Il ritorno di “Argentina sta facendo” è quel genere di bufala che ci riporta sia al passato che al presente.
Ci spieghiamo meglio: avevamo già parlato del primo avvistamento della bufala “Argentina sta facendo”. Apparso ad Aprile 2020 e poi ritornato a Novembre.
Un messaggio virale, una catena di S. Antonio col seguente testo
“Attenzione !!!!! Caricheranno un video su WhatsApp che mostra come la nostra curva si sta appiattendo in Argentina. Il file si chiama “Argentina lo sta facendo”, non aprirlo o vederlo, hackera il tuo telefono in 10 secondi e non può essere fermato in alcun modo. Passa le informazioni a familiari e amici. NON APRIRE … … Ora lo hanno anche detto in TV“.
Naturalmente, un allarme del tutto infondato: semplicemente il file “Argentina sta facendo” o “Argentina lo sta facendo” non esiste.
Esiste il rischio, va detto, di aprire allegati sconosciuti inviati da sconosciuti o persone da esse ingannati contenenti virus o contenuti malevoli.
Abbiamo un intero archivio pieno di link che promettono ricchi premi, cotillon e ricchezze varie a chi rilascia su un sito inviato via WhatsApp nome, cognome, codice fiscale, indirizzo e numero di carta di credito.
Link che invece ti lasciano più povero di molti tuoi averi e, forse, un po’ più saggio.
Per non parlare del rischio virus.
Ma in questo caso, il video “Argentina sta facendo” non esiste.
Come non esiste la variante “India sta facendo” e qualsiasi stato possa venirvi in mente dopo un’accurata visione del podcast “Divertiamoci con le Bandiere” del dottor Sheldon Cooper.
Vi abbiamo detto che questa bufala ha origini moderne e antiche.
Forbes ha equiparato questo genere di messaggi virali ad altri fenomeni già apparsi su queste pagine. Come la Danza Martinelli, il video della “Danza del Papa”, altrimenti nota come “Danza di Hillary”.
Sostanzialmente indicandoli come la versione 2.0 delle care vecchie Catene di Sant’Antonio battute a macchina.
Le ricordate vero? Una mattina aprivate la vostra cassettina delle lettere e trovavate un dattiloscritto, fotocopiato o ribattuto a macchina con una serie di storielle.
Un apologo che elencava storie di enormi ricchezze e grandi successi personali occorsi ai fortunati che avevano accettato di prestarsi al gioco, seguita da terrorizzanti storie di immonde sciagure, lutti familiari, rovina economica e domestica, inondazioni e cavallette incorse a chi si fosse rifiutato di copiare e diffondere.
Il meccanismo è lo stesso, identico. Nel mondo 2.0 per convincere qualcuno a diffondere una catena di S. Antonio non bisogna più dirgli che cadrà in rovina economica, tutti i suoi figli moriranno malissimo e la moglie lo lascerà col suo migliore amico.
Basta dirgli che il suo smartphone si beccherà un virus e dovrà rinunciare ad anni di selfies e foto di piatti al ristorante.
Inoltre, altro meccanismo in comune con le bufale vintage e le Catene di S. Antonio, la condivisione virale cerca di “educare col terrore”. Suscitando l’effetto opposto invero.
Ricordate quando eravate ragazzini e vi dicevano di “non allontanarvi dalla panchina” prospettandovi un mondo pieno di spacciatori di droga invisibili, zingari rapitori di bambini presi dal “Trovatore” e poliziotti violenti che amano sparare in faccia ai bambini che corrono lontani dai genitori scambiandoli per pericolosi malfattori?
Il senso è lo stesso: per pigrizia mentale, si “insegna” ad un uditorio una buona pratica, ma diffondendo una “moderna favoletta” di terrore e allarmismo.
In questo caso lo scopo delle varie “Danze del Personaggio famoso”, declinata in salsa COVID in “Stato sta facendo” è terrorizzare l’utente nel non cliccare su file sconosciuti.
Ma lo fa facendo passare il concetto che invece diffondere Catene di S. Antonio, che ne sono il vettore è una cosa sensata.
Per farci capire e restare nella metafora virale, è come se qualcuno dicesse che bisogna rendere edotta la popolazione della necessità di rispettare il distanziamento sociale in tempi di Pandemia (Corretto) ma per questo è dovere di ogni cittadino entrare in ogni casa della città urlando il messaggio ai presenti (sbagliatissimo).
Alla fine si fomenta la diffusione di contenuti pericolosi e si riduce la credibilità di allarmi realmente fondati.
Avete letto la favola di “Al lupo, al lupo”, vero?
Pensate finisca con un fermo immagine anni ’80 dove il lupo, il pastorello e gli abitanti si danno il cinque mentre suona un riff di chitarra?
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