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ACCHIAPPALIKE Anno 1970: Ventimila italiani, spogliati di tutti i loro averi, vengono cacciati dalla Libia – bufale.net

C’è un fenomeno che troviamo sorprendente: persone che ci chiedono conferma di cose assurde, come improbabili parenti wrestler e supereroi parenti di questo o quel politico, convinti che Putin abbia davvero dichiarato guerra al Wakanda per cercare un parente di colore e supereroe di Salvini o che sia possibile telefonare al numero apparso in una fiction per convincere Rosy Abate, Regina della Mafia a pentirsi delle sue cattive azioni a colpi di insulti e minacce improvvisamente rivelano dosi di scetticismo tali da rivolgersi al fact checking quando tutto quello che dovrebbero fare è aprire un libro di storia.

Improvvisamente un post dell’anno scorso della pagina Indigeni Europei

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Anno 1970: Ventimila italiani, spogliati di tutti i loro averi, vengono cacciati dalla Libia. A differenza di quanto accade oggi, tutti gli italiani in fuga furono bloccati dalle autorità militari italiane sulle navi al largo del Golfo di Napoli che, prima di autorizzare lo sbarco, fecero lunghi ed estenuanti controlli sanitari e amministrativi ai nostri connazionali (già umiliati dall’avvenuta espulsione), secondo un “protocollo di accoglienza” molto diverso rispetto a quello che viene eseguito con estrema disinvoltura nei confronti di profughi e clandestini che sbarcano ogni giorno sulle nostre coste. Cosa ne pensate?
Da sapere. La Libia ha confiscato agli italiani tutti i conti in banca, 40 mila ettari di terra, 1.700 case, 500 attività commerciali: in totale 200 miliardi di lire del 1970. Ma non basta, le chiese divennero moschee, i monumenti polvere, il cimitero fu profanano e vennero rispedite in Italia anche 20 mila salme di soldati.

La foto contenuta nell’articolo, ed una versione estesa del testo, sono ancora disponibili per gli smemorati, gli scettici ed i San Tommaso della domenica sulle famose Teche Rai, gli archivi fotografici e di notizie della TV di Stato, che ci ricordano che

L’esodo di massa degli italiani di Libia inizia subito dopo il 1 settembre 1969, giorno in cui il giovane Gheddafi conquista il potere con un colpo di Stato. Nei quattro mesi successivi partono almeno 800 italiani: alcuni senza nemmeno un visto, organizzando piani anche rischiosi per approdare il Sicilia. Il decreto ufficiale di espulsione arriva nell’estate del 1970: dei 44 mila italiani residenti nel 1948 ne restano meno di metà. Sbarcano a Napoli, vengono smistati nei campi profughi in Campania, Puglia e Lombardia. La Libia confisca 40 mila ettari di terra, 1700 case, 500 attività commerciali: in totale 200 miliardi di lire del 1970. La chiesa diventa moschea, i monumenti polvere. Il cimitero viene profanano e Roma rimpatria anche 20 mila salme di soldati. Quello di ieri è il terzo esodo degli italiani. Prima degli anni 70 c’erano state le espulsioni del 1951, dopo l’indipendenza della ex colonia italiana.

La foto è anche riportata nella galleria relativa all’intervista a Giovanna Ortu, espulsa dalla Libia in quel fatidico 7 ottobre 1970, che Gheddafi stesso ribattezzò pomposamente Giorno della Vendetta, occasione per cementare il suo potere dando in pasto alla popolazione un nemico estero che riecheggiasse il passato coloniale e fosse facile da espropriare ed esiliare… colpendo persone che in Libia ci erano nate e cresciute.

Solo nel 2004, in vista dell’apertura di un Gasdotto Eni, Gheddafi decise di rinnegare la sua scelta convertendo il Giorno della Vendetta in un (invero alquanto tardivo) Giorno dell’Amicizia, i cui risultati sono comunque stati travolti dalla primavera Araba intervenuta a porre fine al dominio del dittatore.

La foto, e gli eventi narrati, sono quindi veritieri, con l’eccezione del paragone assolutamente gratuito con altre forme di immigrazione derivate da eventi non meno traumatici.

Il problema non fu certo la gestione dei rimpatri come viene insinuato nel testo, ma il dopo, sicché:

Ad accendere i riflettori sulla vicenda degli italiani in Libia è Luigi Scoppola Iacopini nel libro I “dimenticati”. Da colonizzatori a profughi, gli italiani in Libia 1943-1974 (Editoriale Umbra, I quaderni del Museo dell’emigrazione) che ricostruisce l’esperienza dei connazionali italiani a partire dalla fine del regime coloniale, attraverso l’amministrazione britannica e la monarchia e poi durante il regime di Gheddafi, che emana i decreti di confisca dei beni e l’espulsione dal paese degli italiani di “vecchio insediamento”. Questi sono costretti a rientrare in patria ma qui non trovano certo comprensione né adeguati riconoscimenti economici o morali. Perché di fatto i rapporti economico-finanziari fra i due paesi erano già consolidati, tanto che gli stessi documenti analizzati dall’autore finiscono per mostrare come «la comunità italiana fosse alla fine avvertita come un intralcio, un anacronistico legame che rischiava di compromettere le buone relazioni con la Libia che passavano anche attraverso i giganteschi fatturati dell’industria pubblica e privata».

 

 

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