La notizia dell’iPad bloccato per 49 anni che ci avete segnalato pare degna di Lercio, ma non lo è. È il frutto di quella bizzarra serie di coincidenze e stanchezza paterna nota sin dai ai tempi dei telefoni a ruota. All’epoca, si traduceva in genitori assai imbarazzati costretti a spiegare alla SIP che il loro rampollo, giocando con la ruota, aveva accidentalmente composto numeri extraurbani o esteri accumulando bollette milionare.
Oggi invece? Potete chiedere cosa accade a Evan Osnos
Il cui twitter può essere riassunto in:
Ehm… questo sembra falso, ma è il nostro iPad dopo che un bimbo di tre anni ha tentato (ripetutamente) di sbloccarlo. Qualche idea?
Effettivamente, non è una bufala.
È un messaggio di errore che può naturalmente apparire, anche se, naturalmente, nessuno si aspetta che l’utente rispetti il tempo abominevole raffigurato.
Il senso di quel messaggio è una richiesta di riformattare l’iPad prima di riusarlo.
Ma andiamo con ordine e ricominciamo dall’inizio: come tutti i dispositivi moderni, gli iPad e gli iPhone hanno un passcode, un PIN da inserire all’avvio. Con buona ragione e per un motivo evidente: evitare che i vostri dati cadano in mano ad estranei.
Perdere un cellulare o un tablet (e ricordiamo, gli iPad hanno iOS, lo stesso software degli iPhone, ben più piccoli e soggetti allo smarrimento…) è qualcosa di assurdamente facile, farselo rubare pure.
Inoltre la quantità di dati che giornalmente immagazziniamo nei nostri iPhone (quindi nei nostri iPad) è immonda, enorme e tentatrice. Senza inserire un passcode, un codice di avvio, ci basterebbe sostanzialmente andare in bagno lasciando il nostro dispositivo incustodito per avere colleghi di lavoro, parenti o conoscenti pronti a frugare nella sua memoria.
Ed allora ogni vostro segreto non sarebbe più tale: foto e video privati di voi stessi e dei vostri cari, la cronologia completa di Internet, un elenco di ogni vostra comunicazione professionale o personale finirebbero in mano a terzi, non sempre bene intenzionati nei vostri confronti.
Apple pertanto ha inserito in iOS una semplicissima funzionalità: se sbagli il passcode più volte, ogni volta ti viene richiesto un tempo di cooldown, di attesa, maggiore per riprovarci.
Il motivo è evidente: immaginate il caso del tablet o del cellulare abbandonati sulla scrivania e del collega di lavoro invidioso che voglia accedere alle vostre email per “soffiarvi” un importante affare.
Se potesse semplicemente provare più e più volte di fila ad inserire il passcode, solitamente di quattro cifre, vi è una remota ma costante possibilità, che cresce con ogni tentativo di indovinare quel passcode.
Ma se dopo ogni tentativo il tempo di attesa tra un tentativo e l’altro cresce, questa possibilità si allontana e viene aggiunto il rischio che voi, tornando, siate immediatamente resi edotti della manipolazione e possiate quindi incolpare il vostro collega.
Esiste inoltre una funzione che riformatta automaticamente il dispositivo dopo un certo numero di tentativi (solitamente dieci), ma che è opzionale da attivare.
Non tutti la attivano quindi: ma quando un iPhone o un iPad si ritrova in mani di qualcuno che continua ad inserire passcodes errati su passcodes errati, nonostante il crescente periodo di stop tra un tentativo e l’altro, è programmato per presumere che il peggior scenario possibile si sia verificato
Qualcuno vi ha rubato il cellulare o il tablet e, non avendo nulla da perdere, sta cercando disperatamente di accedere ai preziosi dati in esso contenuti per i suoi scopi.
Quindi il software, superati i sei tentativi, dichiara di aver bloccato ogni ulteriore tentativo di sblocco per un tempo immondamente lungo, da misurarsi in decadi, portando quindi all’errore iPad bloccato per 49 anni.
La soluzione, avrete capito, non è aspettare cinquant’anni, ma riformattare il dispositivo collegandolo ad un computer dotato di iTunes, il gestore musicale Apple che funge anche da gestore dell’iPhone.
Dopo la riformattazione completa infatti si presenteranno i seguenti scenari, entrambi favorevoli per il vero proprietario del dispositivo
Ovviamente, un bambino di tre anni, che non sa niente di tutto questo, troverà divertente pigiare sui numeretti all’infinito.
Le sue azioni simuleranno così, agli “occhi del software” le azioni di un ladro intento a cercare di ottenere i dati contenuti nel dispositivo, lasciando al genitore l’unica soluzione di ricaricare l’ultimo backup.
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