Ormai non c’ è più nemmeno da stupirsi, tanta è la supponenza dell’ Europa nei confronti del nostro Paese. Al punto da non rendersi più conto se si tratta di ritorsioni a orologeria o ordigni a tempo innescati apposta per esarcebare gli animi. Esattamente il contrario di ciò che dovrebbe fare la Corte europea dei diritti dell’ uomo la quale, nel bel mezzo delle polemiche che stanno investendo i Paesi dell’ Est in tema d’ immigrazione, ha pensato bene di punire l’ Italia per aver rimpatriato tre immigrati tunisini, dopo averli trattati «contro le regole internazionali» e tenuti in condizioni «contrarie alla dignità umana».°.°
I fatti risalgono al 2011 e secondo la Corte ci sarebbero state «palesi violazioni» della Convenzione europea. La decisione si riferisce alla causa sollevata da tre immigrati tunisini dopo essere stati espulsi da Lampedusa. I tre, si legge nella sentenza, sono stati vittima di «detenzione illegale» e «condizioni degradanti». Come se il centro di accoglienza dell’ isola fosse una piccola Guantanamo e non una normale struttura. Saber Ben Mohamed Ben Ali Khlaifia, Fakhreddine Ben Brahim Ben Mustapha Tabal e Mohamed Ben Habib Ben Jaber Sfar sono tre immigrati tunisini sbarcati a Lampedusa nel settembre 2011, rimpatriati pochi giorni dopo. Nel 2012 si sono appellati all’ organismo di Strasburgo, denunciando il nostro Paese per trattamento contrario alle regole sui diritti umani. La Corte europea ha riconosciuto le ragioni dei tre tunisini, condannando l’ Italia per come ha gestito i flussi migratori. Le motivazioni dei tre tunisini appaiono quantomeno pretestuose e l’ unica ragione di tanta rabbia sarebbe determinata dal rimpatrio. Chi arriva in Italia, ormai, pretende di restarci in modo da raggiungere il Nord Europa anche se non ha i requisiti minimi per poterlo fare. Con questa sentenza la Corte di Strasburgo rischia di creare una falla enorme nei sistemi di controllo dei flussi migratori, legittimando i rimborsi ai clandestini insoddisfatti.
All’epoca dei fatti i tre tunisini vennero prima trattenuti nel centro di Lampedusa, e poi sistemati su navi ancorate nel porto di Palermo, in attesa del rimpatrio. Gli immigrati, rilevano a Strasburgo, «non erano stati informati dei motivi della loro detenzione», e questo comporta una violazione dell’ articolo 5 comma 2 della Convenzione europea per i diritti dell’ uomo. Non solo: automaticamente la detenzione dei tre tunisini risulta «illegale», e contraria perciò all’ articolo 4 comma 1 della stessa Convenzione. «Con la sentenza di oggi (ieri, ndr) viene ricordato a tutti i 47 Paesi membri del Consiglio d’ Europa che i richiedenti asilo e gli immigrati devono essere trattati come esseri umani, con gli stessi diritti fondamentali di chiunque altro», commenta Thorbjorn Jagland, il segretario generale del Consiglio d’ Europa, che comprende al suo interno la Corte europea per i diritti umani. Jagland avverte che «la crisi migratoria pone una seria minaccia per il rispetto dei diritti umani in molte parti d’ Europa». Insomma ammonimento per l’ Italia e avvertimento per il resto dell’ Europa. A dimostrazione di come a Strasburgo l’ italiano sia un lingua poco conosciuta, se non addirittura snobbata del tutto.
Con il nostro Paese condannato a risarcire con 10mila euro ciascuno i tre immigrati rimpatriati, si riaccende la polemica politica tra chi è aperto all’ accoglienza, magari con nuove regole sull’ asilo e un nuovo piano per ripartire i profughi, e le tentazioni di isolamento sempre più forti fra chi non vuole accogliere nuove persone. Con la sentenza gli italiani sono «cornuti e mazziati» e «presi a schiaffi», dicono gli esponenti di Forza Italia Daniela Santanché e Maurizio Gasparri. Il leghista Roberto Calderoli, da parte sua, definisce la Corte europea una «entità metafisica», invitando «il governo a infischiarsene di quanto stabilito dai parrucconi di Strasburgo».
Tra meno di due settimane il tema dell’ immigrazione sarà discusso dai ministri dell’ Interno della Ue a Bruxelles per una riunione urgente. L’ ennesimo vertice. Una nuova politica sull’ asilo avrà «gambe concrete», sostiene Vannino Chiti, esponente del Pd e presidente della Commissione sulle politiche dell’ Unione europea al Senato.
Ci stupiamo solo dell’evidente mistificazione fatti, delle decisioni di un tribunale che a quanto pare non sono state neppure riscontrate e di come una pagina che, ad una cursoria lettura, pare afflitta da un pesante bias di conferma antieuropeista e “antikasta” e che per tirare acqua al suo mulino si produce in un esempio da manuale di acchiappaclick e disinformazione del Giorno della Marmotta.
La notizia targata 17 marzo 2017 in realtà è relativa ad una condanna di Settembre 2015, tenuta in frigo dai viralizzatori come una piccola bomba ad orologeria dell’indignazione facile.
E la sentenza arrivò dopo la bellezza di quattro anni. Ci riporta La Presse:
La Corte europea dei diritti dell’uomo, con sede a Strasburgo, ha condannato l’Italia per l’espulsione collettiva di tre tunisini che erano arrivati a Lampedusa nel 2011, ai quali dovrà pagare un risarcimento di 10mila euro ciascuno.
La Corte ha riscontrato la violazione di diversi articoli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu). I tre tunisini – Ben Mohamed Ben Ali Khlaifia, Fakhreddine Ben Brahim Ben Mustapha Tabal e Mohamed Ben Habib Ben Jaber Sfar – avevano lasciato la Tunisia a settembre 2011 durante la Primavera araba ed erano stati individuati in mare dalle autorità italiane. Furono poi trattenuti nel centro di accoglienza per i migranti di Lampedusa, dove divampò un incendio, fuggirono e furono fermati e trasportati in aereo a Palermo, da dove dopo alcuni giorni furono rimpatriati in Tunisia in due date differenti. Secondo la Corte l’Italia ha violato il divieto di trattamenti disumani o degradanti e i diritti a libertà e sicurezza, nonché il diritto a essere informati sui motivi della detenzione e a un ricorso contro la detenzione stessa.
Secondo i giudici di Strasburgo, nonostante i tre siano stati oggetto di decreti individuali di espulsione, in realtà i decreti “sono stati redatti in termini identici, senza fare riferimento alle situazioni personali” e i tre non hanno potuto beneficiare di interrogatori individuali. Per la Corte di Strasburgo, il carattere collettivo della espulsione ha a che fare con l’accordo bilaterale con la Tunisia, che prevedeva “il rimpatrio dei migranti irregolari tunisini con procedure semplificate” dopo una semplice identificazione.
Ma attenzione: al contrario dei viralizzatori noi non ci fidiamo di copincolla presi da testate, ancorché autorevoli ma siamo andati a reperire il testo completo della sentenza in questione, facilmente riscontrabile.
Commenteremo con voi alcuni dei punti salienti:
6. Il 16 e il 17 settembre 2011 – rispettivamente per il primo e per il secondo e terzo di loro –, i ricorrenti lasciarono con altre persone la Tunisia a bordo di imbarcazioni di fortuna allo scopo di raggiungere le coste italiane. Dopo varie ore di navigazione le imbarcazioni furono intercettate dalla guarda costiera italiana che li scortò fino al porto dell’isola di Lampedusa. I ricorrenti giunsero sull’isola rispettivamente il 17 e il 18 settembre 2011.
7. I ricorrenti furono trasferiti al Centro di Soccorso e Prima Accoglienza (di seguito il «CSPA») situato a Contrada Imbriacola dove, dopo avere dispensato i primi soccorsi, le autorità procedettero alla loro identificazione.
8. Essi furono sistemati in un settore del centro riservato ai Tunisini adulti. I ricorrenti affermano di essere stati accolti in spazi sovraffollati e sporchi e di essere stati obbligati a dormire sul pavimento a causa della scarsità di letti disponibili e della cattiva qualità dei materassi. I pasti venivano consumati all’esterno, seduti per terra. Il centro veniva sorvegliato in permanenza dalle forze dell’ordine, in modo che qualsiasi contatto con l’esterno era impossibile.
9. I ricorrenti rimasero nel centro di accoglienza fino al 20 settembre, quando scoppiò una violenta rivolta tra i migranti. I luoghi furono devastati da un incendio, e i ricorrenti furono trasportati al parco sportivo di Lampedusa per passarvi la notte. All’alba del 21 settembre, essi riuscirono insieme ad altri migranti a eludere la vigilanza delle forze dell’ordine e a raggiungere il paese di Lampedusa. Da lì, iniziarono insieme ad altri 1.800 migranti circa delle manifestazioni di protesta nelle strade dell’isola. Fermati dalla polizia, i ricorrenti furono ricondotti prima nel centro di accoglienza e poi all’aeroporto di Lampedusa.
10. Il mattino del 22 settembre 2011 i ricorrenti furono imbarcati in aerei con destinazione Palermo. Una volta sbarcati, furono trasferiti a bordo di navi ormeggiate nel porto della città. Il primo ricorrente salì sul «Vincent», con altre 190 persone circa, mentre il secondo e il terzo ricorrente furono condotti a bordo della nave «Audacia», con circa 150 persone.
11. Secondo la versione dei ricorrenti, su ciascuna nave i migranti furono raggruppati tutti insieme nei saloni-ristorante, in quanto l’accesso alle cabine era vietato. I ricorrenti affermano di avere dormito per terra e atteso varie ore per poter utilizzare le toilette. Potevano uscire sui balconi delle navi due volte al giorno soltanto per pochi minuti. I ricorrenti affermano di essere stati insultati e maltrattati dagli agenti di polizia che li sorvegliavano in continuazione e di non aver ricevuto alcuna informazione da parte delle autorità.
12. I ricorrenti rimasero a bordo delle navi rispettivamente fino al 27 e al 29 settembre, date nelle quali furono trasportati all’aeroporto di Palermo per essere rimpatriati.
13. Prima di salire sugli aerei, i migranti furono ricevuti dal console della Tunisia. Secondo i ricorrenti, quest’ultimo si sarebbe limitato a registrare i loro dati anagrafici, conformemente agli accordi italo-tunisini conclusi nell’aprile 2011 (paragrafi 28-30 infra).
14. Nel formulario di ricorso, i ricorrenti hanno affermato che per tutta la durata della loro permanenza in Italia non è mai stato rilasciato loro alcun documento.
In allegato alle sue osservazioni, il Governo ha tuttavia prodotto tre decreti di respingimento datati 27 e 29 settembre 2011 adottati nei confronti dei ricorrenti. Il testo di tali decreti, in sostanza identici e redatti in italiano con una traduzione in lingua araba, era il seguente:
«Il Questore della provincia di Agrigento
Visti gli atti del fascicolo, da cui risulta che
1) in data 17 [18] settembre 2011 il personale appartenente alle forze dell’ordine ha trovato nella provincia di Agrigento vicino alla linea di confine/vicino alla frontiera dell’isola di Lampedusa il sig ….., [cognome e nome] nato a (…) il [data] (…) cittadino tunisino (…) non completamente identificato in quanto privo di documenti (sedicente);
2)lo straniero è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera;
3) il rintraccio dello straniero ha avuto luogo all’entrata/immediatamente dopo l’entrata nel territorio nazionale, e precisamente: isola di Lampedusa
ATTESO che non è ravvisabile alcuna delle ipotesi di cui all’articolo 10 c. 4 del decreto legislativo n. 286 del 1998;
CONSIDERANDO che si deve procedere ai sensi dell’articolo 10 c. 2 del decreto legislativo n. 286 del 1998;
DISPONE
IL RESPINGIMENTO CON ACCOMPAGNAMENTO ALLA FRONTIERA
Della persona sopra menzionata
INFORMA
- che il presente decreto può essere impugnato, entro un termine di sessanta giorni a decorrere dalla sua notifica, dinanzi al giudice di pace di Agrigento;
- che la presentazione del ricorso non sospende in alcun caso l’efficacia del presente decreto;
- [che] il direttore dell’ufficio immigrazione procederà, in esecuzione del presente decreto, alla notifica dello stesso e di una copia sinteticamente tradotta verso una lingua conosciuta dallo straniero, oppure verso la lingua inglese, francese o spagnola; alla sua comunicazione alla rappresentanza diplomatica o consolare dello Stato di origine, secondo quanto previsto dall’articolo 2 c. 7 del decreto legislativo n. 286 del 1998; e alla sua registrazione ai sensi dell’articolo 10 c. 6 dello stesso decreto legislativo;
Accompagnamento alla frontiera di Roma Fiumicino
[Fatto a] Agrigento [il] 27[29]/09/2011 Per il Capo della Polizia
[Firma]»
15. I decreti suddetti erano accompagnati da un verbale di notifica che recava le stesse date, anch’esso redatto in italiano e munito di traduzione in arabo. Nello spazio riservato alla firma dei ricorrenti, detti verbali recano l’annotazione manoscritta «[l’interessato] si rifiuta di firmare e ricevere copia».
16. Arrivati all’aeroporto di Tunisi, i ricorrenti furono liberati.
Si conferma quanto esposto quindi in prima battuta da La Presse: abbiamo tre individui che, nonostante il portale che ci viene sottoposto si dedichi a celie e sberleffi riguardo alla loro condizione (Come se il centro di accoglienza dell’ isola fosse una piccola Guantanamo e non una normale struttura) si ritrovano incolpevolmente in una situazione oggettivamente difficile, in condizioni malagevoli, senza neppure un materasso su cui dormire, travolti da tumulti e trasferimenti improvvisi e senza neppur poter usufruire dei servizi igienici.
Non è scopo della sentenza dare colpe a qualcuno, né possiamo farlo, ma nonostante “Lampedusa non sia Guantanamo”, ovvio, non possiamo che confermare come le condizioni descritte siano state censurate dalla sentenza e che vivere in una sorta di limbo senza neppure poter usufruire dei servizi igenici se non ad orari comandati sia un grave vulnus, esacerbato da un procedimento di esplusione redatto in ciclostile, con lesione di un eventuale diritto alla difesa dei profughi (che, con un provvedimento redatto in modo personale e non generalista, avrebbero potuto predisporre idonee memorie per proporre gravame).
Diritto alla difesa leso da un altro, ben più grave problema sollevato dai giudici Europei
Tuttavia, quando il numero di migranti in arrivo è considerevole (cosa che accade sempre più spesso) e i trasferimenti vengono effettuati molto rapidamente, capita che le persone in arrivo non vengano informate del loro diritto di chiedere l’asilo. Essi vengono pertanto informati nel centro in cui vengono trasferiti. Questa lacuna, che riguarda l’informazione sull’accesso alla protezione internazionale, può porre problemi allorquando le persone di alcune nazionalità possono essere rinviate direttamente nel loro paese di origine. Come regola generale, tuttavia, i migranti in arrivo non sono in grado di ricevere immediatamente una informazione dettagliata sull’accesso alla procedura di asilo. L’urgenza è altrove: essi sono sfiniti, disorientati e vogliono lavarsi, mangiare e dormire.
Le condizioni di cui sopra rendono, sovente e come in questo caso impossibile anche solo ai profughi essere resi edotti dei passi necessari per presentare domanda di asilo in modo corretto.
Sostanzialmente, siamo sovente di fronte a soggetti puniti due volte: costretti in condizioni malagevoli, e senza sapere come fare ad ottenere la possibilità di agire per migliorare la propria condizione e diventare membri produttivi della società ospite.
Contrariamente poi a quanto capziosamente inferito dal blog in esame però la Corte Europea non ha mai voluto sanzionare l’Italia, anzi, ha dichiarato, come vedremo nel presente estratto, che le condizioni non erano dovute da una scelta politica o da una Lampedusa-lager ed ha riconosciuto gli sforzi del Governo per raggiungere una situazione il più ottimale possibile.
127. La Corte non sottovaluta i problemi che gli Stati contraenti incontrano in presenza di ondate migratorie eccezionali come quella all’origine della presente causa. Essa è consapevole della molteplicità di obblighi che pesavano sulle autorità italiane, costrette a prendere delle misure per garantire al tempo stesso il salvataggio in mare, la salute e l’accoglienza dei migranti e il mantenimento dell’ordine pubblico su un’isola abitata da una piccola comunità di persone.
128. Questi fattori non possono tuttavia esonerare lo Stato convenuto dal suo obbligo di garantire che ogni persona che, come i ricorrenti, viene ad essere privata della sua libertà possa godere di condizioni compatibili con il rispetto della sua dignità umana. A tale riguardo la Corte rammenta che l’articolo 3 deve essere considerato come una delle clausole essenziali della Convenzione che sanciscono uno dei valori fondamentali delle società democratiche che formano il Consiglio d’Europa (Soering c. Regno Unito, 7 luglio 1989, § 88, serie A n. 161). Al contrario delle altre disposizioni della Convenzione, esso è formulato in termini assoluti, non prevedendo eccezioni né limitazioni, e in virtù dell’articolo 15 della Convenzione non è derogabile ( (M.S. c. Belgio, n. 50012/08, § 122, 31 gennaio 2012).
Semplicemente, in quel caso concreto, per quei tre individui, si sono concretate una serie di condizioni tali da giungere all’accoglimento della domanda, con una bonaria raccomandazione di come evitarle in futuro, ma senza alcuna condanna ad orologeria o “mancanza di rispetto” per gli Italiani.
Sostanzialmente, una sentenza logica e parametrata ad un caso specifico viene, copincollando fonti giornalistiche di due anni fa e cucendole assieme con considerazioni artefatte, trasformata in uno scandalo inesistente allo scopo di fomentare rabbia ed indignazione.
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