Ci segnalano i nostri lettori il seguente articolo rilanciato dalla stampa nazionale, segnalando come, nella catena delle condivisioni, molti commenti paventino un timore per la chiusura dei negozi di e-commerce, come Yoox, GameStop e simili.
Riteniamo che il timore sia infondato, ma bene ha fatto la stampa, in questo caso proprio La Stampa ad occuparsi del dubbio, pur non potendo placare gli inevitabili timori che nel gioco del telefono senza fili che ogni condivisione inevitabilmente diventa, sorgono dalla notizia.
Laddove infatti il quotidiano riporta i dubbi:
Come si abbassa una serranda digitale? È la domanda che, in queste ore, si stanno facendo i negozi 2.0 e grandi gruppi della distribuzione. Perché il testo del ddl già approvato dalla Camera e attualmente in discussione al Senato, che prevede una stretta sulla liberalizzazione degli orari dei negozi e 12 chiusure l’anno, potrebbe avere qualche ricaduta anche sull’e-commerce. Possibile che sia una svista, ma l’articolo 1 del disegno di legge, tra le attività escluse dal giro di vite (dai bar ai ristoranti fino a cinema e mercatini) non contemplerebbe distributori automatici e commercio elettronico: porte sbarrate anche per loro? Peccato che l’operazione non sia semplicissima: che si fa, si spegne il sito nei giorni di festa? E nel caso delle «vending machine», si imbullona ogni macchinetta installata in Italia?
In realtà i problemi potrebbero anche essere più complessi. Stoppare i siti, se davvero succedesse, potrebbe avere l’effetto di penalizzare gli imprenditori italiani, perché i clienti a caccia di acquisti online finirebbero per puntare sui concorrenti stranieri, da Amazon in giù, che ovviamente non sono soggetti alla normativa nazionale. E magari metterebbe in difficoltà anche i campioni dell’e-commerce made in Italy, come Yoox. Si rischierebbe dunque una piccola mazzata per un settore che, nel nostro Paese, ancora stenta a decollare: il giro d’affari nel 2014 valeva 13,3 miliardi di euro e le vendite realizzate dai siti guardano da lontano Francia, Germania e soprattutto Gran Bretagna, dove il mercato digitale corre verso quota 80 miliardi.
Il lettore parrebbe giunto alla conclusione che sia già necessario predisporre il canto funebre per i 24 Shop, ovvero quei locali riparati ma accessibili 24ore su 24 ripieni di macchinette automatiche per la distribuzione cibo e bevande ormai ubiquitarie nella grandi città e per tutti i negozi online con sede legale in Italia.
Lo stesso articolo però riporta anche voci contrarie, e favorevoli:
«Le nuove disposizioni lasciano intatta la libertà degli esercenti di restare aperti anche 24 ore al giorno. Quello che verrebbe introdotto è soltanto l’obbligo di chiusura nelle 12 festività nazionali 6 delle quali potrebbero tuttavia essere sostituite dagli esercenti con altrettanti giorni a loro libera scelta. Ci sembra una regolamentazione minima».
Dove si trova la verità?
Il testo attualmente in discussione, reperibile sui siti istituzionali è sostanzialmente un ritorno alla situazione precedente il Decreto Monti sulle Liberalizzazioni, ripristinando quindi il riposo domenicale e infrasettimanale:
1. All’articolo 3 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, la lettera d-bis) è sostituita dalla seguente: «d-bis) il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell’esercizio nonché quello di chiusura domenicale e festiva, ad eccezione dei seguenti giorni: DDL S. 1629 – Senato della Repubblica XVII Legislatura 1.2.1. Testo DDL 1629 Senato della Repubblica Pag. 5 1) il 1º gennaio, primo giorno dell’anno; 2) il 6 gennaio, festa dell’Epifania; 3) il 25 aprile, anniversario della Liberazione; 4) la domenica di Pasqua; 5) il lunedì dopo Pasqua; 6) il 1º maggio, festa del lavoro; 7) il 2 giugno, festa della Repubblica; 8) il 15 agosto, festa dell’Assunzione della beata Vergine Maria; 9) il 1º novembre, festa di Ognissanti; 10) l’8 dicembre, festa dell’Immacolata Concezione; 11) il 25 dicembre, festa di Natale; 12) il 26 dicembre, festa di santo Stefano»; b) dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti: «1-bis. Ciascun esercente l’attività di vendita al dettaglio può liberamente derogare alle disposizioni di cui al comma 1, lettera d-bis), fino ad un massimo di sei giorni di chiusura obbligatoria, dandone preventiva comunicazione al comune competente per territorio secondo termini e modalità stabiliti con decreto del Ministro dello sviluppo economico da emanare, sentita l’Associazione nazionale dei comuni italiani, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. 1-ter. Le tipologie di attività di cui all’articolo 13, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e le attività di somministrazione di alimenti e bevande non sono soggette ad alcun obbligo di chiusura domenicale o festiva». 2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano a decorrere dal 1º gennaio dell’anno successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge.
Sono quindi escluse le attività di somministrazione di alimenti e bevande (quindi anche “le macchinette”) e sono possibili ampie deroghe.
Il timore dato dalla mancata previsione delle attività online è legittimo, e dovrà essere in seguito affrontato.
Vi ricordiamo che anche prima del Decreto Monti esistevano però negozi online, e di sicuro non hanno mai sofferto della chiusura infrasettimanale che, nel caso di siti per la prenotazione e l’acquisto online al più potrebbe impattare il momento della consegna e dalla “presa in carico” dell’ordine.
Il motivo è fornito nella relazione contenuta negli atti alla Camera:
La liberalizzazione prevista dal decreto Monti dunque esce fuori dal dettato costituzionale nella misura in cui, non operando alcuna distinzione tra piccoli e grandi esercenti, li pone in condizione di concorrenza diretta e spietata, senza mediazione alcuna. La conseguenza di questa deregulation è infatti che la grande distribuzione compete incidendo sulla tutela dei lavoratori e costringendo il personale a turni massacranti, i piccoli esercenti invece, che non possono contare su una risorsa di personale altrettanto consistente, soccombono alla concorrenza. Ma il principio della libera concorrenza non può soverchiare una serie di altri diritti e princìpi costituzionali tra cui quello delle pari opportunità. Il risultato di questa concorrenza da far-west è la chiusura dei piccoli esercizi con una desertificazione dei centri storici e dei quartieri più periferici che è sotto gli occhi di tutti. Secondo i dati di Confcommercio, nel primo bimestre 2013, solo nel settore della distribuzione commerciale, sono spariti quasi 10.000 negozi, con un vistoso crollo (-50 per cento) delle aperture di nuove attività. Da diversi mesi si sono susseguite critiche al citato decreto-legge n. 201 del 2011 e alla conseguente liberalizzazione delle aperture domenicali da parte di associazioni di categoria e comitati locali; anche la Confesercenti ha confermato la propria contrarietà al provvedimento, soprattutto con riferimento alle aperture domenicali e dei giorni festivi. Tale posizione è stata più volte ribadita dall’associazione e ora rafforzata dalla campagna « Libera la Domenica »; l’iniziativa è sostenuta anche a Taranto da comitati popolari come « Domenica no grazie », e punta a far pervenire in Parlamento una proposta di legge di iniziativa popolare; altre critiche analoghe sono giunte dal comitato CALS (comitato anti liberalizzazioni selvagge) emiliano-romagnolo, che ha già raccolto oltre 50.000 firme. La presente proposta di legge si propone dunque di ricondurre la competenza legislativa e la potestà regolamentare nel settore del commercio alle regioni e agli enti locali ai quali spetta il compito della pianificazione della turnazione delle festività lavorative che non ricada pesantemente sui diritti dei lavoratori ma che tuteli contemporaneamente i diritti dei consumatori. L’ambito di applicazione delle disposizioni proposte è determinato con riferimento a tutti gli esercizi commerciali, evitando le distinzioni previste per le attività di somministrazione dalla riforma del commercio di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114. Si provvede quindi all’abolizione delle liberalizzazioni introdotte dal Governo Monti con il ripristino della situazione precedente, con un ritorno alla liberalizzazione completa per i soli esercizi ricadenti nei comuni a carattere turistico. Al fine di contemperare l’interesse dei consumatori e la tutela dei diritti dei lavoratori del commercio, in tutte le altre zone invece saranno le regioni, di comune accordo con gli enti locali e sentito il parere dei comitati locali e delle organizzazioni di categoria, dei lavoratori e dei consumatori, a definire un piano delle aperture domenicali e festive che, ai sensi dei commi3e4 dell’articolo 2 preveda, in ogni comune, un 25 per cento degli esercizi aperti per settore merceologico, nonché un numero massimo di dodici festività lavorative annue per singolo esercizio commerciale su un modello che è già stato sperimentato con successo a Modena. L’articolo 2 prevede un osservatorio che monitori gli effetti della nuova legge. È stabilito un congruo termine affinché le regioni possano avviare le concertazioni tra le parti interessate alla redazione e all’entrata a regime del piano delle aperture festive.
Insomma, secondo i preponenti della legge il Decreto Liberalizzazioni, ad oggi ha portato ad una forte asimmetria tra il piccolo esercente, la “botteguccia familiare” sottocasa, costretta comunque a chiudere la domenica e durante le ferie perché, essendo basata sul lavoro familiare, semplice non dispone di personale da adibire al negozio quando i familiari del titolare godono il necessario e doveroso ristoro delle proprie energie psicofisiche e la grande distribuzione, composta da Ipermercati e negozi “di marca” che, potendosi permettere di mantenere del personale aggiuntivo o di trattenere il personale assunto in loco, possono mantenere turni più serrati.
Tale normativa di fatto incarna la volontà di comitati come “Libera la Domenica”, “Domenica no Grazie” ed altre associazioni di piccoli esercenti che rivendicano la facoltà di gestire la vita commerciale con ritmi “umani”.
Vincerà la libera concorrenza? Vincerà un approccio solidale alla “minima distribuzione”? Non lo sappiamo ancora: per ora possiamo affermare che, essendo il DDL in discussione un ritorno alla situazione precedente il Decreto Liberalizzazioni, il rischio di chiusura degli e-shop è minimo se non nullo.
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