Leo Stanley: la storia del chirurgo che trapiantava i testicoli dei criminali
Uno degli esperimenti più strani mai condotti da un medico è il “metodo” del dottor Leo Stanley. Il suo nome è passato alla storia (poco conosciuta, in verità) per la singolarità dei suoi esperimenti, che con il tempo sono diventati veri e propri metodi a causa del numero di applicazioni. Stanley credeva che il trapianto di testicoli potesse ringiovanire il corpo e migliorare la moralità, e ha eseguito numerosi interventi su prigionieri a San Quentin, utilizzando testicoli di prigionieri giustiziati e di animali.
Gli atroci esperimenti sui detenuti
Nel 1913, nonostante la mancanza di esperienza chirurgica, Leo Stanley fu nominato capo chirurgo nella prigione di stato di San Quentin, California. Convinto che le malattie endocrine fossero la causa del crimine, scrisse nelle sue memorie che “forse le ghiandole logore cercano conforto in strane direzioni”. Sostenitore del trapianto di testicoli per il ringiovanimento e l’inversione dell’età maschile, eseguì tali interventi sui detenuti del carcere (oltre 10.000), utilizzando organi di prigionieri giustiziati e animali come capre, cinghiali, montoni e cervi.
I suoi esperimenti, iniziati intorno al 1918 e continuati fino al 1951, miravano a rigenerare la vitalità dei prigionieri e ridurre le loro inclinazioni criminali. Stanley credeva anche che queste procedure potessero curare malattie come pedofilia, depressione, asma, acne, nevrastenia e melanconia. Inizialmente provò a sostituire l’intero testicolo aprendo direttamente la sacca dello scroto. Questo metodo però non dava i risultati sperati in quanto spesso il corpo rigettava i nuovi testicoli, causando in alcuni casi la morte del soggetto. Per ovviare a questo problema, Stanley cambiò metodo, optando per un approccio meno invasivo: schiacciava i testicoli del donatore in una pasta che poi iniettava nell’addome del ricevente. Orrendo solo a pensarci!
Eppure, nonostante le atrocità compiute con il suo metodo, nel 1919 Leo Stanley fu riconosciuto dalla United Press Dispatch come “una figura internazionale nel mondo della chirurgia grazie alle sue operazioni di successo nel ringiovanimento di prigionieri vecchi e senili trapiantando le ghiandole interstiziali di assassini che hanno pagato la pena prevista dalla legge”, parole che oggi fanno rabbrividire. Nel 1928, fu citato in giudizio dalla famiglia del detenuto giustiziato Clarence Kelly per mutilazione di un cadavere, ma non fu condannato, potendo così proseguire indisturbato con la sua attività.
Leo Stanley era anche un sostenitore della segregazione razziale e dell’eugenetica. Le leggi californiane dell’epoca permettevano a Stanley di sterilizzare forzatamente i detenuti, anche se solo fino a un certo limite. Difatti promosse anche la sterilizzazione volontaria, che portò a circa 600 sterilizzazioni, inclusi detenuti omosessuali e bisessuali. Era convinto che la sterilizzazione potesse eliminare il crimine e che solo le persone “adatte” dovessero avere il diritto di avere figli. Altri esperimenti condotti dal chirurgo statunitense includevano la rimozione della tiroide per i detenuti problematici e interventi di chirurgia plastica, basati sull’idea che un miglioramento dell’aspetto fisico potesse ridurre la recidività criminale, facilitando ai detenuti l’inserimento nel mondo del lavoro. Incoraggiò i suoi collaboratori a condurre esperimenti su prigionieri, sostenendo che le condizioni di osservazione e di follow-up fossero ottimali.
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