C’era una volta il “Payola”, oggi è la Streaming Farm. Due parole che non hanno significato, ma tornano ad averne attualmente. Parliamo ovviamente una pratica vecchia come il mondo della musica, se non come il mondo stesso.
Da sempre infatti quando il consenso e il gradimento non possono essere ottenuti per bravura o per mezzi leciti, si tenta di ottenerli con la corruzione e le regalie.
Ovviamente, la musica non fa eccezione.
Payola è un portmanteau, una parola nata dalla fusione di Pay e Victrola, una nota marca di altoparlanti. Il Payola era sostanzialmente una forma di bustarelle spacciate per consulenze: DJ in tutta America ricevevano soldi e regali di ogni tipo, droga compresa, allo scopo di pilotare la campagna acquisti decidendo quale musica mandare in radio a seconda dell’offerente più danaroso.
Il risultato era evidente: il pubblico a casa veniva sovraesposto alla musica dei produttori più danarosi venendo invogliato a comprare più dischi, e i dischi più passati in radio generavano l’illusione di essere stati scelti per il gradimento.
Un “volano del rinforzo” portava la musica richiesta a diventare effettivamente la più comprata: negli anni ’60 una commissione di inchiesta livello federale pose fine alla pratica (almeno dal punto di vista ufficiale) sancendo la natura del payola come pratica commerciale illecita, qualifica a cui gli stessi DJ non credevano, indotti a ritenere fosse semplicemente una forma di lobbying o promozione.
Le emittenti radiofoniche introdussero quindi le playlist e figure intermedie come i direttori della programmazione e i direttori artistici col compito di sottrarre al DJ la potestà sulla trasmissione rendendolo esecutore e non dirigente.
Ovviamente questo non pose fine agli scandali, ma pose fine alla pratica più manifesta: essendo chiaro che manipolare il mercato era un illecito mal tollerato dal pubblico, le emittenti ci pensavano due volte e il pubblico stesso era pronto alla sanzione indiretta della perdita di ascolti.
Siamo ora nell’era della modernità: non esiste ormai kermesse musicale, nazionale e internazionale, che non sia macchiata dall’occasionale denuncia di qualcuno che dichiara tentativi di pilotare il televoto comprando votazioni mediante call center.
Ed ora che “la TV ha ucciso le star della radio” e i servizi di musica e video in streaming hanno inferto un colpo fatale alla TV, lo streaming stesso comincia ad accusare qualche colpo.
Le linee guida di Spotify, tra i più noti servizi di musica in streaming, prevedono e puniscono come illecito contrattuale la Streaming Farm, ora descritta come
aumento falsificato del numero di riproduzioni o di follower, finta promozione del Contenuto o altre manipolazioni, compreso tramite (i) l’utilizzo di bot, script o altri processi automatici, (ii) la fornitura o l’accettazione di qualsiasi forma di compenso (finanziario o di altro tipo) o (iii) qualsiasi altro mezzo;
Di fatto è la resurrezione del Payola: solo che non hai più bisogno di cercare un DJ compiacente, che non esiste, ma creare una botnet, un esercito di computer o smartphone (o anche solo mainboard di Smartphone, collegate in serie in carrozzerie create per il mining di BitCoin…) con un singolo ruolo.
“Mimare”, o meglio mandare in streaming musica che nessuno ascolterà con l’apposito scopo di simulare dietro ogni computer o cellulare, vero o reale che sia, un utente in ascolto che di fatto non esiste.
La streaming farm è una forte tentazione ma dal prezzo assai elevato: a parte l’evidente illecito contrattuale e la possibilità di illeciti di altro genere, ivi comprese le applicazioni delle norme presenti in diversi ordinamenti per il contrasto all’accesso illecito a sistemi informatici per ottenere valore ed altre utilità e azioni civili per forme di concorrenza sleale e predatoria: esiste una cosa chiamata “colpa per associazione”: se sei un musicista e qualcuno ha “comprato per te” dei fan artificiali, una volta scoperto non sarai più ricordato come un giovane astro della musica ma “come quello che si compra i fan, vergogna su di lui”.
Ovviamente, la giurisprudenza internazionale su un fenomeno recente come la streaming farm è ancora scarna: ma i suoi antenati illustri, come payola e le truffarelle dei call center suggeriscono che, semplicemente, da una botta di reputazione simile si rischia di non riprendersi.
Non aiuta il fatto che se hai soldi da pagare per una streaming farm probabilmente hai già abbastanza fan ed un certo seguito: l’avidità potrebbe toglierti tutto.
Se sei un giovane musicista, funziona come per i giovani e meno giovani webmaster (è successo anche a noi) e affini. Tra l’infinito spam di gente che cercherà di venderti cose qualcuno cercherà di proporti “modi sicuri per potenziare i tuoi ascolti”.
Non stiamo dicendo che tutte le mail di spam sono disoneste, ma alcune possono proporti l’acquisto di pacchetti di clienti virtuali.
E questo, come abbiamo visto, sarà un errore che potresti pagare ben caro.
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