Ci segnalano i nostri contatti una notizia targata DirettaNews24
Sono otto, per ora, i dipendenti che hanno accettato di prendere parte all’iniziativa, facendosi impiantare un chip sottopelle, tra indice e pollice, grazie al quale l’azienda può riconoscerli al loro ingresso nell’edificio e con il quale accedere al loro computer.
Un’idea degna di Matrix, pensata dalla Newfusion, azienda belga che – come riporta Il Giornale – si occupa di marketing digitale, è con la quale un dispositivo grande quanto un chicco di riso ha sostituito i classici “badge” con cui i lavoratori segnalano ingresso e uscita dal posto di lavoro.
Forse più comodo, ma quanto rispettoso della privacy e quanto poco invasivo? Vincent Nys, direttore dell’azienda, assicura che utilizzando un iPhone i rischi sarebbero dieci volte più alti e le informazioni personali non sarebbero meglio tutelate. Ha anche aggiunto che non c’è nessun obbligo per i lavoratori, che possono scegliere se aderire all’iniziativa o no, su base volontaria.
Niente più tessere e avanti con il chip: questo il piano. Solo il tempo saprà dire se l’iniziativa diventerà diffusa o resta un isolato, strano caso degno di un film di fantascienza.
Notizia verificata su diverse fonti: Tomshw, Repubblica, Tpi
In realtà il gioco è sempre quello: si citano fonti autorevoli della stampa, come il Giornale, Tom’s Hardware, Repubblica ed altri, ma si pubblica un estratto complessivo della notizia che, come tale, omette i dettagli meno viralizzabili della vicenda.
Ad esempio il citato Tom’s Hardware riporta per intero le parole di Vincent Nys
“Nessuno è obbligato”, ha affermato il direttore dell’azienda, Vincent Nys, alla catena televisiva Vrt, spiegando che l’idea è nata quasi per gioco da un dipendente che dimenticava spesso il badge. Secondo Nys “un iPhone è dieci volte più pericoloso di un chip” in termini di invasione della privacy. I dipendenti che scelgono di non farsi impiantare il chip possono indossare un anello con le stesse funzioni.
Ma anche la Repubblica, nel pubblicare una parafrasi, non si astiene dal diffondere il contenuto integrale di quanto affermato
I dipendenti della Newfusion che non intendono sottoporsi all’innesto potranno optare per un anello con le stesse funzioni. “La tecnologia rende più facile la nostra vita quotidiana. Non bisogna provarne paura, è sufficiente sperimentarla”, ha proseguito Nys aggiungendo che il chip dispone di una memoria per inserire dati relativi a contatti e ‘biglietti di visita’, che possono essere girati a uno smartphone.
Possiamo quindi ricostruire la notizia corretta: ditta preoccupata dal numero di disguidi dati coi badge (lo scrivente ricorda distintamente di aver perso un badge scivolato da un portabadge sciupato ed averlo inseguito ovunque per ritrovarlo) decide di proporre una soluzione basata su chip RFID, lo stesso delle carte di credito contactless o dei portachiavi “interattivi”, nascondendolo in un anello oppure in una capsula impiantabile nella mano, a discrezione esclusiva dell’impiegato.
Con una soluzione che, ricorda la Repubblica, non è un’invenzione Belga ma è già in uso in diverse strutture ospedaliere americane (dove, ovviamente, non è ritenuto gradito avere oggetti che penzolano dai vestiti).
Riporta invece Tom’s Hardware una voce decisamente dissenziente
Alexis Deswaef, presidente della Lega dei diritti dell’uomo in Belgio, è preoccupato. “Si tratta di un pericolo reale. Si tratta di uno strumento di controllo totale. Siamo in grado di sapere a che ora il dipendente ha iniziato a lavorare quando ha fatto la sua pausa sigaretta. Analizzeremo poi se è stato abbastanza produttivo? Cosa faremo con i dati raccolti? In futuro venderemo un po’ del diritto alla privacy per una maggiore sicurezza o comodità?
Al quale comunque, ricorderemmo che anche inserendo il chip RFID nel badge o in un anello si otterebbe lo stesso risultato.
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