L’abolizione del reato di abuso di ufficio sostanzialmente comporta l’abolizione dell’art. 323 del Codice Penale. Questa è facile. Quello che non è facile è esaminare le conseguenze dirette, o quantomeno non nel clima avvelenato in cui viviamo.
Ad esempio decade l’abuso di ufficio, ma rimane la fattispecie recentemente reintrodotta dall’art. 9 D.L. 4/7/2024 n. 92, recante Misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizia civile e penale e di personale del Ministero della giustizia, c.d. “decreto carceri” del peculato per distrazione.
Fattispecie questa “ripiegata” nell’abuso di ufficio che ora torna a vivere vita indipendente e autonoma.
La norma abrogata dichiara
“Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.”
Va detto che già nel 2020 la clausola del margine di discrezionalità aveva portato ad un depotenziamento della norma di sorta, ovvero a forme in cui esso non poteva configurarsi.
L’abuso di ufficio era un reato di evento plurioffensivo: si concretava al momento della realizzazione del vantaggio/svantaggio (a seconda dei punti di vista) e veniva considerato danno sia alla reputazione e all’andamento delle pubbliche amministrazioni che, volgarmente, al peculio delle stesse.
La punibilità era vincolata al solo dolo intenzionale, escludendo colpa cosciente e dolo eventuale: dovevi insomma voler perseguire tale condotta, non causare qualcosa che portasse all’effetto.
L’abolizione riporta in piena operatività il 314-bis, che a tutti gli effetti subentra in molte delle fattispecie abrogate, dichiarando che
Fuori dei casi previsti dall’articolo 314, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, li destina ad un uso diverso da quello previsto da specifiche disposizioni di legge o da atti aventi forza di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità e intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Ovviamente quei casi non esistono più: anche in questi casi è richiesto il dolo intenzionale.
Quindi un certo numero di fattispecie un tempo punibili ex art. 314 c.p. lo diventano ora ex art 314bis c.p.
Coloro che sono stati dichiarati colpevoli ex art. 314 c.p. potranno in base all’art. l’art. 673 c.p.p. chiedere revoca della sentenza o del decreto penale di condanna.
Per il futuro, si considereranno sanzionabili gli atti di cui alla fattispecie del 314bis, che un tempo avremmo chiamato peculato per distrazione e non quella del 314.
Con la stessa norma, nel traffico di influenze rimuove la “millanteria”: chi cerca quindi di ottenere vantaggi illeciti presso un pubblico ufficiale dichiarando qualità inesistenti verrà “spostato” nel reato di truffa di cui all’art. 640 c.p.
Vi saranno limiti alla pubblicazione delle intercettazioni, allo scopo di evitare la “giustizia spettacolo” che trasforma sovente il giornalismo in uno show per guardoni che finisce a riguardare intercettazioni su soggetti terzi non coinvolti nella fattispecie ed elementi non essenziali, l’avviso di garanzia sarà sommario e dedicato ai caratteri della tutela della privacy, nonché ulteriori garanzie in sede di rito cautelare.
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