Massima attenzione! Diversi concittadini tarquiniesi hanno notato, su portoni, pomelli e campanelli, strane scritte eseguite con una sorta di gessetto bianco cremoso, difficile da lavare via. Si tratta di scritte fatte di notte, che recano sigle dal significato non chiaro, tipo “T.I.P.”. C’é il serio sospetto che si tratti di segnali utilizzati da ladri non autoctoni per identificare le case in cui rubare. Invitiamo dunque tutti i tarquiniesi a porre la massima attenzione; a chiudere bene finestre e portoni durante la notte; se presenti, ad attivare gli allarmi; a non sottovalutare i rumori notturni; a segnalare alle autorità competenti persone con comportamenti loschi o la presenza di queste strane scritte. Condividi a tutti i tuoi contatti di Tarquinia, MASSIMA ATTENZIONE!!!
Questo appello ci riporta indietro di decenni, in tempi in cui le viralità si diffondevano non a mezzo Internet, ma su fogliacci plurifotocopiati passati di mano in mano o spediti per posta ordinaria a indirizzi presi dai pubblici elenchi, ed in cui l’influencer non era la fanpage con milioni di visualizzazioni ma era la portinaia, l’amico della persona istruita, o l’amico fidato pronto a giurare di avere un cugino che aveva ottenuto l’informazione diffusa, ma che purtroppo per motivi suoi (che variavano dall’essere all’estero o comunque lontano all’essere morto) non poteva comparire di persona a diffondere il suo ammonimento.
Premettiamo innanzitutto che di questa storia, al momento, non vi è traccia alcuna presso autorità e simili da nessuna parte, se non per mezzo del passaparola popolare.
Passaparola che assume le vesti di una forma grottescamente politically correct ma non troppo (dove si decide che attribuire a non meglio precisati “non autoctoni” il ruolo dei cattivi della storia sia più p.c. che chiamarli stranieri) di una delle bufale più antiche della storia dell’umanità.
Si tratta infatti della bufala dei segni degli zingari, una bizzarra teoria esplosa nell’America della Grande Depressione (ma esistente sin dal 1880), dove venivano attribuiti, come ricorda non solo il citato testo di Paolo Attivissimo ma la stessa cultura popolare Americana, alla cultura degli hobo, gli impoveriti americani che vivevano da viandanti, sostando brevemente di città in città per qualche lavoretto stagionale e poi andando via.
Tradotto erroneamente come senza tetto, l’Hobo americano era in realtà un concetto diverso: l’hobo era sì un senza tetto, ma un senza tetto stagionale in un periodo di profonda depressione economica che, sapendo di non poter trovare un posto fisso in una congiuntura economica difficile, preferiva inseguire piccoli lavoretti saltuari dove li trovava.
La leggenda metropolitana di quegli anni vuole appunto gli hobo, gli stagionali, segnare con un gessetto i cancelli delle case dei paeselli dove si fermavano, per indicare non già dove fermarsi “a rubare”, ma dove fosse disponibile trovare lavoro ed alloggio, o dove le condizioni erano sfavorevoli.
Purtroppo, essendo la natura umana incline ad additare il diverso con odio e rabbia, la storia di questo piccolo drappello di diseredati alla ricerca di un lavoro ed un alloggio divenne un “allarme sociale”, nel quale i segni venivano immortalati nella leggenda metropolitana di qualcosa di turpe, usato per indicare dove fare rapine.
La leggenda usciì dai confini nazionali per arrivare anche all’estero: non essendoci gli Hobo, in Europa si decise che tali segni dovessero essere usati dai “cattivi” dell’epoca, gli zingari (sostituiti in alcune varianti degli anni ’90 dai “rumeni”, in quanto per lo xenofobo medio rom e rumeno sono un triste sinonimo dettato dall’odio e dall’ignoranza).
Non a caso, tra le fotocopie gualcite degli anni ’80 compaiono ancora segni legati all’originale storia folkloristica degli hobo: perché dei “ladri zingari/rumeni” dovrebbero avere interesse ad adottare segni come “casa accogliente” e “qui si trova lavoro”, assieme a tutto il corollario di segni adatti all’arte del furto?
Semplice: perché la leggenda metropolitana è una perversione della storia degli Hobo.
Narrazione che contiene già in se stessa il proprio punto di debolezza, che il Gazzettino di Padova descriveva così nel 2003
I centralini delle forze dell’ordine continuano a ricevere numerose segnalazioni di furti o tentati furti, o anche di semplici movimenti sospetti. Tanto da causare una vera e propria “sovramobilitazione” delle pattuglie, impegnate spesso per rispondere alle tante paure della popolazione: “Dobbiamo tenere impiegate le auto per tranquillizzare i richiedenti, molte volte al giorno – racconta un operatore – In tutta la città sono apparsi segni che vengono interpretati come “codici” usati dai nomadi per individuare gli appartamenti più interessanti. Quelli di cui si è parlato tante volte sui giornali”. Questi segni (che i lettori ritrovano nella foto in alto a destra), sono in effetti uno dei tormentoni giornalistici preferiti nei periodi di magra. Un po’ come la tigre di Gazzo Padovano, gli ufo sulle colline (soprattutto dopo le varie sagre del vino), i coccodrilli bianchi nelle fogne di New York. Come tutte le leggende metropolitane però c’è un fondo di verità.
Questi segni, tanti anni fa, venivano in parte usati veramente, nei condomini metropolitani, a cominciare da Milano. Ed è vero che a Padova ne sono apparsi tantissimi: “Solo che sono tutti diversi tra loro, troppo per essere un vero e proprio “codice”. In parte credo che si tratti di ragazzate – continua l’operatore delle forze dell’ordine. Non è interesse dei nomadi fare sapere che dopo poco colpiranno in quella zona. Nulla esclude però che ne facciano per esempio all’Arcella per poi andare a rubare alla Guizza e distogliere l’attenzione”.Tuttavia le pattuglie sul posto devono essere inviate comunque all’apparire dei segni, se no i cittadini si sentono abbandonati e non presi sul serio.
Ragazzate, scherzi di ragazzini annoiati che, viste le fotocopie girare di mano in mano, decidevano di emularle in “tag” di dubbio gusto, scherzi urbani.
Del resto, perché un “ladro nomade/rumeno/non autoctono” dovrebbe usare un sistema di segni che ormai anche le massaie di Voghera conoscono? Per autorovinarsi la rapina? Per invitare le forze dell’ordine ad arrestarli? Per emulare le ladre di Occhi di Gatto che lanciavano sempre all’amato agente Matthew un loro biglietto da visita esortandolo a cercare di arrestarle in un complesso gioco di seduzione e furto?
Nel 2001 veniva detto della bufala originale
Il circolo Chico Mendes di Bologna boccia la proposta del quartiere Saragozza di realizzare un opuscolo per spiegare ai cittadini il significato di alcuni segni tracciati dai nomadi davanti alle case, un codice per indicare le mete di eventuali furti. <<Diversi mesi fa – protesta Vito Totire, portavoce del Chico Mendes – don Oreste Benzi ha spiegato, e nessuno lo ha contestato, che per ragioni culturali, antropologiche e psicologiche l’attribuzione ai “nomadi” di quel vocabolario di segni non ha nessun fondamento. In effetti le forme di pensiero e le forme di organizzazione sociale dei nomadi non coincidono con la logica di quel vocabolario.
Dal punto di vista pratico, poi, se un quartiere svela un vocabolario criptico attribuito a chicchessia, il soggetto titolare del vocabolario decriptato non fa che elaborarne un altro.
Ma questo non succederà – prosegue Totire – perché quei graffiti non hanno nessuna attendibilità e nessun uso corrente se non nella fantasia di chi lo accredita come esistente>>.
Inoltre il portavoce del Chico Mendes ironizza sul fatto che la proposta dell’opuscolo è stata approvata dal consiglio di quartiere all’unanimità:
<<Complimenti – conclude – tuttavia prima di rendersi responsabili di sperpero di denaro pubblico, chi sta per dare avvio alle stampe rifletta. Non è prevenzione del crimine ma un nuovo gioco di società, pericoloso e inquinante dal punto di vista sociale e psicologico>>.
Ribadiamo la stessa cosa di questo appello, versione moderna dell’antica bufala dei segni zingari: prestare le dovute attenzioni di ogni giorno è bene. Suscitare allarmismi facili mediante catene virali no, è un inquinante e pericoloso gioco di società dalla utilità dubbia, se non nulla.
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