Collezione di bufale e leggende metropolitane dei retrogiocatori: ammettilo, ci sei cascato anche tu
Ci sono leggende metropolitane e credenze comune a tutti i videogiocatori vintage: in molte di queste ci siamo cascati tutti. Riti fatti per abitudine e scaramanzia, credenze tramandate di utente in utente e diventati “fatti della vita”, che non necessairamente corrispondono al vero.
Proviamo a rivederne alcune assieme, nonostante di almeno un paio ne abbiamo parlato assieme in passato, ma potremmo approfittarne per un ripasso.
No, soffiare nella cartuccia non serve a niente (anzi)
Uno dei rituali tipici del giocatore dalla seconda generazione di console in poi, quella nella quale il gioco su cartuccia fu introdotto, ma comune dalla terza in poi (quando le console Nintendo e SEGA prima, Nintendo e SONY poi divennero onnipresenti in quasi ogni casa) era quello di soffiare nella cartuccia di gioco.
La cartuccia non funzionava, si soffiava con forza dentro, la cartuccia riprendeva a funzionare. Il “soffio della vita” divenne uno dei fatti tipici della storia umana.
Ne abbiamo parlato in passato, ma conviene ripetere: una cartuccia è sostanzialmente una scheda con un connettore a pettine che fa contatto con uno zoccolo, solitamente uno ZIF (“Zero Insertion Force”, senza bisogno di premere con forza) o comunque facile da operare le deboli manine di un ragazzino.
Se la cartuccia è nuova e ben conservata, nessun problema: i contatti entrano nello zoccolo, la console legge il gioco, tutto a posto. Se i contatti sono sporchi, ossidati o corrosi, il contatto non viene più fatto.
Soffiare poteva rimuovere un po’ di polvere, ma quello che “resuscitava le cartucce” era il ripetere più volte l’inserzione: lo zoccolo “grattava” la cartuccia e sozzura e corrosione “cadevano” ripristinando il contatto, oppure inserendo la cartuccia leggermente “più in là” i pettini entravano in un angolo più favorevole.
All’epoca del NES ricordammo all’epoca erano già disponibili “pulitori professionali”, ovvero finti zoccoli con feltro che potevano essere umettati di alcol per sgrattare con più vigore e igiene.
È ora possibile comprarne di nuovi, ma non ne avete bisogno: un cottonfioc o uno spazzolino imbevuti di alcol saranno utili per una prima pulizia: aprire delicatamente la cartuccia per pulire accuratamente il pettine aiuterà molto.
Le Cartucce del NES erano vuote per rubare sul prezzo: no (ma anche sì)
In realtà le cartucce del NES non erano parzialmente vuote per “rubare sul prezzo”, ma per dare al pubblico occidentale l’immagine di un prodotto più raffinato, “premium” e di elevata qualità.
L’obiettivo era scimmiottare il nuovo oggetto del desiderio occidentale: il videoregistratore.
Il Famicom, la versione originale e orientale del NES, era a caricamento dall’alto come la futura versione economica dello stesso, il “NES Top Loader”, e aveva cartucce con un pettine più largo, coi pin organizzati in modo diverso: 60 pin sul Famicom e 72 sul NES, ma con pin sul NES dedicati al chip di protezione (per impedire l’uso di cartucce homebrew e non autorizzate) e la mancanza di due pin che il Famicom usava per espansioni (come chip audio migliorati) inserite nella cartuccia.
Le cartucce del Famicom erano più piccole e difficili da aprire: Nintendo dopo aver osservato il fallimento di Atari stabilì che la loro console occidentale avrebbe dovuto avere l’aspetto di un videoregistratore e le sue cartucce avrebbero dovuto somigliare a cassette VHS, avere un aspetto imponente e, a parità di prezzo rispetto alla mole guadagnata sembrare un prodotto più importante, lussoso e degno di essere comprato e collezionato.
Il Robottino R.O.B. ebbe lo stesso scopo: Nintendo non si aspettava un boom di vendite dell’accessorio, ma popolarizzare l’immagine del NES come oggetto raffinato e futuristico contro il rozzo, grezzo e primitivo Atari VCS.
Il piano riuscì: in alcune cartucce per NES peraltro è possibile trovare nello spazio aggiuntivo una cartuccia per Famicom “sgusciata” e un adattatore “60 to 72 pin” buono per essere smontato e usato su altre cartucce.
Potevi davvero saltare oltre la bandierina nel primo Super Mario Bros.: ma “rompevi” il gioco
Una delle leggende metropolitane più diffuse ai tempi di Super Mario Bros. era la possibilità per il giocatore di saltare oltre la bandierina: per i quattro sassi che non lo sanno, un punto fisso di quasi tutti i giochi dedicati alla saga è nel finale di ogni livello una bandierina da ammainare. Più in alto la tocchi, più punti hai.
L’idea era che saltando così in alto da evitare la bandierina si sbloccassero livelli segreti o punteggi galattici: semplicemente, nei pochi quadri in cui con molti magheggi era possibile farlo, si “rompeva” il segnalino di fine livello, bloccando così il gioco e costringendo Mario a vagare senza meta in uno sfondo eterno.
Non potevi rovinarti la vista con la pistola ottica (Light Phaser / Zapper)
Una delle tipiche leggende delle nostre madri è che puntando in faccia ai nostri fratelli la pistola ottica (sovente parte degli accessori del SEGA Master System e del NES, più raramente usata anche dagli utenti del Commodore 64) avresti potuto rovinarne la vista come con un puntatore laser puntato negli occhi.
Un errore comune, e che i novax hanno recentemente riutilizzato attribuendo ai termometri ottici usati in pandemia la capacità di “attraversare il cranio” e “bucare il cervello”.
In realtà come abbiamo avuto di vedere le pistole ottiche sono basate su un sensore ottico infilato in fondo ad un congegno a forma di canna di pistola, con un piccolo pezzetto di plexiglass trasparente a protezione.
Nel momento in cui premi il grilletto il sensore recepisce una “hitbox”, ovvero un quadrato illuminato che compare per un tempo infinitesimale sullo schermo della TV. Quando la lettura e il colpo coincidono, viene segnato un colpo andato a segno, quando invece essi non coincidono il colpo sarà segnato come non valido.
Giochi come il celeberrimo Duck Hunt per NES sfruttavano questo meccanismo, che non funzionerà però collegando la stessa console ad un moderno monitor LCD.
Il tempismo necessario a far coincidere sparo, quadrato luminoso e punteggio in gioco dipendeva da una precisa forma di sincronia che gli LCD non consentono, e peraltro consentiva di evitare un “trucco” tipico dei giocatori delle precedenti iterazioni del gioco: non potevi più puntare il sensore ad una lampadina accesa per simulare un “colpo sempre riuscito” avendo bisogno del contrasto della “hitbox”.
Giochi moderni usano infatti altri sistemi, come gli accelerometri del WiiMote, il telecomando/controller della Wii che registrava le posizioni relative ad una striscia rigida a led da incollarsi sul bordo della TV e la combinazione di sensori di movimento, accelerometri e Bluetooth dei Joycon.
Ma il vecchio sistema non nuoceva alla vista, e non produceva segnali particolari.
No, non potevi sparare al cane in Duck Hunt (non sul NES)
Una truculenta leggenda metropolitana basata sull’uso dello Zapper prevedeva la possibilità di sparare il cane da caccia in Duck Hunt, vendicando così le paperelle e la frustrazione di essere derisi dalla bizzarra creatura animata nel gioco.
In realtà questa modalità non è mai stata presente nelle ROM per uso domestico: nel gioco arcade della serie Nintendo VS (versioni “da sala giochi” dei grandi successi) esiste un quadro bonus in cui puoi sparare sul cane “affumicandone” la faccia e spingendolo ad allontanarsi sorpreso dalla tua facoltà di vendicarsi, e questo è quanto.
Probabilmente la leggenda metropolitana è nata per caso, o dai fortunati ragazzini esposti ad una copia di VS Duck Hunt in sala giochi.
Le barre colorate del caricamento dei giochi Commodore 64 e ZX Spectrum non avevano scopi misteriosi e nefasti
Alcune famiglie ti dicevano che guardare troppo a lungo le barre colorate che si formavano durante il caricamento dei giochi per Commodore 64 e ZX Spectrum avrebbe rovinato la vostra vista: assolutamente falso.
Altri ragazzini che si sentivano “hacker” dicevano che in qualche modo il Commodore 64 “caricava il gioco” usando le righe colorate come “sistema alternativo” per caricare più dati in memoria.
In realtà la spiegazione era molto più semplice: le barre colorate servivano per darti una tangibile raffigurazione del fatto che il tuo computer stava lavorando per te e non si era piantato.
I tempi di caricamento del Commodore 64 come abbiamo visto erano biblici per mille ragioni, e anche caricare un gioco su cassetta per lo Spectrum non era esattamente rapidissimo.
Caricando un programma su cassetta sull’Apple II avresti avuto a monitor un output con scritto “ETA” e il tempo di caricamento (estimated time of arrival, tempo previsto per il completamento) seguito dal caricamento o, spesso, da un messaggio di errore relativo al mezzo usato.
Caricando su un Commodore 64 o uno Spectrum senza tale artifizio avresti visto uno schermo immobile e saresti stato tentato di andartene via.
Più tardi alcune ditte come Ocean introdussero gli “Ocean Loaders”, scenette disegnate con melodie dei più grandi compositori di musica online, e anche i pirati nostrani iniziarono a inserire goffi disegnetti con qualche musichina e le barre colorate.
Alcuni produttori inserirono “giochi dentro i giochi”, come “Invade-A-Load”, una versione di Space Invaders da giocarsi mentre aspettavi che il vero gioco caricasse. Era senz’altro meglio che aspettare.
I primi titoli di Pokémon erano pieni di leggende metropolitane, e tutte incoraggiate dagli autori
Game Freak, ditta madre di Pokémon, era sostanzialmente una casa di produzione di videogames costruita da smanettoni per smanettoni.
La carriera videoludica di Satoshi Tajiri, padre del franchise, era nata proprio scrivendo guide ed elenchi di trucchi per i videogames più diffusi. Nessun mistero quandi che quando nascevano leggende metropolitane e trucchi veri o falsi che fossero per i giochi della casa, l’approccio del team di Game Freak fosse lasciare che i ragazzini sperimentassero e scoprissero con i loro occhi la verità.
Il Camioncino di Mew
Una delle leggende più diffuse aveva la possibilità di incontrare l’elusivo Mew, Pokémon mitico (classe di Pokémon non ottenibile nel gioco con mezzi ordinari), spostando un camioncino raggiungibile solo forzando il gioco in ogni modo possibile nella località di gioco di Aranciopoli.
Ovviamente, cercando di usare ogni tipo di mossa sul camioncino non accadeva niente di niente. Esisteva un solo modo ufficiale per avere Mew: lo stesso Satoshi Tajiri, dopo aver scoperto che i giocatori avevano effettivamente scoperto come concatenare una serie di bug in modalità “non troppo legittimamente” (ma all’epoca non esistevano controlli di legittimità dei Pokémon non essendovi una scena competitiva) decise di presentare la prima vera distribuzione di un Pokémon mitico.
Una “truffarella” nella quale molti ragazzini potevano mandare una cartolina ad una rivista e venti di loro avrebbero potuto rispedire la loro adorata cartuccia agli studi di Game Freak: lì Shigeru Morimoto in persona avrebbe inserito la cartuccia in un GameBoy attaccato al suo PC, spedito al volo la bestiola, reimballato la cartuccia e rispedita ai bambini in attesa, aprendo così la via a decenni in cui giocatori di tutto il mondo si recavano lieti in negozi convenzionati per ottenere il proprio bestiolino virtuale, rito interrotto dall’arrivo di Internet e dalla possibilità di ottenere gli animaletti a casa (ma praticamente fino al 2020 pandemico era ancora possibile ritirare dei grattini o scontrini con codici per sbloccare il download del Pokemon di turno).
Il “tasto per catturare più facilmente”
Riconosci un giocatore di Pokémon della prima ora perché spesso, a tutt’oggi, come gesto assai scaramantico, tende a tenere premuto il tasto B, o il tasto B più il tasto basso, o altre combinazioni mentre usano la Sfera Poké per catturare alcuni animaletti virtuali.
All’inizio del franchise si diffuse infatti la leggenda metropolitana, ispirata dal Konami Code, che esistesse una sequenza di tasti per rendere la cattura dei Pokémon facilitata.
Ovviamente la leggenda era un falso, ma a questo punto divenne un gesto di scaramanzia come tanti: c’è il giocatore di Poker convinto di possedere un oggetto portafortuna, e c’è il giocatore di Pokémon convinto che il suo talismano sia pigiare tasti a random sul Pro Pad o sul JoyCon quando non serve farlo.
I Pokegods
Sul finire della run di Pokémon Blu/Rosso, la scoperta di Mew e dei glitch che potevano far appariere creature buggate, come “Missingno.” (semplicemente un “segnaposto” per valori non compatibili con un Pokémon esistente inserito forzosamente in cartuccia a colpi dei mille bug nei primi giochi) i giocatori si convinsero dell’esistenza dei “PokeGods”, Pokemon “mitici prima che fosse codificato il concetto di Mitico”, sulla base del fatto che “Se ci hanno dato Mew, possono darci anche altri Pokémon”.
In realtà nelle cartucce di Blu e Rosso c’era a stento spazio per il gioco, figurarsi per aggiungere Pokémon, e il concetto di DLC (contenuto a pagamento da scaricare successivamente all’uscita del gioco o sin dal primo giorno di pubblicazione per sbloccare nuovi livelli, funzioni e personaggi) era al di là da venire.
L’apparizione di Ho-oh, Pokémon leggendario di seconda generazione, nel primo episodio dell’anime di Pokémon confermò l’apparente teoria, come l’apparizione di Donphan in Pokemon: Il Film del 1998.
In realtà entrambi i Pokémon servirono a inagurare una tradizione nata proprio dalle leggende metropolitane: Game Freak avrebbe sempre presentato prima un paio di Pokémon “nuovi”, poi tirato fuori un trailer e poi fomentato l’hype verso il nuovo gioco con ulteriori trailer e video di gameplay fino al lancio, per poi ripetere l’operazione.
Ultimamente ad esempio Terapagos, leggendario dell’ultimo DLC della generazione corrente, è stato presentato come parte della serie animata di Pokémon che ha seguito le ormai concluse avventure e la storia di Pecharunt, ultimo Pokemon nel Pokedex corrente e introdotto nell’epilogo in omaggio ai DLC è stata affidata ad un corto animato sul canale YouTube ufficiale con le peripezie del bizzarro animaletto e il motivo per cui sembri desiderare di avere un umano personale.
Altro “Pokemon extra Pokedex” è Meltan, tenero bulloncino animato, anche lui introdotto in un evento nel gioco Pokemon Go (in cui dei Ditto, Pokémon mutaforma, ne prendevano l’aspetto rilevando di averli avvistati) e che una serie di corti animati e dei dialoghi presenti nel gioco per Smartphone hanno rivelato essere sempre stato presente nel paese (Kanto) in cui i primi giochi erano ambientati, ma in forma “dormiente” ed è stato svegliato in tempo per il rifacimento per Nintendo Switch.
Deoxys da bufala a verità
Una bufala nota prevedeva interagire con un personaggio secondario in Pokémon Zaffiro/Rubino (terza generazione) per cento giorni di fila per andare nello spazio a catturare il Pokémon Mitico Deoxys.
Deoxys ricevette nel rifacimento per 3DS la possibilità di essere catturato, con l’introduzione di un “Episodio Delta” (contenuto post-Game, un epilogo giocabile) in cui il protagonista con l’aiuto di alcuni alleati viene chiamato ad ammansire il Pokémon Drago Rayquaza che lo porterà nello spazio a catturare Deoxys impedendogli quindi di schiantarsi sulla Terra del “Mondo di Pokémon” approfittando invece di un passaggio nel tuo zainetto.
Lasciando il ricco mondo delle bufale su Pokémon, possiamo tornare ad altri capisaldi dell’epoca
No pervertiti, non potete spogliare Chun-Li, Lara Croft o nessun’altra
Generazioni di erotomani sono vissuti nella speranza di poter, frequentando con assiduità i cabinati, di poter spogliare l’avvenente guerriera di Street Fighter II e vederne le grazie, per poi anni dopo passare in scioltezza al vedere il proprompente e poligonale seno di Lara Croft esposto all’aria in 3D.
Tali leggende metropolitane avevano un’origine comune: la diffusione in Giappone di giochi e prodotti di animazione con tematiche ecchi, cosa che definiremmo con altro genere “softporn” nel quale vedere le grazie di fanciulle disegnate era un apprezzato bonus, come ad esempio il Time Gal del 1985 dove l’affascinante Reika non veniva mostrata del tutto ignuda, ma sovente in pose assai ammiccanti, vestitini lacerati nel “vedo e non vedo” e pronta a fuggire dal pericolo invocando l’aiuto del giocatore chiamato a scelta “papi” e “fratellone” (per lo stesso motivo per cui “daddy” è considerato un soprannome accettabile nel porno americano…)
E non esiste alcuno Sheng-Long (o quasi)
Quando gli stessi non erano occupati a cercare di spogliare Chun-Li col pensiero, o almeno convincerla a chiamarli “papi”, i suddetti abbocconi erano mesmerizzati dalla frase di Ryu, altro personaggio di Street Fighter “dovrai sconfiggere Sheng Long prima di battermi”.
Attribuita all’esistenza di un personaggio segretissimo sbloccabile, il Maestro Sheng Long in grado di allenare tutti i guerrieri. Shen Long apparve brevemente in un fumetto del 1993 al posto di Gouken, il vero maestro di Ryu e Ken, e fu oggetto di diverse leggende metropolitane, nonché di numerosi pesci di Aprile autorizzati da CAPCOM, divertita dal fiorire di mille leggende.
Secondo alcune, Shen Long era il “nome occidentale” del maestro Gouken e/o del suo rivale Akuma. Secondo altri era un “SuperMaestro dei Maestri” in grado di usare le tecniche più potenti di tutti gli Street Fighter in quanto inventore di tutte le discipline.
In realtà l’intera frase era una traduzione errata di “Dovrai sconfiggere il mio Shoryuken”, la mossa tipica di Ryu.
Sheng Long apparve solo in Street Fighter 6, nel 2023, come omaggio vivente alla fake news, un NPC di livello elevato, boss non obbligatorio, e apparve solo dopo decenni di caccia alla bufala.
Aerith vive (quasi)
Dopo decenni ormai non è uno spoiler il fatto che uno dei traumi infantili più dolorosi dei giocatori di Final Fantasy VII, primo capitolo per Playstation e primo capitolo in 3D, ancorché brutto, è la morte della fioraia/antica Cetra (popolazione antichissima precedente la stessa umanità del gioco) Aerith, uccisa per mano del crudele cattivaccio Sephiroth pronto a trapassarla da parte a parte col suo grosso spadone (per favore, tenete lontani da questi paragrafi i cacciatori dei nudi di Lara Croft…).
Una combinazione di fattori, tra i quali Aerith essere descritta come l’archetipo stesso del “moe” (fanciulla pura e virginale, amichevole e dolcissima con tutti, tipico esempio del “troppo pura per questa terra di peccatori”) e la brutalità e sorpresa dell’esecuzione videoludica, più un paio di glitch che portano a vedere una “immagine fantasma” della stessa hanno fatto in modo che, per anni, il giocatore medio non si rassegnasse alla sua esecuzione.
Per anni si sono diffuse leggende metropolitane (citate persino nel film “Ralpha Spacca-Tutto”) su come evitare l’esecuzione oppure quali oggetti radunare per salvare la fanciulla, senza alcuna riuscita.
Non ha aiutato nel codice di gioco un NPC scartato che definiva il luogo preferito del personaggio, una chiesa abbandonata adibita a suo giardino personale, come inquietante e dall’aria posseduta: più o meno quello che diresti del posto dove un pazzo armato di spadone ha trucidato la fioraia del paese.
Semplicemente il gioco originale agiva per “sottrazione” e non per addizione: caricava sempre e comunque lo scenario della chiesa abbandonata con tutti i personaggi possibili, rimuovendo quelli non presenti in un determinato momento di gioco.
Nel 2020 un remake del gioco ha introdotto il concetto molto postmoderno delle diverse linee temporali, esaminando una linea temporale in cui Aerith riesce a salvarsi dal primo attentato e assieme ai protagonisti del gioco scopre che esistono forze che cercano di guidare gli eventi del gioco in modo che seguano la falsariga di quelli del traumatizzante gioco degli anni ’90 e forze che invece cercano una linea temporale diversa, e nel capitolo attuale, uscito quest’anno, avrete modo di scoprire cosa i personaggi hanno ulteriormente scoperto e come essi cercano di cambiare dei destini che apparentemente sono già stati scritti per loro in un passato che non comprendono.
In Final Fantasy VIII una cutscene viene ispirata a questo glitch: è possibile che i personaggi confondano, con tanto di “apparizione” la padrona di casa dell’appartamento dove viveva un personaggio defunto prima degli eventi del gioco con la vecchia proprietaria. Questa volta, interagendo col personaggio, si otterrà solo una risposta piccata per essere stata confusa con una defunta (e comunque, forse in omaggio alla leggenda metropolitana di Aerith, la nuova padrona di casa deciderà di lasciare fiori freschi ogni giorno sul tavolo per omaggiare la compianta ex inquilina).
Come Ermac (Mortal Kombat) divenne un personaggio vero
La storia di Ermac è più o meno quella di Pinocchio, da pupazzo a bambino vero, o nel suo caso, da semplice messaggio di errore a personaggio giocabile.
Ogni cabinato da sala giochi appena acceso solitamente mostra un menù di “self test”, di test automatico, nel quale diverse funzioni del gioco vengono provate.
In alcune situazioni nei primi Mortal Kombat poteva apparire un messaggio di “Errore Macro” (Er.Macs.), in realtà una delle statistiche di test. Insomma, i tipici messaggi di errore che in realtà errori non sono ma possibilità di errore, ovvero una funzione per catturare errori vari e loggarli.
I giocatori decisero che esisteva una “macro che cambia il colore dei personaggi” (in realtà impossibile), basata sul fatto che diversi personaggi come Scorpion e Reptile erano semplicemente lo stesso modello in cattura digitale ricolorato digitalmente.
Ovviamente è impossibile che un errore ricolori perfettamente un personaggio in quel modo, ma all’epoca tutti si sentivano hacker. Altri cominciarono a pensare che non fosse un errore, ma ci fosse un “terzo ninja” tutto rosso di nome Ermac.
Ermac fu introdotto in Ultimate Mortal Kombat 3, e la sua backstory quella di essere un “kombattente” (guerrieri di Mortal Kombat) artificiale ottenuto dando un corpo alle anime di centinaia se non migliaia di guerrieri caduti in battaglia o comunque morti in modi mistici che ne hanno rubato l’eterno riposo.
Ermac quindi è oltre il bene e il male: malvagio quando le anime più crudeli raggiungono la maggioranza, buono quando accade il contrario, un’entità torturata in cerca di uno scopo, incarnazione negromantica di un glitch vivente.
La stessa leggenda metropolitana del “Glitch cambiacolore” ha generato il personaggio di Skarlet, introdotta nel franchise solo nel 2011 come omaggio al glitch degli ’90 per cui era possibile colorare il personaggio di Kitana di rosso.
Nella sua nuova versione Skarlet è una kunoichi che ha ottenuto nuovi poteri da una serie non precisata di “esperimenti genetici” e quindi indossa un tradizionale costume da kunoichi del suo mondo (lo stesso di Kitana e della sua clone parziale, nel reboot moderno sorella infettata da un virus mutageno, Mileena) però rosso fiamma.
No, non puoi “scaricare più RAM”, anche se molti l’hanno creduto
Un sito umoristico offre la possibilità di “scaricare più RAM” per il proprio PC, un video di Rickrolling alla volta.
Ma anche in passato la RAM era per molti un collo di bottiglia, passando da un mondo in cui 640Kb erano tutto il necessario ad un mondo in cui la RAM non era mai abbastanza.
Entra in scena SoftRAM, programma che prometteva con complessi algoritmi di “raddoppiare la RAM” da usarsi in Windows 3.1x e Windows 95.
SoftRAM non faceva niente di tutto questo, si limitava a consentirti di settare con maggior facilità (ma già era facilissimo farlo senza) lo “swap file” su disco, una porzione di disco usata come succedaneo della RAM quando essa era insufficiente tutt’ora presente sui PC moderni, peraltro facendo in modo che l’utente fosse convinto non già di aver settato lo swap file, ma “compresso la RAM”.
Nel 1995 la Federal Trade Commission americana costrinse la ditta produttrice a ritirare dal commercio SoftRAM, dichiarando che, non era possibile “scaricare più RAM”. La ditta acconsentì a fornire rimborsi di 10 dollari agli acquirenti e passò a produrre un programma altrettanto inutile che avrebbe consentito di installare Windows 98 su un PC con Windows 95 ma lasciando la precedente installazione “dormiente” e pronta a tornare in vita in caso di malcontento con Windows 98, di fatto rendendo a pagamento funzioni che Windows 98 già aveva.
La ditta fallì uscendo dal mercato.
Diablo II aveva un “livello pieno di mucche” perché Diablo I non lo aveva
In Diablo, gioco di ruolo del 1996, si diffuse la leggenda di un livello segreto popolato da sole mucche, raffigurato coi (primitivi) tentativi di screenshots alterati dell’epoca, senza AI.
Blizzard fu così impressionata da introdurre nel capitolo successivo un livello segreto di bizzarre mucche armate pronte ad essere gioiosamente saccagnate dal giocatore, in omaggio alla leggenda metropolitana così tanto desiderata.
Polybius, il “falso gioco della CIA”
Di Polybius ne abbiamo parlato assieme qui, ricordate?
Ed è un eccellente caso di studio su come le bufale nascono e si diffondono. Chiuderemo questa carrellata rimandandovi all’articolo dell’epoca: brevemente ricorderemo Polybius come la confluenza di più fattori.
Innanzitutto il complottismo: nel mito Polybius era un cabinato “nero e senza insegne” piazzato dalla CIA nelle sale giochi di Portland per fare il lavaggio del cervello ai ragazzini e compiere esperimenti mentali.
In realtà era l’ente somma di diverse narrazioni ed eventi di quegli anni: innanzitutto il proliferare dei primi tornei di eSport e le raccolte di “record da sala giochi” che spinsero molti ragazzini tra le braccia di quella che oggi chiameremmo “ludopatia” nel tentativo di raggiungere il record di punteggio, con casi di ragazzini che “pernottavano” ore davanti al cabinato cercando di ottenere il nuovo record da Guinness dei Primati ritirandosi poi a causa di mal di testa, disturbi intestinali o ambo le cose.
Seguita dal fatto che, effettivamente, le Sale Giochi erano sorvegliate dalla polizia, ma perché come molti luoghi di aggregazione giovanile, posto perfetto per lo spaccio di droghe leggere e simili.
Inoltre un “cabinato senza insegne” esistette davvero: i “cabinati riciclati” delle Sale Giochi, che spesso compravano nuove schede ma si tenevano i cabinati che avevano, e il “Poly Play”, cabinato sovietico venduto nella Germania dell’Est ottenuto da giochi clonati in barba al diritto d’autore (inesistente nell’Unione Sovietica, almeno per quanto riguardava le proprietà degli “Occidentali Capitalisti”) che di fatto era ottenuto da una vecchia TV/monitor in un cabinato dall’aspetto artigianale e malfatto.
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