Ci è stata segnalata la seguente nozione, versione semplificata (sin troppo, come vedremo), di articoli come questo che, forse con un briciolo di allarmismo, dichiarano
Matteo Renzi vuole depenalizzare il reato di occupazione abusiva. Anzi, l’ha già fatto: con la legge delega 67 del 28 aprile scorso. In un ritaglio nemmeno troppo nascosto della norma, approvata la scorsa primavera da Camera e Senato e già pubblicata in Gazzetta ufficiale, si scopre che tra i reati depenalizzati c’è il primo comma dell’articolo 633 del codice penale. «Si tratta della norma attraverso la quale una società come Aler, la partecipata di Regione Lombardia che gestisce un patrimonio immenso di case popolari, può effettuare gli sgomberi in caso di occupazioni abusive», denuncia il consigliere del Comune di Milano, Marco Osnato (Fratelli d’Italia), che all’Aler ci lavora da anni.
Lo conferma anche il collega di Forza Italia, Armando Vagliati: «Il governo vuole depenalizzare l’occupazione abusiva. Contro chi occupa si potranno fare solo cause civili, della durata media di 10 o persino 15 anni». Sembra una barzelletta, soprattutto alla luce dei recenti fatti di cronaca di cui Milano è stata protagonista. Solo due giorni fa la polizia ha tentato di buttare fuori da un appartamento, occupato illegalmente, una famiglia di romeni, padre madre e tre figli di cui due minorenni. Tempo poche ore e per via delle proteste dei comitati a difesa del diritto alla casa e della tensione con la polizia, gli occupanti hanno ripreso possesso della casa.
In futuro, chiunque prenderà possesso di una casa, di uno spazio pubblico come un giardino o privato come un negozio non potrà più essere sgomberato dalle forze dell’ordine. Ci si potrà limitare a denunciarlo al giudice in sede civile. Da lì scatterà la denuncia e per avere giustizia bisognerà attendere i tempi biblici dei tribunali civili nostrani.
Non è esattamente così. Certo, l’art. 633 cp è stato per anni uno strumento utile, ma non è il quintessenziale strumento del rilascio. Ed il rischio paventato non risulta del tutto condivisibile.
Partiamo innanzitutto per gradi. È verissimo che l’articolo 2 della Legge Delega citata riporta, senza alcun desiderio di occultare qualcosa, la derubricazione ad illecito amministrativo di diversi reati, tra cui il citato articolo 633 cp.
Ma attenzione, un illecito amministrativo non diventa legale. Rimane un illecito, sanzionabile non con ricorso alle Corti di Assise, ma ai Tribunali Civili. E la sanzione, comunque, perverrà.
Il rischio lungaggine paventato sembrerebbe infatti contrastare con le recenti riforme dal senso acceleratorio-deflattivo impresse proprio al Giudizio Civile, che con l’introduzione del Processo Telematico ed istituti atti a ridurre la pressione sui giudici (vedasi, ad esempio, l’introduzione della negoziazione assistita, le riforme relative alle conciliazioni e del divorzio veloce), riducendo alla fonte il numero delle cause trattate e rendendo più rapida la gestione dei procedimenti pendenti e prossimi venturi, ed in ogni caso l’intervento della forza pubblica non è esclusivo del diritto penale.
Chiunque abbia avuto la ventura di assistere ad uno sfratto saprà che, anche un “normale sfratto”, quintessenziale atto del procedimento civile, può, anzi, sovente riceve assistenza dalla forza pubblica.
Ciò in virtù della c.d. “Formula Esecutiva” presente su ogni titolo esecutivo, anche di provenienza giudiziaria, con cui si comanda a tutti gli Ufficiali Giudiziari di mettere in esecuzione l’atto di sfratto se richiesto, dando l’assistenza della forza pubblica.
Ed infatti, ancora prima di questa paventata riforma, vi era evidente dicotomia sul destino dell’azione. Inanzi alla Corte d’Assise, al Penale, si otteneva la sanzione del colpevole. Dinanzi al Tribunale Civile (ente in futuro preposto ad entrambi i compiti) si perveniva agli strumenti per il rilascio dell’immobile, sicché
L’ordinamento giuridico italiano contempla alcune forme di tutela giudiziale in favore di chi subisca l’occupazione abusiva del proprio immobile.
In ambito civile il proprietario potrà agire attraverso le cosiddette azioni petitorie, vale a dire quelle dirette a tutelare chi sia legittimo titolare del bene. Nel particolare caso dell’ occupazione abusiva, potrà esser esperita l’azione di rivendicazione (articolo 948 del codice civile). Tale forma di tutela, non soggetta ad alcun termine di decadenza, legittimerà il titolare del bene ad agire in qualunque tempo ed a poter richiedere il ristoro dei danni subiti anche quando, dopo la domanda giudiziale, il terzo abbia cessato per fatto proprio di possedere o detenere la cosa. E’ anche possibile tutelarsi in via immediata ed urgente ricorrendo al giudice per ottenere la reintegra nel possesso (articolo 1168 codice civile). Quest’azione spetta non solo al proprietario, ma anche a chi disponga ad altro titolo dell’immobile (ad esempio l’usufruttuario o il conduttore in locazione dell’immobile); potrà esser esercitata entro 1 anno dalla data del sofferto spoglio o, nel caso di spoglio clandestino, da quando lo “spogliato”, ossia chi si sia visto privare del bene, ne sia venuto a conoscenza.
In sede penale è possibile tutelarsi attraverso la proposizione di una denuncia alla Procura della Repubblica competente. In tali casi, infatti, sono astrattamente ipotizzabili le seguenti fattispecie di reato: reato di invasione di terreni od edifici (articolo 633 codice penale), nonché reati contro il patrimonio funzionalmente collegati all’occupazione abusiva, quali il danneggiamento (articolo 635 codice penale), il furto (articoli 624 e 625 codice penale) ed il reato di violazione di domicilio (articolo 614 c.p.).
L’azione di reintegra nel possesso, ex art 703 cpc, dianzi segnato
[I]. Le domande di reintegrazione [11681, 3 c.c.] e di manutenzione [1170 c.c.] nel possesso si propongono con ricorso [1251] al giudice (2) competente a norma dell’articolo 21 [28].
[II]. Il giudice provvede ai sensi degli articoli 669-bis e seguenti, in quanto compatibili (3).
[III]. L’ordinanza che accoglie o respinge la domanda è reclamabile ai sensi dell’articolo 669-terdecies (4).
[IV]. Se richiesto da una delle parti, entro il termine perentorio di sessanta giorni decorrente dalla comunicazione del provvedimento che ha deciso sul reclamo ovvero, in difetto, del provvedimento di cui al terzo comma, il giudice fissa dinanzi a sé l’udienza per la prosecuzione del giudizio di merito. Si applica l’articolo 669-novies, terzo comma (4).
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