“Alla cortese attenzione di Mark Zuckerberg” è una condivisione complottista che riunisce in sé tutti i peggiori capisaldi del complotto stesso.
Dall’unione della teoria complottista del Popolo Unico, del “messaggio per negare il consenso alla condivisione” e dal terrore atavico dei complottisti per i ban nasce una specie di mostruosità pseudogiuridica.
La bizzarra teoria per cui si possa in uno status costringere Mark Zuckerberg a non bannarti mai, oppure ripagarti i danni in lingotti d’oro, dimostrando di non comprendere come funziona un contratto, un accordo o sostanzialmente una qualsiasi forma di interazione sociale.
Il messaggio in questione che ci è stato recapitato è questo
Trascriviamo per chi usasse strumenti di lettura automatici
All’attenzione di Mark Elliot Zuckerberg presidente e amministratore delegato di Facebook Inc.
Primo e ultimo avviso.
Dichiaro che il profilo [redacted] (nome completo del trust in e-mail) non è di proprietà di Facebook e vi è negato ogni consenso alla privacy, restrizione, blocco, sospensione e/o cancellazione del summenzionato profilo.
Per ogni futuro blocco, restrizione del presente profilo verranno addebitati al summenzionato CEO, 500.000 EUR in lingotti d’argento. Per ogni sospensione o cancellazione del presente profilo verranno addebitati 1.000.000 EUR in lingotti d’argento.
Verrà immediatamente inviata tabella completa dei rimedi e fattura.
La presente viene sottoscritta in presenza di testimoni evidenti nei like e commenti.
Saluti
[redacted]
Amministratore Unico e Curatore
Da una sola lettura del copincolla possiamo desumere una serie di elementi.
Il riferimento è alla bizzara teoria del Popolo Unico.
Una teoria del complotto secondo cui un individuo sostanzialmente può dichiararsi “trust unipersonale di se stesso” e, ciò facendo, sottraendosi all’obbedienza di ogni normativa esistente, ma solo quando esse giocano a suo sfavore.
In caso contrario, lo stesso individuo che sostanzialmente basa la sua intera dottrina di vita sul fatto che gli Stati Nazionali non esistono e sono entità commerciali pignorate dai Poteri Forti, esigerà dagli Stati Nazionali stessi i servizi base.
Insomma, siamo di fronte ad un “non cittadino”, che a sua volta è uno “Stato Sovrano” di se stesso, che però esige che uno stato che non riconosce gli fornisca sanità, viabilità, istruzione ed ogni beneficio possibile, salvo poi rifiutarsi di pagare tasse, pedaggi e caselli.
È una cosa nota sin dai tempi dell’infanzia, e non richiede forme particolari se non quando viene prescritto dalla legge.
Ogni forma di negozio giuridico tra più persone richiede il consenso di quelle persone, ovviamente.
Facebook ti sottopone, al momento dell’iscrizione, dei termini e condizioni di uso che sottoscrivi, regolando un rapporto tra te e Facebook.
Quando due bambini giocano a palla e alla fine uno dei due bambini dice “Facciamo che al prossimo goal si vince?”, quella frase, di suo, non ha alcun significato. Lo assume quando il secondo bambino accetta.
Ciò posto, questa condivisione pone chi la pubblica nell’imbarazzante situazione del bambino viziato che sta perdendo 20 a zero e ad un certo punto esclama.
“Allora facciamo che chi vince il prossimo goal vince tutto, c’è pure mio cuggino col motorino e la fidanzata che è grande che fa da testimone, ora se faccio goal vinco e basta e mi devi tutte le biglie e e le caramelle che hai”
Ovviamente, se l’altro compagnetto rifiuta una simile bizzarria, l’accordo non vale e il bambino viziato che sta perdendo venti a zero, se riuscirà a fare il goal della bandiera, resterà sconfitto.
E non vedrà mai una singola biglia o caramella.
Beh, se il nostro Stato Unipersonale Q avesse letto i Termini e le Condizioni d’uso capirebbe che esistono tutta una serie di obblighi a cui l’utente aderisce.
E che l’utente è proprietario, ovviamente, dei contenuti che pubblica (che però vengono concessi in licenza, sia pur limitata, per consentire ad esempio la condivisione dei contenuti stabiliti come “pubblici”) ma non del profilo in quanto tale e non di Facebook in quanto tale.
E che Facebook può sempre sospendere o sanzionare un profilo che violi le regole indicate al momento dell’iscrizione.
Cosa vera per il semplice cittadino o per il “capo di Stato” di se stesso. Riflettano i nostri amici condivisori: Donald Trump è stato Capo di Stato realmente di uno Stato realmente esistente.
Ha violato le regole ed i Termini di Servizio di Facebook ed è stato bannato.
Anche qui si riconosce il marchio del Popolo Unico: proprio perché il “popolo unicaro” medio non riconosce l’esistenza degli stati, purché essi debbano dargli cose, tecnicamente non riconosce il denaro.
Come però nei giochi televisivi, accetta pagamenti in lingotti e gettoni di metalli preziosi, ignorando che comunque dovrebbe farseli cambiare in banche che non riconosce in moneta che non riconosce per usarli, o meglio facendo finta di ignorare ciò per perpetuare la sua bizzarra finzione.
Ma anche in questo caso, la condizione, come evidenziato in precedenza, non si avvererà. Nessuno ha accettato la bizzarra richiesta.
Sarebbe come entrare in un club evitando il buttafuori e urlando
“Io ora sono dentro senza autorizzazione, mi dichiaro proprietà di me stesso e se il buttafuori mi allontana mi deve millemila miliardi”
Non andrà così e il buttafuori avrà tutto il diritto di mettermi alla porta.
La cosa si giustifica da sé.
Un profilo Facebook è inidoneo di per sé a provare l’identità di qualcuno: altrimenti non avremmo SPID e le Firme Digitali.
E comunque continuiamo a chiederci con che diritto un terzo possa decidere della volontà altrui.
Altrimenti potremmo decidere unilateralmente che chiunque ha letto questo articolo fino in fondo ora debba agli autori cento euro e passare a riscuotere.
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