Sembrano intelligenti ma non lo erano: i robot smart nell’era del retro
Anche nell’era del retro esistevano i robot smart. Robot parlanti, robot semoventi, giocattoli in grado di leggere e di fare quello che un moderno computer con programmi educativi potrebbe fare per un bambino.
Ma il trucco c’era, e con un po’ di astuzia si vedeva.
Omnibot: il nonno intelligente di Emiglio Robot
Tutti quelli che leggono questa rubrica ricorderanno le avventure dell’oggetto del desiderio dei bambini degli anni ’90, Emiglio Robot, il tenero robottino telecomandato, un esemplare Bandai rimarchiato, secondo la storia Italiana venduto dal pianeta Amiko-6 con la sua improbabile compagna “Martina Cuoricina” per allietare i bambini di tutto il mondo e, forse, riuscire a portare fiori e caffé a letto dei loro genitori (o dei ragazzini ora cresciuti) senza sbrodolarsi indosso grazie alle loro braccine prensili.
Emiglio e Martina erano telecomandati: ma se vi dicessi che dieci anni prima Takara-Tomy, concorrente di Bandai, già vendeva negli USA e in altri luoghi un parente di Emiglio in grado di muoversi autonomamente?
Parliamo degli Omnibot (1986), che nel loro spot erano infatti mostrati, al contrario del “nostro” Emiglio, pronti a folleggiare assieme senza alcuna traccia di umano in vista.
Il trucco degli Omnibot c’era, ma non si vedeva, ed è un trucco che vedremo assieme in un altro giocattolo di cui parlerà questa rubrica, il Teddy Ruxpin (questo onnipresente anche nelle case degli Italiani più facoltosi).
Nel pancino di ogni Omnibot c’era infatti un registratore a cassette, usato però come il Datassette del Commodore 64 per registrare una sequenza di dati. In questo caso, il numero di giri del motorino che costituiva il suo mezzo di locomozione primario (rotelle sotto i piedi) e una serie di operazioni che oggi definiremmo macro, operazioni preprogrammate.
Potevi quindi usare un Omnibot come un Emiglio, usando lo (scomodo) telecomando per impartirgli comandi. Oppure potevi “registrare” sulla cassetta da dargli in pasto movimenti e parole. Il robot avrebbe intuito di dover ad esempio andare avanti per “tot giri”, sterzare dopo un certo tragitto, sollevare il braccio e parlare.
Avresti potuto ipoteticamente programmarlo per entrare in una stanza, prendere un oggetto, dire una frase e portarlo altrove.
Ovviamente qui entrano i limiti della “non Intelligenza Artificiale”. Se per qualsiasi motivo Omnibot si fosse fermato, da un tappeto troppo intricato (anche se i modelli venduti in Occidente avevano la frizione impostata per il gusto occidentale del tappeto) fino ad un animaletto domestico o un ragazzino incline a “disturbare” la marcia di Omnibot per coccolarlo (la sua testolina luminosa non aiutava a lasciarlo in pace), Omnibot avrebbe “perso il conto” e quindi la coordinazione, disvelando la sua mancanza di una vera intelligenza.
Il povero Omnibot non sa neppure di esserci, sostanzialmente, ma è bravissimo a simularlo.
Lo stesso artifizio ereditato da alcuni suoi simpatici antenati.
Emiglio e Percival il Robot Genio
Emiglio, per quanto sia un simbolo della sua epoca, non è mai stato bravo a simulare l’intelligenza che non aveva al contrario di Omnibot e tutti i suoi fratelli.
Emiglio era un robottino semplice a suo modo, per quanto grazioso: era fornito di un telecomando in grado di trasmettere semplici comandi e la voce del suo umano, camuffata da un selettore che consentiva di scegliere tra voce naturale, aliena o “robotica”.
Un po’ come Zoolander nella saga cinematografica, Emiglio poteva girare in una sola direzione: il suo telecomando aveva solamente bottoni per andare avanti o “indietro sterzando”, e al contrario di Omnibot le sue manine erano immobili: potevi aprirle e chiuderle manualmente intorno agli oggetti, o applicargli uno “zainetto rigido” per telecomandarlo a consegnare cose.
Destino simile alla sua compagna naturale, la citata Martina Cuoricina.
Prima del suo arrivo, negli anni ’80, Percival il Robot Genio però si presentava come il “robot amico più intelligente della Terra”.
La sua intelligenza era data dall’avere incorporato nella sua capoccetta una versione di Simon, il gioco elettronico della Milton Bradley, ostentando sufficiente “protointelligenza” per stimolare i suoi amici umani a giocare coi suoi giochi incorporati.
Concetto interessante, ma che 2XL, altro robot intelligente, aveva reso ancora più astutamente umano.
2XL è nato prima che voi possiate ricordarlo
Negli anni ’90 uno degli “amici” e concorrenti di Emiglio robot era il robottino 2XL. Egli non poteva muoversi, ma era alimentato da una serie di audiocassette che gli davano la capacità di sottoporre i suoi amici umani ad una serie di quiz, interrogandoli con una vocina sempre allegra e giocosa.
2XL è arrivato da noi nei primi anni ’90, ma ha avuto antenati dalla forma più goffa e sgraziata, e dallo stesso nome, attivi già negli anni ’70, con un 8 tracce nel pancino al posto delle “moderne” audiocassette.
Il meccanismo di ambo le versioni era simile: premendo i tastini sulla pancia una testina stereo, però collegata ad una cassa monoaurale, si spostava sulle quattro tracce (due per lato) della cassetta consentendo di scegliere la risposta legata alla domanda
Ogni domanda quindi poteva dalle due alle quattro risposte possibili, e domande e risposte erano doppiate (e modificate digitalmente per dare al robottino 2XL, pronunciato foneticamente come “To Excel”, “Essere eccellente”) in modo da dare l’illusione di un robottino spigliato, innocente ma brillante e geniale, giocoso e affettuoso.
Non a caso punto di vendita del 2XL “originale” fu essere “il robot con personalità”, tratto ereditato dai suoi nipotini successivi.
Il primo 2XL fu creato per la ditta MEGO, ed era un goffo robottino color Khaki militare prodotto fino agli anni ’80, con un’ultima versione munita di cartucce con programmi educativi e cuffiette per usarlo a scuola.
Il secondo 2XL, quello associato ai nostri ricordi, fu un revival del primo creato dalla ditta Tiger, che a questo punto aveva abbandonato ogni velleità scolastica e oltre ai programmi educativi forniva anche avventure a scelta multipla ispirate ai telefilm per l’adolescenza più famose degli anni ’90 dove, a seconda della risposta fornita, 2XL avrebbe cambiato per te il finale.
Come Omnibot, 2XL creava l’illusione di parlare con cognizione di causa, ma si limitava a scorrere un nastro registrato del quale tu cambiavi semplicemente la traccia in corso.
Anche 2XL come molti suoi coetanei ebbe una riedizione moderna: l’attuale 2XL però non finge di avere una AI, è munito di una AI. Il fatto che gli antenati “inconsapevoli” di 2XL fossero però in grado di simulare le sue capacità con molto meno a disposizione è un miracolo di prestidigitazione.
Un meccanismo simile fu usato per un robot ancora più famoso, anche lui esistente in versioni antiche e moderne.
Teddy Ruxpin, stereo eppure mono
Teddy Ruxpin era il peluche “animato” creato nel 1985 per vendere la tecnologia animatronica come giocattolo per bambini, protagonista poi di una serie animata creata come spot per i giocattoli animatronici.
Nella finzione televisiva Teddy Ruxpin è un “Ursus Illiop”, uno dei tanti orsi umanoidi di un mondo fantasy popolato di animali parlanti, sensibile e amichevole, in grado di parlare e provare emozioni e sentimenti umani, pronto a vivere avventure coi suoi amici salvano il modo da un collettivo di cattivacci.
Nella finzione domestica Teddy Ruxpin arrivava in casa con dei libri illustrati e una cassetta da infilare in un registratore sotto il suo panciotto: Teddy avrebbe così letto le storie delle sue avventure al suo bambino umano aggiungendo espressioni del viso e muovendo la bocca a tempo.
Come per 2XL il segreto era nella cassetta: una cassetta stereo ma con un impianto audio monoaurale (una singola cassa sulla schiena di Teddy). La traccia tradizionalmente legata all’audio monoaurale e al canale sinistro riproduceva le voci, il canale destro invece riproduceva una serie di suoni, non udibili dal piccolo giocatore umano, che in realtà erano dati utili per controllare il movimento di occhi e bocca e, nelle prime revisioni del giocattolo, il millepiedi animato Grubby, amico e compagno di avventure di Teddy.
Diverse revisioni del giocattolo si sono succedute negli anni: una di queste usava una microcassetta al posto della cassetta audio di dimensioni standard, seguita da un “ritorno all’antico” perché le microcassette rendevano il meccanismo interno più fragile, ma con meccanismi più economici.
Un nuovo Teddy Ruxpin reingegnerizzato per il mercato Americano attualmente usa occhi a LCD, bluetooth e memoria interna a stato solido per scaricare fiabe e racconti da cellulare.
Tra le curiosità legate al giocattolo, va ricordato come il suo primo produttore, World of Wonders, fu il principale importatore di Nintendo, quindi fino al momento della bancarotta attore principale dell’ingresso delle console Nintendo in Occidente e del sorpasso SEGA/Nintendo su Atari, rendendo quindi Teddy Ruxpin uno degli strumenti di traino che aprirono la strada ad un altro robot “semisenziente” dell’epoca, il robottino R.O.B., assieme al NES.
Sostanzialmente, il catalogo World of Wonders prevedeva Teddy Ruxpin, il Laser Tag e il NES, e ognuno dei tre spinse l’altro sugli scaffali creando il mondo che conosciamo.
Inoltre mentre le generazioni successive erano in grado di discriminare tra una cassetta registrata con la traccia per il movimento ed una normale cassetta stereo, la prima generazione mancava di tale controllo.
Teoricamente potevi inserire una cassetta “dual mono” (stereo ma coi canali uguali) o una sorgente audio per vedere il pupazzo muoversi, ancorché in modo imprevedibile, mentre parlava o cantava.
L’influencer e divulgatore Action Retro ha usato una chitarra elettrica per compiere tale esperimento, ottenendo di far muovere il peluche “quasi” a tempo di danza.
Il robot ROB
Di R.O.B. abbiamo già parlato come stravagante accessorio per il NES.
Lo scopo di R.O.B., Robotic Operating Buddy, ovvero l'”amico operativo robotico” non era primeggiare nelle vendite come Teddy, ma comparire come bundle nei primi NES per poi sparire dietro le quinte dopo aver svecchiato l’immagine stessa delle console.
L’Atari 2600 era ormai percepito come una console vecchia e stantia con alcuni titoli bellissimi e memorabili annegati in un oceano di titoli di terze parti scadenti e spesso ingiocabili, derivativi e poco originali, presa alle costole dai modernissimi (all’epoca) oggetti del desiderio VIC20 e Commodore 64.
R.O.B., il nuovo “amico operativo” fu il cavallo di Troia per portare nelle case degli occidentali il NES come un oggetto così moderno e scientifico da avere con sè un vero amico robot in grado di giocare.
In realtà il trucco era negli occhioni di R.O.B., fotocellule che reagivano a lampi luminosi provenienti dalla TV, con gli unici due giochi prodotti per esso, Gyromite e Stack Up che di fatto pilotavano R.O.B. dando al giocatore l’illusione che fosse il simpatico robottino a poter giocare con lui.
Di fatto R.O.B. era il cavallo di Troia del NES: se volevi “un amico robot” dovevi comprare il NES e non l’Atari, e una volta comprato il NES ti saresti reso conto di avere in mano una console di terza generazione.
Presto non ci fu più bisogno di R.O.B. che come abbiamo già visto assieme sparì dagli scaffali ma fu promosso a mascotte della Nintendo, comparso in diversi giochi e resuscitato sottoforma di Amiibo, immobile figurina in grado di interagire coi giochi moderni.
Il Grillo Parlante
Esuliamo ora dal mondo dei robot e passiamo ad un oggetto che in un mondo dove i tablet ancora non esistevano, prometteva di saper leggere e scrivere e insegnare ai bambini a farlo, invero anche con una certa efficacia.
Parliamo del “Grillo Parlante” di Clementoni, edizione importata e modificata con una ROM Italiana dello Speak’n Spell di Texas Instruments.
Lo Speak’n Spell arrivò sugli scaffali americani nel 1978, ma la versione a noi nota è la versione ridisegnata del 1983, esportata in diversi paesi ed in Italia col nome Grillo Parlante.
Sostanzialmente era una tastiera ed un display (nelle prime revisioni un display fluorescente a vuoto, rimpiazzato da un display a cristalli liquidi) con una porta cartucce, costruiti intorno ad uno dei primi chip di sintesi vocale a codifica predittiva lineare, una gamma di prodotti che Texas Instrument migliorò e produsse senza sosta fino al 2001.
Per l’epoca il Grillo Parlante era di una novità incredibile: il chip di sintesi vocale consentiva di contenere nell’esigua memoria del giocattolo l’intera gamma di fonemi necessari per parlare con una voce chiara ancorché meccanica.
Essendo dotato di CPU, RAM e Memorie di massa in un certo senso poteva essere considerato un computer dedicato, o quantomeno uno dei primi videogiochi portatili della storia, che consentì ad una generazione di addestrarsi nella lettura e scrittura da autodidatti.
Il Grillo Parlante essendo la versione “Italiana” di un gioco prodotto in più paesi era di fatto non solo compatibile con cartucce-programma vendute in Italia, ma con la gamma di cartucce prodottre per i suoi fratelli nel mondo, rendendolo più o meno involontariamente uno strumento per impratichirsi anche in lingue diverse dall’Italiano.
I programmi forniti di serie comprendevano Scrivi, un gioco che incitava i bambini a ribattere sulla tastiera una parola ripetuta dal Grillo, Ripeti, che leggeva delle parole che apparivano sul display invitando i bambini a ripeterle (perfezionando per l’effetto la capacità di leggere e ascoltare), ABC (modalità nella quale il Grillo Parlante “leggeva ad alta voce” le lettere premute dai ragazzini fornendo loro un po’ di educazione alla lettura), Indovina (una sorta di Gioco dell’Impiccato o Ruota della Fortuna per ripassare le cognizioni accesi) e Codice, un cifrario per criptare messaggi segreti trasformando quindi l’attività di dattilografia in un gioco.
La versione diffusa in Italia era abbiamo detto quella anni ’83, con la tastiera a membrana customizzata dall’importatore (in Italia col logo Clementoni e del Grillo Parlante di Pinocchio), monitor a cristalli liquidi da vecchia calcolatrice e un grosso ma gracchiante altoparlante.
La versione precedente, coi tasti in gomma a forma di caramelle fa una sua apparizione nel film ET – L’extraterrestre del 1982 come componente del macchinario usato da ET per comunicare.
Anche in questo caso nel Grillo non viveva una vera intelligenza: semplicemente un chip di sintesi vocale ben compresso con dei programmi stimolanti per la mente di un bambino prescolare.
Oggi otterremmo lo stesso effetto con un tablet caricato a programmi educativi, ma esistono ancora edizioni moderne del Grillo Parlante (ma solo la versione inglese).
È incerto il loro scopo: dare ad un bambino un oggetto molto meno costoso di un tablet per non avere rimpianti se lo sfascerà giocando, oppure dare ai genitori nostalgici un feticcio del loro passato?
I discendenti dei “robot (quasi) intelligenti”
Siamo arrivati nel 2024: come abbiamo visto molti dei robot dell’epoca hanno controparti potenziate dall’AI, o rinnovate.
Ci sono ancora robottini giocattolo però che simulano l’intelligenza, ma in modo più moderno. Come gli Eilik di Energizelab, descritti come “robot dall’intelligenza emotiva”, muniti di piccole macro e la capacità di interagire col tocco umano usando i loro visini/monitor per mettere in scena buffe scenette per attirare il loro amico umano o un altro robottino collegato con dei sensori magnetici.
Paradossalmente, la loro “storia” di copertina è la stessa di Emiglio: anche loro vengono da un pianeta lontano cercando di sfuggire al destino tipico dei robot di lavorare per gli umani preferendo giocare con gli umani.
In fondo il concetto di “robot amico” non è mai cambiato negli ultimi anni: quello che è cambiato è il fatto che negli anni ’70 e ’80 potevamo, anche un po’ ingenuamente, simulare l’intelligenza e la personalità con una audiocassetta o una registrazione.
Non male, contando che ci sono anche esseri umani che con molto meno simulano una personalità e un carisma che non hanno.
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