Demistificare Polybius, il “gioco dei Men in Black” mai esistito, lo spettro del “Gaming Disorder”
Esistono leggende metropolitane anche nel mondo del Retro: prima delle creepypasta, prima dei “giochi falsi d’autore” c’era la leggenda di Polybius. A meno che non abbiate passato gli ultimi quaranta anni sotto un sasso conoscerete la storia.
Un mefitico “noncielodikeno” basato sulla mitologia dei Men in Black e legato alle più lercie teorie del complotto, dalle teorie su MK-Ultra in poi.
Demistificare Polybius, il “gioco dei Men in Black” mai esistito, lo spettro del “Gaming Disorder”
La leggenda di Polybius vede un misterioso cabinato essere recapitato in alcune sale giochi di Portland dai “Men in Black” nel 1981, personaggi legati al folklore degli avvistamenti ufologici e del mondo del complotto.
I Men in Black, immortalati dall’omonima saga cinematografica con Will Smith, ricoprono nel mondo del complotto il ruolo degli esecutori dei Poteri Forti, diventando una sorta di divisione “illegale” della CIA inviata a rapire, intimidire, sequestrare e torturare i “veri credenti” e spiegando il perché nessuna teoria del complotto ha mai nella storia avuto una prova.
Il motivo è che, ovviamente, sono arrivati i Men in Black e se la sono portata via, usando vari mezzi per “far sparire” i testimoni, dall’omicidio alla cancellazione selettiva della memoria (che nei film il personaggio di Will Smith ottiene “sparaflashando”, ovvero puntando un raggio laser dalle proprietà mistiche negli occhi dei testimoni dando loro buffe suggestioni post-ipnotiche per “ricompensarli” suggerendo miglioramenti alla loro vita).
In questo caso la leggenda vuole che i Men in Black abbiano portato a Portland un misterioso cabinato descritto come latore di un gioco “pieno di colori e figure geometriche”. Nella narrazione più in voga presto queste non meglio precisate “sale giochi di Portland” si riempirono di una quantità di giocatori superiore alla media, creando code di giovanotti diventati dipendenti dal gioco e pronti a tornare per giorni per l’occasione di una partita a Polybius.
Ulteriori dettagli prevedono il cabinato essere l’equivalente videoludico di un “Uomo in Nero”: laddove i cabinati “normali” erano carichi di immagini e colori su vinili o dipinte sul legno, Polybius veniva distribuito in cabinati neri col solo nome del gioco e del produttore, Sinneslöschen (tedesco “idiomatico”, ovvero errato ma “che suona bene” dal significato di “deprivazione sensoriale”).
In tutte le sale giochi in cui era presente Polybius i Men in Black diventavano presenza fissa assieme a tecnici incaricati di “estrarre dati periodicamente”, e presto i giovani zombificati dalla dipendenza cominciarono ad esibire sintomi anomali come attacchi epilettici, svenimenti, attacchi di insonnia, incubi, epilessia, allucinazioni, terrori notturni, accettati dai Men in Black come segnale per cominciare a smontare periodicamente i macchinari di Polybius e “raccogliere” dei dati.
La storia si interrompe improvvisamente nel momento in cui richiedi prove dell’accaduto: i difensori della teoria di Polybius ti diranno che dopo un mese circa i Men in Black hanno provveduto a ritirare tutte le copie esistenti di Polybius, cominciato il solito processo di intimidazione/omicidio/cancellazione della mente dei testimoni lasciandosi dietro una generazione devastata.
Ulteriori varianti dichiarano che le vittime di Polybius in seguito a tale esposizione avrebbero sviluppato un odio patologico per i videogiochi, con almeno uno di loro diventato un (ovviamente anonimo) “importante lobbista contro i videogames” (cosa che, vedremo, potrebbe spiegare come sia nata la bufala di Polybius e perché), ma ovviamente non solo non esistono prove dell’esistenza di Polybius, ma non ci sono dai sui giovani diventati attivisti/lobbisti o danneggiati.
Intorno al 2000 col diffondersi di Internet la leggenda di Polybius ebbe un nuovo rinascimento: il portale “Coinop” riportò la segnalazione di chi giurava di averlo “visto nelle sale giochi di Portland”, e si diffusero nei siti di archivio finte ROM (copie giocabili delle memorie) di Polybius con tanto di video di immagini colorate descritte come “parte del gioco”, perlopiù effetti stroboscopici nello stile dei giochi di seconda generazione (stile Atari 2600) per capirci creati per dare il più possibile fastidio alla vista.
Apparve inoltre un presunto programmatore pronto a giurare che non solo Sinneslöschen esisteva davvero, ma egli aveva lavorato per la ditta che assumeva essere sudamericana e gli effetti ipnagogici del gioco erano dovuti a bug sorti creando un “innovativo gioco vettoriale”, salvo poi ritrattare tutto in una successiva intervista.
Ignorando che il Vectrex, console vettoriale domestica, era già in commercio nel 1982 e la grafica vettoriale era un concetto pre-esistente, come dimostrato da Tempest, cabinato Arcade del 1981 spesso usato come “base” per le creazioni dei video relativi a Polybius.
Inoltre sul portale Coin-Op apparve menzione di un fantomatico “viaggio in Ucraina” che avrebbe portato ad ottenere finalmente notizie su Polybius, se non una copia del cabinato. Anche questo vedremo fattore non secondario, dato che alcuni elementi della bufala di Polybius sono di fatto presi dal gioco arcade sovietico sviluppato per la Germania dell’Est Poly Play, dal nome e dall’aspetto assai simile.
Tutto questo è assai ironico data la scelta del nome: Polibio, lo storico greco noto per aver popolarizzato la necessità di scrivere solo di eventi storici di cui si ha testimonianza diretta nonché per la creazione di un cifrario.
La soluzione più probabile è che la leggenda di Polybius sia nata dalla confluenza di due diversi generi di influenza, ovvero le bufale complottiste sui Man in Black e la crescente diffidenza verso il mondo del videogame che abbiamo visto esplodere proprio negli anni ’80, nel passaggio dalla seconda alla terza generazione di videogiochi.
Il tutto con l’aggiunta dei concetti di ludopatia ed epilessia fotosensibile indotta da videogames, i cui primi casi furono studiati proprio nel 1981.
Ma andiamo con ordine e spieghiamo gli elementi della leggenda uno per uno
Il “misterioso cabinato nero”
Sono convinto che il target demografico di questa rubrica, con mio rammarico perché vorrei poter arrivare ad educare anche i giovinetti che non hanno avuto modo di vivere le epoche di cui parlo, coincida in buona parte con coloro che gli anni ’80 li hanno vissuti.
Persone che sanno quanto molte sale giochi semplicemente riutilizzavano i cabinati in loro possesso, convertiti con kit di conversione o col cambio delle schede madri, intteroperabili specialmente dall’introduzione dello standard JAMMA negli anni ’80.
Inoltre poteva capitare che alcuni giochi fossero prima installati e poi muniti di adesivi e tampografie, specialmente quelli rilasciati alle sale giochi come dimostrativi e prototipi. Il produttore ti lasciava un nuovo gioco, te lo lasciava usare, al momento di installare le schede coi bug risolti o la versione definitiva ti portava il cabinet definitivo truccato e ridipinto usando il cabinet “di cortesia” per altre prove, cosa che giustifica in ambo i casi la presenza di “tecnici che non si limitano a togliere i gettoni dal cabinato”
Un cabinato riciclato sovente veniva “annunciato” quando i giocatori trovavano un tecnico pronto a montare le nuove schede e fare delle prove prima di metterlo in cantiere, un cabinato “di cortesia” per un gioco in prova veniva esaminato spesso e poi riportato via quando l’acquirente decideva l’acquisto.
Inoltre una delle fonti di ispirazione per l’aspetto di Polybius era un cabinato arcade chiamato Poly Play (ne parlermo ampiamente in un paragafo successivo) diffuso nella Germania dell’Est, assemblato con parti clonate di provenienza sovietica e spesso custodito in sobri cabinet di legno non verniciato, con joystick scadenti e la gettoniera perennemente disabilitata o malfunzionante.
I Men in Black e gli agenti del Governo
Alcuni cabinati inoltre venivano modificati, non solo a Portland ma anche a Portland per diventare parti di uno schema di gioco di azzardo. Appositi contatori trasformavano i giochi più in voga in slot machine improprie, che consentivano di riscattare i punteggi più elevati in danaro o premi riscattabili con denaro, cosa assai illegale.
Unite alle segnalazioni, come vedremo, dei primi timidi casi di ludopatia, di spaccio e altra microcriminalità che girava proprio intorno ai luoghi di aggregazione dei giovani, come purtroppo sempre è stato, le sale giochi sovente si riempivano di agenti in borghese che si aggiravano attorno alle macchinette scattando foto e appuntandosi i giocatori coi punteggi più elevati cercando di prendere sul fatto i giocatori d’azzardo, gli spacciatori e altri piccoli criminali e procurandosi testimoni per perseguirli.
Ovviamente oltre, a vigilare sulle prime segnalazioni relative alla ludopatia, ovvero segnalazioni ricevute da genitori preoccupati perché i loro figli semplicemente non tornavano a casa o bigiavano la scuola per dedicarsi al nuovo passatempo in voga tra i giovani: il videogame.
Poteva inoltre capitare che proprio giochi come Tempest (l'”ispirazione” di Polybius) fossero comprati o sequestrati da poliziotti in operazioni di contrasto allo spaccio di stupefacenti e al gioco di azzardo e arricchiti con telecamere e microfoni nel tentativo di cogliere sul fatto ragazzini pronti a comprarsi “il tocchetto di fumo” tra una partita a Tempest ed una Coca Cola al bar.
L’epilessia e i misteriosi malesseri
Come abbiamo modo di vedere, se fu la prima generazione di videogames (negli anni ’70) a far nascere la diffusione del videogioco fu con gli anni ’80 e la “generazione Atari” che arrivò la piena consapevolezza di cosa comportasse il videogioco sia dal punto di vista economico che sociale.
E proprio nel 1981 comparirono i primi studi medici sull’epilessia fotosensibile.
Non sto affatto suggerendo, si badi, che hanno ragione i complottisti e prima del 1981 nessuno aveva mai avuto un attacco epilettico per causa dei videogiochi, e quindi è colpa di MK-Ultra.
Sto dicendo che nel 1981, con la diffusione massiccia dei videogames nelle sale giochi e nelle case degli occidentali (bisognerà aspettare circa un decennio in Russia) anche i problemi medici diventarono evidenti e raggiunsero la stampa, aggiungendo timore e diffidenza per quello che era già percepito sovente come un “passatempo per gente sfaccendata”.
Vi sto confermando che prima del 1981 non era frequente come lo è adesso l’invito a “giocare in locali ben illuminati, mantenendo la distanza di due metri dal monitor e prendendosi frequenti pause evitando effetti luminosi”. Anzi, l’effetto luminoso era parte del fascino del gioco.
La “scoperta” dei problemi alla salute legati a quella che oggi chiameremmo ludopatia, ma anche fermandoci un gradino dietro la scoperta dei problemi di affaticamento oculare, tendiniti e tunnel carpale, portò nelle cronache degli “anni di Polybius” eventi che oggi considereremmo normali, anzi un po’ ingenui ed assurdi.
In quegli anni furono coniati termini come “nintendonitis“, ovvero la tipica combinazione di tendiniti e artriti da movimenti ripetitivi nata proprio con l’uso continuato di joystick e joypad che all’epoca non erano progettati per l’uso ergonomico e l’uso immersivo del videogioco aumentò nelle famiglie la percezione di problemi di salute fino a quel momento se non inesistenti sottovaluttati e trascurati.
Erano gli anni in cui il videogioco era diventato l’ultima moda, e si cominciavano a leggere le storie di giovani campioni di quello che un giorno avremmo chiamato “e-sport” pronti a tutti per sfondare e trasformare un gradito passatempo nel passaporto per la fama e la gloria.
Come la storia del piccolo Brian Mauro, proprio di Portland, che nel novembre del 1981 (anno che, come stiamo vedendo, fu un “anno orribile” per la consapevolezza delle ludopatie) decise che per battere il record mondiale di Asteroids sarebbe stata un’ottima idea ricorrere ad un piccolo aiuto della caffeina per tenersi sveglio per il tempo previsto. Troppo piccolo per ingollare thermos di caffé uno dietro l’altro, il dodicenne decise che si sarebbe tenuto sveglio bevendo Coca Cola per 28 ore di fila.
Altre precauzioni prevedevano usare guanti particolari per prevenire danni alle mani, una sedia ergonomica prima che le “sedie da gaming” andassero di moda e farsi portare dalla madre il cenone del Ringraziamento per tenersi vispo e ben nutrito e prendendosi brevi pause usando le “vite extra” accumulate coi punti.
La sua idea, come prevedibile, fu stroncata da dolori gastrointestinali provocati dall’abuso di bevande gassate che lo costrinsero a mollare il record a metà strada, lasciare la sedia da gaming e rinchiudersi in bagno.
Sempre a Portland, e sempre nello stesso periodo, un ragazzino di nome Mario Lopez arrivò sui giornali per essere svenuto in preda all’emicrania dopo aver giocato per ore a Tempest, come abbiamo già visto gioco vettoriale uscito proprio quell’anno e spesso usato come base per i falsi video di Polybius.
La scoperta dell’epilessia fotosensibile indotta da videogiochi, i casi di cronaca a Portland di ragazzini con sintomi considerati affini alla ludopatia crearono quindi un clima di sospetto che poi divenne un clima di terrore.
I videogiochi divennero sospetti, un “passatempo per sfaccendati” che attirava i giovani spingendoli a gettare via ore del loro tempo per inseguire il punteggio più grande, e il disprezzo che le famiglie potevano avere per lo zio morfinomane pronto a giocarsi il denaro di famiglia a poker si trasferì verso i ragazzini “attaccati ad un monitor” e intenti a sperperare intere paghette in gettoni lasciando quel monitor solo per le più basilari esigenze fisiologiche.
Quindi i videogiochi erano causa della perdita di controllo, quindi i complottisti ebbero buon gioco a dire che era colpa di MK-Ultra e altri programmi di controllo mentale, e che assolutamente se il piccolo Billy passava troppo tempo in Sala Giochi non era perché conquistato dai suoi e dai colori ma perchè il Governo gli stava riprogrammando la mente per farne un “Candidato Manciuriano”.
Tra i casi di cronaca a base di ragazzini incollati alla sedia per ore ed ore fino ad essere staccati da cabinati e console solo da impellenti necessità intestinali o feroci mal di testa, cronache a base di spacciatori e articoli a base di giochi pieni di violenza che rendono i giovani dei tossicodipendenti iracondi e delinquenti il disprezzo per il videogame da pare degli adulti era arrivato al limite.
Tali teorie portarono a film come The Last Starfighter (1984), tradotto in Italiano come Giochi Stellari per sfruttare il traino di Star Wars, in cui i videogiochi vengono descritti come il “dono” di una civiltà aliena alla ricerca di giovani piloti stellari in grado di combattere guerre spaziali in loro vantaggio.
C’era insomma, in piena teoria complottista “qualcuno” che piantava i videogiochi, qualcuno che trasformava obbedienti ragazzini di buona famiglia in ludopati pronti a defecarsi e vomitarsi addosso pur di non lasciare il joystick che l’avrebbe condotto al record, qualcuno che li spingeva a comprarsi la droga davanti alle sale giochi, e quel qualcuno doveva essere il Governo. O gli alieni. O entrambi.
Illuminante è il ventiquattresimo episodio della prima stagione della sitcom “The Goldbergs“, ambientata “nel 1980 o giù di lì” e basata sulle memorie romanzate dell’autore Adam Goldberg in cui lo stesso descrive, con un certo stile ironico ma dolente, una breve caduta nella ludopatia del fratello Barry che, scoperto il gioco Punch-Out!! (1984) ne diventa ossessionato decidendo di vendere i suoi averi e quelli del fratello pur di potersi permettere i gettoni per raggiungere il desiderato record, descrivendo quindi la ludopatia come una forma di dipendenza alla quale la società degli anni ’80 non era veramente pronta e quindi la considerava sconcertante e spaventosa.
Non a caso infatti Adam Goldberg, autore e regista della serie, decide come simpatico Easter Egg di piazzare un Polybius nella scena in cui il fratello entra nel gorgo della dipendenza dai giochi Nintendo.
Ovviamente anche nella finzione letteraria “tratta da racconti di vita vissuta”, Adam Goldberg decide di evitare l'”origine del male”, descrivendo invece il fratello affetto dalla “dipendenza da Punch-Out!!”. Userà Polybius come indizio visivo, e la scelta non è casuale.
Adam Goldberg stava infatti descrivendo una delle prime paure dei genitori nella sua generazione legate al gaming.
Polybius come lo spettro del Gaming Disorder
Insomma, già negli anni ’80 le famiglie cominciavano a scontrarsi coi prodomi di quel concetto che un giorno avrebbe avuto un nome: il “Gaming Disorder“, descritto attualmente da OMS come caratterizzato da «una serie di comportamenti persistenti o ricorrenti legati al gioco, sia online che offline».
Il Gaming Disorder si manifesta con un «mancato controllo sul gioco e una sempre maggiore priorità data al giocare, fino a che questo diventa più importante delle attività quotidiane e degli interessi della vita», e in un mondo dove il videogame esisteva nella sua forma diffusa e commerciale “solo” dagli anni ’70 e nel 1981 di Polybius era esploso esponenzialmente, leggere sui giornali di un ragazzino che aveva passato il Giorno del Ringraziamento inchiodato allo sgabello di una sala giochi (anzi, ad un sedile portato da casa) per 28 ore di fila, cercando di restarvi almeno il doppio per primeggiare sugli altri in un record fatto di numeri e pixel doveva essere una lettura terrorizzante e spaventosa per molte famiglie.
Se la stampa forniva storie di ragazzini barcollanti nei parcheggi delle sale giochi, in preda a forti emicranie e crisi di vomito, pronti a disertare le attività pubbliche per rinchiudersi in luoghi bui e fumosi dove era possibile trovare non solo “i videogiochi per gli sfaccendati”, ma anche droga e illegalità, le famiglie costruivano nella loro mente un mostro che andava combattuto e distrutto per salvare le loro famiglie.
Prima del Gaming Disorder, tale mostro si incarnò nel nero fantasma di Polybius.
Non doveva essere comunque facile affrontare simili problemi, presenti da quando esistono le dipendenze e l’abuso di ogni cosa, ma percepiti all’epoca come del tutto innovative: Polybius forniva alle famiglie un mezzo per esorcizzzare quei timori e allontanarli da se stessi.
Potevi smettere di chiederti cosa avresti potuto fare per tenere lontano tuo figlio da una sala giochi che ormai era diventata ai tuoi occhi un covo di vizio e depravazione, e incolpare, come sovente accade, i “Poteri Forti” di ogni tua miseria avendo qualcuno da odiare.
Il problema del falso ricordo
La storia dell’umanità è piena di eventi che non sono mai esistiti, ma tutti ricordano come se lo fossero. Un esempio tipico sono i cosiddetti “eventi dell’effetto Mandela”.
Ci sono persone che giurano di aver visto il funerale di Nelson Mandela nel 1980 anziché nel 2013, o di aver assistito personalmente ad una rissa televisiva tra una moglie fedifraga e un marito tradito avvenuta nella trasmissione RAI “Piccoli Fans” con la compianta Sandra Milo negli anni ’80.
Il mondo del Retro non è da meno: un esempio recente è “Fix-it Felix Jr.” immaginario gioco di seconda generazione ispirato a Donkey Kong e Mario Bros., nato come parte dell’ambientazione del film Disney “Ralph Spaccatutto” (2012) che in seguito fu trasformato in un vero e proprio cabinato promozionale da Disney e ricevette dei porting da fan per Commodore 64 e SEGA Mega Drive.
La narrazione interna al gioco, e riportata pedissequamente nel manuale del porting Commodore (il più completo da questo punto di vista), riporta il gioco essere la creazione della ditta TobiKomi nel 1982, nato per arcade e console ad 8 bit di seconda e terza generazione.
Ci sono ancora adesso persone convinte di aver giocato a Fix-it Felix Jr. e altri capolavori Tobikomi.
La stessa cosa è avvenuta con Polybius: se esiste una scheda su Coin-Op, se ci sono delle rom e dei video disponibili e se esistono fangame che, come per Fix-it Felix Jr., nel materiale promozionale si descrivono come “il gioco originale ritrovato”, qualcuno crederà all’esistenza di Polybius.
Altri esempi di falsi ricordi sono dati dalla “conflazione”, ovvero più storie simili che si uniscono. Sul finire degli anni ’80 nella Germania dell’Est fu distribuito un cabinato arcade Made in Russia, il citato Poly Play.
Sappiamo benissimo che in Russia c’è sempre stata una forte domanda e richiesta di cloni dei sistemi di intrattenimento occidentali spesso di qualità ridotta.
Il Poly Play non faceva eccezione: con ricambi difficili da trovare, essendo tutti cloni/versioni locali di componentistica occidentali, materiali di bassa qualità richiedenti continue riparazioni e giochi-clone con problemi di diritti di autore in Occidente, dopo la caduta di Berlino i Poly Play furono ritirati e distrutti, salvo qualche esemplare restaurato e finito in un museo.
Poly Play aveva diversi caratteri in comune con Polybius: ad esempio il colorato titolo su sfondo nero, ma posto su una vetrofania in cima e non sul gioco e un anonimo ed economico cabinet di legno non verniciato. I giochi citati, probabile origine del suo ritiro tradivano le sue origini: ogni Poly Play arrivava con più di un gioco selezionabile, tra cui un clone di Pac-Man ispirato ai personaggi di Nu, Pogodi! serie animata sovietica basata sulle avventure di un lupo vizioso e capitalista beffato da un coniglietto lavoratore e fedele al Partito e un gioco di caccia basato su Robrotron.
Infine anche per Poly Play si registrarono diverse code: era possibile infatti disinserirne la gettoniera per consentire il gioco gratis, ma essendo le poche macchine (non più di 2000) distribuite presso associazioni e ostelli della gioventù la disattivazione della stessa provocava file di giovani intenzionati a giocare gratis, portando alla loro riattivazione.
Le gettoniere erano di qualità abbastanza infima da essere ingannate premendo la moneta nello slot senza lasciarla cadere: tutti questi problemi, la chiusura o cambio di gestione di ostelli e associazioni che custodivano i cabinati e il fatto che con la caduta del Muro cloni dei giochi occidentali sarebbero tornati astrattamente perseguibili in quanto cloni non protetti da diritto d’autore portò al ritiro dei Poly Play.
Ovviamente l’esistenza di un “Polyqualcosa ritirato dal governo” ha contribuito a creare il falso ricordo di “Polybius ritirato dai Men in Black” e può aver contribuito a creare la parte della leggenda per cui gli ultimi Polybius sono finiti nel territorio Sovietico.
Perché Polybius non poteva esistere
Parliamo di quel poco che sappiamo e che abbiamo visto di Polybius. Una screen coloratissima col titolo e il marchio del produttore.
Titoli così colorati per console e cabinati di seconda generazione, con severi limiti di spazio di archiviazione e limiti hardware erano appannaggio solo di produttori enormi come Nintendo.
Prendendo per buona la teoria della piccola ditta sudamericana Sinneslöschen sarebbe come se i Poteri Forti oggi commissionassero una console ipnagogico-telepatica ai produttori di “miniconsole da nove euro” su Aliexpress, quelle praticamente usa e getta con diversi giochi del NES precaricaricati e ottenessero qualcosa di simile ad una Nintendo Switch.
Potrete dirmi che se i Poteri Forti sono in grado di avere programmi di controllo mentale per riprogrammare il cervello dei giovani possono anche creare cabinati avveniristici il cui solo titolo di coda era superiore per fattura a qualsiasi gioco dell’epoca: in questo caso dovreste spiegarmi perché un gioco così innovativo non è presente in alcun catalogo, rivista o pubblicazione del settore videoludico.
Nonché perché in un clima di sospetto mediatico in cui ogni singolo giorno sulla stampa di Portland uscivano articoli su ragazzini colti da feroci crampi intestinali durane una sessione di gioco, colpiti da emicranie e crisi di vomito, accuse ai videogiochi di diffondere attacchi epilettici e diseducare i giovani qualcuno non fosse andato a fotografare personalmente l’Origine di Ogni Male, ovvero il Nero Cabinato di Polybius.
A questo punto potrete dirmi che c’erano i Man in Black pronti a fare una strage di testimoni e sparafleshare tutti, ma a questo punto saremmo in piena paranoia complottista, e sembrerebbe quasi inutile ricordarvi che esiste una FOIA (richiesta di accesso agli atti) che chiede formalmente all’FBI di esibire tutti i dati in loro possesso su Polybius contenente la laconica menzione che siccome Polybius non esiste non possono esserci dati al riguardo.
Tanto mi direste che l’FBI ha tutti questi dati ed un esercito di ex ragazzini/zombie/candidati manciuriani ma ovviamente non ve li vuole far vedere e io non voglio farveli vedere perché questa stessa rubrica è pagata dai Poteri Forti per nascondere la verità, Polybius esiste ma non ve lo voglio dire.
Scherzi a parte, per comprendere come la storia di Polybius non si regga in piedi da sola basterebbe guardare alla connessione Polybius/Poly Play ed a come molti dei difensori dell’esistenza di Polybius dichiarino di poter reperire informazioni, se non direttamente un cabinato in Ucraina o altre zone sotto l’ex influenza Sovietica.
Ammettendo che Polybius sia un esperimento del Governo Statunitense, anzi del “Governo Ombra Statunitense”, legato a sperimentazioni di controllo mentale che, come sappiamo, nascevano nella realtà storica come tentativo di contrasto di simili operazioni che si percepiva poste in essere da Blocco Sovietico e Cina in un clima di sospetto e livore nato dalla Guerra Fredda.
Quale senso logico avrebbe quindi avuto spedire nell’allora URSS dei preziosi cabinati carichi di dati potenzialmente in grado di fare al Blocco Sovietico un enorme vantaggio e mettere in pericolo la creazione di “Candidati Manciuriani”, spie e soldati segreti?
Del resto, esiste un episodio dei Simpsons (l’Episodio 3×18) in cui Bart si imbatte in un cabinato di Polybius e nella serie televisiva Disney+ Loki anche l’antieroe detiene uno dei cabinati come suo possesso.
Quale modo migliore per nascondere una cospirazione che piazzarla in TV e parlarne ogni giorno?
Ovviamente, sono sarcastico, e ritengo di aver dimostrato senza ogni ombra di ulteriore dubbio non solo che non esiste alcun Polybius, ma come esso sia nato nell’immaginario stratificando la diffusa diffidenza verso i videogiochi, lo spettro nascente della ludopatia e le teorie complottiste precedenti.
Conclusione
Alla fine di questo lungo processo di demistificazione posso quindi confermare che Polybius è a tutti gli effetti una leggenda metropolitana, nel senso più puro e originale del termine.
Una storia nata nell’ambito familiare di Portland come mezzo per spaventare i ragazzini, dissuadendoli dalla ludopatia e dall’esagerare con l’uso dei videogames, scoraggiandoli dal trascorrere tempo in Sale Giochi percepite come luoghi carichi di vizio, criminalità e droga ma sfuggita di mano a chi l’aveva creata, assemblata unendo suggestioni visive di cabinati anonimi come il Russo-Tedesco Poly Play e altri cabinati di test con le preoccupanti e martellanti notizie arrivate alla stampa e nelle riviste mediche dei primi devastanti effetti dell’abuso dei videogiochi in una generazione passata in pochi anni da Pong a Punch-Out!!.
In un certo senso, se le parole Gaming Disorder sono termini moderni, la prima volta che le famiglie si sono poste il problema della ludopatia nel mondo dei videogame è accaduto in quel periodo storico che abbiamo imparato a identificare con l’Atari 2600, quando si era passati da poco tempo da “avere Pong” a poter disporre di librerie di cartucce a casa e trasformare le Sala Giochi in luogo di aggregazione sociale, attraenti verso i giovani ma così lontani dalla sensibilità degli adulti da trasformarli nella loro immaginazione in luoghi di vizio e perdita di ogni controllo.
La “favola oscura” di Polybius vive ancora non solo nelle leggende metropolitane e nei giochi ad esso ispirati, ma nel terrore del Gaming Disorder e nella diffidenza radicata verso il videogame e nella rassicurante deresponsabilizzazione del Complotto, che fornisce un volto ed un responsabile facile ad ogni male nel mondo.
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