ALLARMISMO Cioccolato tossico trovate tracce di piombo e cadmio, i marchi coinvolti

Un altro scandalo sul cioccolato contaminato, in questo caso da due metalli pesanti, cadmio e piombo, un’altra richiesta di verifica cui cercherò con razionalità di rispondere.

Perché non è facile verificare, quando le fonti originali sono così criptiche e vaghe. Vediamo insieme cosa intendo.

Eccoci dunque alle prese con un’altra storia, che somiglia molto a quella dei conigli di cioccolato contaminati da idrocarburi, ma che sembra avere alcune differenze.

Vediamo perché vi somiglia:

  • chi denuncia la contaminazione è un’associazione “a favore dei consumatori”;
  • non viene riportato quale laboratorio abbia effettuato le analisi, nè lo studio scientifico effettivo;
  • si tenta di dare credibilità a quanto affermato citando in causa delle autorità scientifiche del campo, citandole però solo a livello generale, poichè non sono state coinvolte direttamente nè nello studio, nè nelle affermazioni fatte dall’associazione di proprio pugno.

A differenza dell’altro caso, qui:

  • non si riporta neppure se il laboratorio abbia una qualche certificazione secondo determinati standard internazionali,nè con che metodo scientificamente affidabile siano state rilevate le contaminazioni;
  • non vengono riportati i dati numerici, ma solo se la contaminazione sia stata riscontrata o meno, il che sarebbe sufficiente per l’applicazione della legge; tuttavia servirebbe sapere il numero di campioni(1?10?100?) totali ed effettivamente contaminati, e se sussita il rischio che le procedure del laboratorio non abbiano loro stesse contaminato i campioni (oh sì, può capitare!);
  • l’associazione che ha commissionato le analisi è statunitense: si può desumere che i campioni siano stati prodotti e venduti negli USA, visto che molte aziende, le multinazionali in primis, producono nel Paese di vendita (riduzione dei costi di trasporto e sì, anche dell’inquinamento: le materie prime si possono reperire in parte sul posto e in generale si trasportano più facilmente del prodotto finito con il suo imballaggio).

Da un punto di vista scientifico e razionale, fare delle affermazioni come quelle dell’associazione, così gravi e su così tante e diverse marche di cioccolato (nella lista vi sono addirittura marche di cioccolato biologico e del mercato equo-solidale), senza comprovarle con dei dati, non aiuta nessuno.

Non aiuta il consumatore, perché non è possibile capire se il problema sia ad esempio una sola partita di un singolo tipo di prodotto (ogni azienda citata ha più di un singolo prodotto in commercio);  ciò potrebbe diminuire il panico e la perdita di fiducia, in quanto si circoscriverebbe il problema ad una categoria ben definita e lo si potrebbe arginare. Inoltre, dato che i controlli e i metodi di produzione americani differiscono da quelli europei (e non in meglio, di solito), a che scopo fare copia-incolla di uno studio effettuato negli USA da un’associazione statunitense? La risposta che appare palese è che il sito italiano pare affetto da “click bait” e malattia da “noi-vi-diciamo-quello-che-gli-altri-non-vi-dicono”.

Non aiuta le aziende, primo perchè danneggia tutti, piccoli e grandi produttori, nella smania di parlar male delle “multinazionali” che compaiono nella lista; difatti i loro nomi compaiono evidenziati in grassetto, ma se una persona volesse leggere la lista completa, saltano fuori anche quei produttori che, per chi demonizza le multinazionali, sono dei benefattori dell’umanità.

Inoltre, se le aziende coinvolte volessero in buona fede richiamare i prodotti contaminati dal commercio e ricontrollare le catene di produzione, così da risolvere il problema alla radice, allo stato attuale non possono farlo: non viene offerta alcuna possibilità di rintracciare il prodotto o il lotto analizzato nello specifico.

Non aiuta neppure l’associazione che effettua la denuncia, e qui mi spiego meglio: questa associazione non ha voluto fornire alcun dato sul laboratorio di analisi, che ha semplicemente definito “indipendente”. Ora, la prima cosa che mi viene da chiedere, quando vedo l’aggettivo “indipendente” vicino a laboratorio, è: indipendente da cosa?

Parliamone più approfonditamente: la costruzione e l’attrezzatura da laboratorio costano, e parecchio! E neppure una tantum, ma continuamente. Conti da far impallidire, credetemi. Se un laboratorio è indipendente, ovvero non è nè finanziato da un’università, nè da un’azienda privata, nè dall’autorità di vigilanza sul cibo, con cosa si finanzia? Eh, sì, esatto, si finanzia con le analisi che gli commissionano i clienti privati, cui fa pagare dei bei conticini salati.

E se questo cliente è un’associazione che vive delle donazioni dei privati e dei soldi vinti con le cause in tribunale, avrà ovviamente interesse a far fruttare i soldi che paga al laboratorio.

Scusate se sembrano insinuazioni, più che ragionamenti. Ma non si tratta di complottismo, bensì di ragionare cercando di capire perchè mai, se l’associazione si sente di essere dalla parte della verità e della giustizia, tuttavia non renda pubblici i dati da cui è partita per fare le denunce che fa, di modo che siano di utilità al mondo intero, scientifico e non.

Quindi, di cosa stiamo parlando? Come si può verificare qualcosa che appare sempre più, dopo questa analisi, come una speculazione?

Ecco perché è estremamente difficile fare debunking scientifico. Spesso si è costretti a confutare affermazioni senza fondamento, e questo è molto più difficile che non discutere tra colleghi con tesi differenti, che però giustificano con dati e ragionamenti sensati.

Avete presente i “Panama Papers”, lo scandalo finanziario? Ecco, sapete quante persone hanno lavorato, indagato, verificato dati e ricontrollato minuziosamente ogni riga, per quanti anni, prima che uscisse anche una sola affermazione? E quando tale affermazione è stata resa pubblica, a supportarla c’era e c’è, a disposizione di tutti, una mole di dati impressionante.

Provate a pensare invece agli avvocati che pagarono l’ex-medico e criminale Wakefield per creare lo studio-bufala che correlava vaccino MPR e autismo: Wakefield falsificò i dati di un suo studio malfatto e frettoloso e nel quale, si scoprì poi, aveva maltrattato i bambini coinvolti (una dozzina), creando una correlazione inesitente (ed, indirettamente, il danno peggiore ai bambini di tutto il mondo nella storia della sanità moderna a causa del panico creato), perchè gli avvocati volevano vincere (in fretta) in tribunale delle cause in cui avevano trascinato dei genitori disperati e pronti a credere a qualsiasi cosa, ed ottenere così risarcimenti milionari. Risarcimenti che, quando si scoprì la truffa, se non ricordo male, vennero annullati, creando ulteriori problemi a quelle famiglie. E si sa che negli USA la sanità pubblica è in una situazione penosa, rispetto a quella europea.

Un’affermazione come quella dell’associazione, insomma, può forse ingannare chi si lascia guidare dall’emotività anche nelle questioni razionali. Lo si può capire: si parla di cioccolato, metalli pesanti e di bambini, la mistura giusta per far leva su chi è molto sensibile.

Tuttavia, noi tutti dobbiamo fare lo sforzo, quando leggiamo questi articoli, che ogni medico di pronto soccorso fa, quando deve soccorrere una persona in pericolo di vita: pensare razionalmente, richiamando alla mente solo ciò che si sa e sa fare per salvare quella vita, lasciando i pensieri lugubri (“e se capitasse a mia moglie/ a mio marito? A mio/a figlio/a?”) per i momenti in cui tali pensieri sono affrontabili, in tranquillità e a mente fredda.


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