventure”, alla fine Zork è stato il modello e lo standard per ogni avventura testuale futura, per le citate avventure grafiche e per concetti come il MUD, giochi testuali nati proprio dalla diretta ispirazione del “proto-Zork” in cui svariati utenti possono interagire nello stesso spazio virtuale.
Il parser semplice eppure accattivante di Zork ha influenzato il concetto stesso di chatbot come lo conosciamo: l’amore degli utenti per Eliza e altri bot affonda le sue radici nel narratore allegro e un po’ stralunato col quale sembrava quasi di poter interagire in una avventura “quasi da tavolo” dietro il monitor o la telescriventre di un computer.
Infine, possiamo ricordare quanto abbiamo detto sui “feelies”: ancora oggi abbiamo imparato a valutare, e spesso strapagare, un gioco carico di gadget, mappe, manuali e “aggiunte” rispetto al semplice download in digitale o alla scatolina col solo videogame.
Fu Infocom a rendere popolare, tra le altre cose, il “feelie” come oggetto di culto e di gioco, spesso incorporandolo nei sistemi anticopia, chiedendo al giocatore domande relative agli oggetti custoditi in una scatola, oggetti che per molti sarebbero diventati preziosi ricordi.
Immagine di copertina da Freepik
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