C’era una volta… il joystick: storia di un controller sospeso tra console e computer
C’era una volta il joystick. Poi non vi fu più, snobbato per inseguire la tastiera. Poi vi fu ancora. Poi cambiò mille volte forma ed anche volto, ma alla fine è un amico di infanzia di cui è difficile liberarsi.
E come abbiamo visto per monitor, mouse e tastiera, è esistito prima dei computer ed esisterà anche dopo. Esiste lì dove c’è una console, ed esiste dove c’è ogni cosa che richiede di essere controllata, sottomarini destinati a brutali incidenti compresi.
C’era una volta… il joystick
Il primo joystick registrato nella storia fu il joystick di Louis Bleriot, francese, trasvolatore della Manica nel 1908 col suo Bleriot VIII. Esattamente come in una partitella vintage di Flight Simulator, il joystick di Bleriot controllava gli alettoni e gli equilibratori, mentre il timone era controllato da un pedale.
Nonostante il nome suggerisca un’origine videoludica, il “control stick” fu ribattezzato Joystick da Robert Esnault-Pelterie, allievo di Bleriot e tra i primi aviatori, riferendosi a quel senso di libertà e felicità dato a chi era tra i primi a dominare i cieli.
Un’ipotesi secondaria e sconfessata vede il joystick essere il “Joyce Stick“, ovvero il “Control Stick di James Henry Joyce“, da lui inventato quattro anni prima dello stick usato da Bleriot.
Non vi è vero consenso sulla paternità, anche se Edward Tenner, per il National History Museum’s Center for the Study of Invention and Innovation, preferisce far derivare il joystick almeno come nomenclatura da Pelterie: quel che è certo è che, esattamente come monitor, tastiere e mouse, per molto tempo nella storia dell’umanità sono esistiti joystick non collegati a computer e console videoludiche, e sono arrivati dopo a completare un mondo di cui non facevano parte e dal quale non sarebbero mai andati via per davvero.
Ironicamente, uno dei primi brevetti per joystick a doppio asse della storia (1926) riporta ottimisticamente l’uso possibile con “Velivoli senza pilota”, in pratica anticipando il concetto del drone.
Nel secondo conflitto mondiale i joystick furono usati per il controllo di missili ed armamenti, e lo stesso programma Apollo negli anni ’60 usò joystick tra i sistemi di controllo.
Joystick peraltro di forma straordinariamente moderna: di aspetto simile i giocatori ne avrebbero visti negli anni ’80.
Prima del joystick: l’era del gioco
Ovviamente, se il joystick era nato per applicazioni aeree, dove era quindi necessario muovere qualcosa in tutte le dimensioni, in ambiente ludico Kraft Systems popolarizzò il joystick come parte integrante dei suoi telecomandi per radiomodelli, diventando in seguito uno dei principali fornitori del futuro joystick per PC.
Nel 1969 SEGA produce il primo cabinato con un joystick esattamente come lo immaginiamo ora: una leva con un tastino di sparo accanto, per il gioco “Missile”.
Vi sorprenderà sapere che prima di allora e ancora sostanzialmente fino agli anni ’70 inoltrati i cabinati avevano fatto e facevano a meno della visione rassicurante del joystick.
Space Invaders di Taito (1978), gioco che ispirò Satoshi Tajiri (vedi altro capitolo della nostra rubrica) e altri titani dell’odierna industria videoludica a cimentarsi nell’agone ancora nei suoi primi cabinati usava due bottoni per le direzioni.
Se il gioco arcade ancora non scopriva le gioie del joystick, anche l’alternativa domestica stentava a farlo: la prima console commerciale munita di un controller fu il Magnavox Odyssey del 1972, la quale non solo non aveva il joystick, ma aveva una bizzarra scatola con due manopole da girare, una per la direzione alto-basso ed una per la direzione sinistra-destra.
Ovviamente un incubo ergonomico, ma vale quanto abbiamo detto nel secondo capitolo della “trilogia del gamer”, quello dedicato a tastiere e mouse. Ovvero c’è stato un tempo in cui nessuno sapeva come dovesse essere fatto un joystick.
Negli anni ’60 nel programma Apollo c’erano già joystick di comodità pari a quella dei più comodi joystick anni ’80, ma nel 1972 i giocatori a casa dovevano far girare due manopole come un cubo di Rubik impazzito.
Non che nella prima generazione di console domestiche ci fosse tanta variabilità: Pong e i suoi mille cloni (1972) usavano direttamente il Paddle, una sola manopola che controllava una sola direzione (alto-basso o sinistra-destra) a seconda dell’orientamento della “finta racchetta”.
Il Paddle fu così popolare che sopravvisse a lungo e, per un certo periodo, ebbe una convivenza col joystick, dovuta alla presenza di giochi creati per lui e al fatto che una singola coppia di Paddles permetteva di giocare in due persone, mentre per ottenere lo stesso risultato coi joystick dovevi “duplicare” l’acquisto.
Atari e il primo standard per joystick
Nel 1977 Atari creò lo standard di fatto che intere generazioni di giocatori avrebbero seguito da quel momento, lo standard DB9 o “Atari”, nato col CX-10 (poi sostituito dal simile CX-40) dell’Atari 2600.
La serie CX era un terrificante sbucciatore di mani ergonomicamente infernale. Mentre sul versante arcade prendevano piede i primi joystick in stile Sanwa (palletta in alto, dal nome del più iconico produttore dagli anni ’80 in poi) o in stile “mazza da baseball” (a goccia ovale), Atari fece in modo che i giocatori dovessero cimentarsi con un affare di forma ottagonale pieno di spigoli pronti a usurargli la pelle.
Unito a sensori a membrana dall’efficacia non sempre perfetta e un singolo tastino di sparo messo sulla sinistra, la serie CX aveva il solo pregio di essere lo standard di fatto e di aver portato i joystick nelle case dei piccoli giocatori.
Eppure, ricordiamo, nel 1977 semplicemente non esisteva di meglio, a meno che di andare nelle sale giochi e spendersi la paghetta in gettoni o quarti di dollaro (in Italia, a colpi di 100 lire).
La presenza di uno standard di fatto cambiò assai presto la situazione: la porta Atari fu adottata dai computer Commodore dal VIC20 in poi (1981), dagli MSX, dal SEGA Master System (1985) e da adattatori sullo Spectrum.
Nacque un fenomeno che conosciamo bene: tranne forse SEGA che, come vedremo, partirà direttamente dal Joypad e da un Joystick “a T” di ergonomia decente il joystick introduttivo dei vari produttori tendeva a fare schifo.
Commodore stessa lanciò il VIC20 con joystick clone del già pessimo CX40, ma per evitare grane legali uscì col peggiorativo C1311, triangolare, ancora più scomodo e ancora più incline a rompersi.
Fortunatamente, l’estrema semplicità dello standard Atari permise di copiarlo: e migliorarlo.
Lo standard Atari e i suoi molti figli
Lo standard Atari è di una semplicità allucinante: si tratta di cinque (in seguito sei) switch del tipo “normalmente aperto” con una messa a terra in comune.
Quando muovi la leva in una direzione schiacci un relativo contatto, che a seconda del tipo di joystick si trova dal lato verso cui “schiacci” o quello opposto.
Il contatto chiude quindi il circuito tra un determinato pin sulla presa DB9 e la messa a terra: il computer o la console recepisce il movimento. Ovviamente la possibilità di percepire diversi livelli di pressione come in joystick e joypad moderni era ancora in un futuro assai remoto, ma era già un ottimo inizio.
Similmente, il tasto sparo cortocircuitava il pin adeguato sul bottoncino con la messa a terra.
Il che ha reso possibile diversi standard secondari.
Il Quickshot degli anni ’80, disponibile in vari modelli, aveva un maniglione ergonomico simile a quello dell’Apollo 11, e passò rapidamente dai contatti a bolle dei primi Atari a quelli a lamelle metalliche successivi, non meno fragili ma più sensibili.
Era comunque un joystick ricordato per la sua fragilità, ma assai apprezzato.
Il Competition Pro, dello stesso periodo, passò dalle lamelle metalliche ai microswitch, rendendolo più simile alla sensibilità delle manopole da sala giochi, di cui ereditava la forma.
Muovendo l’iconico e comodo bastoncino con la palletta in cima semplicemente attivavi un piccolo switch dal lato opposto, col tipico “click” ed una attivazione più certa e rapida. Parimenti il Competition Pro era perfettamente ambidestro, avendo il tasto di sparo “sdoppiato” nei due lati.
Persino Kraft entrò nell’agone, con un joystick indistinguibile fisicamente dalle varianti usate nei computer Tandy e PC Compatibili, ma basato sugli switch e Wico produsse stick simili a quelli delle sale giochi.
Switch di dimensioni maggiori erano usati nel Konix Speedking del 1986, mentre uno dei più apprezzati joystick della storia fu il Suncom TAC-2, basato su una scelta radicale. In un mondo in cui potevi scegliere sostanzialmente tra switch, microswitch e lamelle, il TAC-2 Suncom e le sue versioni “ridotte”, come lo Slickstick scelsero di non avere alcuna parte meccanica o elettromeccanica.
Il TAC-2, il joystick icona dell’epoca
Negli anni ’80 sostanzialmente se eri un giocatore “comune” usavi il CX40, se potevi permetterti qualcosa di più ti rivolgevi ai vari cloni del formato, di cui alcuni citati (ma sicuramente nell’elenco ne mancheranno altri), se volevi qualcosa di indistruttibile, usavi il TAC-2.
Lo stesso nome sta infatti per “Totally Accurate Controller, Mark 2”, ed è un controller indistruttibile perché privo di parti elettromeccaniche. Per capire il fenomeno misterioso di cui parliamo, immaginate un interruttore della luce in casa.
Potete avere un interruttore che chiude il circuito con un bottone, una leva, oppure andare sul “non sicuro” e lasciare due cavi scoperti che attaccherete assieme alla bisogna.
Il TAC-2 è sostanzialmente un robusto guscio di plastica dal quale sbuca una valvola da pneumatico di camion modello TR-418 (solo quelle ritenute difettose per l’uso automotivo, infatti erano prive della filettatura e del guscio plastico) con in cima incollata saldamente una palla-maniglia da joystick arcade e sul fondo una palla metallica.
All’interno ad ogni direzione corrispondevano lamelle di bronzo collegate ai relativi contatti sul cavo: la messa a terra invece era collegata alla valvola da pneumatico ed a due lamelle sul fondo dei tasti sparo (un singolo tasto sparo “sdoppiato” per diventare ambidestro, composto da due bottoni di plastica con due molle e due tondelli di bronzo).
La palla metallica (o i tondelli) chiudevano il contatto creando un joystick sorprendentemente comodo, stabile, robusto e praticamente indistruttibile: basta evitare di conservarlo in ambienti umidi e prendersi cura, ogni tot anni, di ripulire i tondelli di bronzo dei tasti sparo. Contando che, aneddoticamente, la vita media di un Quickshot si misurava in mesi o nella prima partita a giochi “ammazzajoystick” come Decathlon, il TAC-2 era sostanzialmente il San Graal del formato Atari, impareggiato fino al momento in cui, sul finire degli anni ’80, ditte come l’Italiana Alberici iniziarono ad assemblare parti di joystick arcade, anticipando un trend futuro.
Ovviamente, anche il TAC-2 come molti prodotti dell’epoca ha avuto una sua forma economica: se il vostro TAC-2 ha i tasti arancioni e non rossi, un guscio Bianco (ma non sempre) e la scritta “Made in China” anziché “Made in USA” è uno degli ultimi prodotti da Suncom, e per risparmiare le pesanti bronzine sono state sostituite da gracili molle dai contatti meno precisi.
Gli altri formati dell’epoca e la nascita del GamePad
Sul TRS il joystick tipico era il Kraft, già visto coi telecomandi per aereomodelli: nel suo caso, assai simile ai joypad moderni, le direzioni erano lette da due potenziometri ed era possibile avere una modalità “autocentrata” in cui la scomoda e corta levetta tornava al centro da sola ed una modalità “libera” in cui restava nella posizione in cui la abbandonavi.
Va detto che stiamo parlando ancora dei primi anni ’80: il mouse, come abbiamo visto, non sarebbe apparso sugli scaffali di tutti prima della meta’ degli anni ’80, e fino a quel momento i programmi di grafica e che richiedevano il movimento di un cursore avevano bisogno del joystick.
Tale scelta rendeva il Kraft fuori dallo standard Atari: potevi comprare un joystick Atari e usarlo sulla maggior parte degli home computer e console dell’epoca, ma un joystick Kraft non si sarebbe adattato allo standard Atari e viceversa.
Avresti potuto usare però lo stesso tipo di joystick su IBM PCjr, TRS80 e Apple II.
Altra caratteristica da “precursore” del Kraft era la possibilità di “tarare” le posizioni settando i potenziometri direttamente sul joystick: caratteristica questa che nei joypad moderni è controllata direttamente dal software della console, con risultati non sempre apprezzabili.
Non era l’unico standard tipico dell’epoca: il Nintendo NES usava un sistema a matrice basato sui pin di clock, latch e data: sostanzialmente su una matrice scorrevano costantemente impulsi elettrici e i tasti li “fermavano” in modo da rendere la console edotta del tasto premuto.
Ma la differenza più evidente è che console come il NES e il SEGA Master System hanno contribuito a popolarizzare in Occidente il concetto di GamePad, tipico della terza generazione di console a seguire.
Il Gamepad è sostanzialmente il figlio del Game&Watch e del joystick. È un joystick coi contatti a bolle, ma costruito intorno al formato di croce direzionale creato da Gunpei Yokoi per i giochi portatili Nintendo, unendo le dimensioni di un joystick con la comodità di un gioco tascabile.
Ci fu un certo periodo di transizione: il “Control Pad” Master System di prima generazione ad esempio usa lo stesso formato Atari (e può essere usato su un Atari 2600 senza alcuna difficoltà) ma consente di avvitare un piccolo joystick in stile Kraft sul “D-Pad”, facoltà persa nelle generazioni successive.
La stessa SEGA vendeva anche un joystick tradizionale, il c.d. “Control Stick”, ma da quel momento in poi Joystick e Joypad avrebbero marciato paralleli, col Joypad pronto a insidiare costantemente quote di mercato al Joystick.
Il Joystick come alternativa al Mouse
Abbiamo già visto come a partire dal biennio 1985/86 il mouse arrivò su tutti gli home computer dell’epoca: il che significa che per un certo periodo abbiamo avuto utenti dinanzi a giochi e programmi con interfaccia grafica senza però un mouse per poterle usare.
GEOS, il sistema grafico usato tra gli altri sul Commodore 64 e sul 128, poteva essere usato indifferentemente con mouse e joystick, ed era disponibile per la vendita un “thumbstick”, un piccolo Joypad da attaccare all’angolo della tastiera per un maggiore controllo, creato dagli stessi produttori del TAC-2 come alternativa al più costoso mouse per lo stesso uso.
Videogiochi come “Neuromante” usavano un’interfaccia simile a quella delle avventure grafiche odierne, ma controllata dal joystick (o dal mouse Commodore 1350, o dal 1351 in modalità joystick).
Per una breve parentesi nella storia, durata molto più a lungo sulle console da gioco, mouse, joystick e joypad hanno condiviso la stessa nicchia ecologica di controller del puntatore.
Ovviamente non avevi davvero bisogno dell’iController: potevi usare il joystick che già avevi, e qualche scuola (specie le più fornite scuole estere) lo faceva, inducendo i ragazzini in tentazione.
Il PC compatibile e il Joystick MIDI
Il PCJr IBM usava joystick Kraft nel formato del Tandy e dell’Apple II.
Arrivati alla storia del PC Compatibile però, come abbiamo avuto modo di vedere, per molto tempo il controller di elezione di generazioni di giocatori è stato la tastiera, coi tasti cursore e WASD usati per controllare le direzioni e la barra spaziatrice usata come tasto sparo.
Nel momento in cui il gioco è arrivato sul PC, e con le stesse potenzialità della sala giochi, è tornato il bisogno di Joystick.
Prima del formato USB, Joystick iconici come la serie Microsoft Sidewinder (creati per i simulatori di volo) e Joypad come il Gravis GamePad (opzione tipica in tutti i giochi dell’epoca) usavano l’interfaccia MIDI, “Musical Instrument Digital Interface”, standard usato per collegare equipaggiamento audio ad una scheda audio.
La scelta aveva perfettamente senso: se eri un “gamer occasionale” ti accontentavi del pigolio del “beeper”, dell’allarme di sistema, usato per dare primitivi effetti sonori ai giochi e della tastiera.
Se eri un “gamer evoluto” invece probabilmente avevi comprato una scheda audio e delle casse. Se avevi casse e scheda audio avevi una porta MIDI.
Se avevi una porta MIDI eri quindi pronto a dedicarti al gaming “come si deve” con tutti gli accessori, compresi Joystick e Joypad, che per tutti gli anni ’90 e 2000 crebbero.
Arcade e vintage: dove il joypad non ha mai prevalso sul joystick
Mentre le console dalla terza generazione in poi hanno popolarizzato il joypad, ergonomico e multitasto, esiste un mondo dove il joypad non ha mai davvero preso piede. Il citato magico mondo dei cabinati arcade.
Il mondo del joystick arcade ha un immaginario “Muro di Berlino” tra Occidente ed Oriente, laddove l’Occidente ha popolarizzato il joystick in stile “Happ”, ovvero a mazza da baseball o goccia e l’Oriente ha lo “stile Sanwa”, quello con l’iconica palletta.
Confine naturalmente sfumato dalla globalizzazione: un cabinato costruito in Giappone avrà parti Sanwa, ma anche un cabinato “fai da te” potrà prediligere le parti Sanwa per il loro fascino iconico e storico.
Naturalmente la tecnologia stessa del joystick arcade si è evoluta sia in senso ergonomico che retrocompatibile: inizialmente per venire incontro alle esigenze di cabinati necessitanti ricambi e in grado di accettare solo due o quattro posizioni (destra-sinistra o alto-basso, destra-sinistra) sono stati introdotti i “restrittori”, supporti di materiale solido che guidano la leva nelle posizioni ammesse, usati spesso anche in joystick e joypad “di lusso” per avere determinati vantaggi: un restrittore a “ottagono” ad esempio aiuterà il giocatore di picchiaduro ad individuare al tatto diagonali e direzioni, un restrittore quadrato darà libertà di movimento nelle quattro direzioni e un restrittore tondo aiuterà nei movimenti liberi.
Un joystick arcade è un capolavoro di precisione: deve avere una precisa “deadzone”, ovvero attivarsi solo oltre una certa soglia per evitare che un tremito di mano ti costi la partita, deve essere perfettamente centrato e avere una buona corsa. Ovviamente paghi quello che hai e viceversa: se vuoi costruirti il tuo “fightstick” o il tuo cabinato amatoriale, non potrai pretendere da parti clonate da 12 euro la precisioni di parti più costose.
Nel mondo Arcade quindi esistono ancora i joystick, ma non solo: se in passato era comune avere i “joystick stile Arcade”, come il NES Advantage, o Joystick costruiti con parti arcade, come gli Albatros della Alberici, adesso i “fightstick” sono spesso ricercati e costosi oggetti per chi cerca l’unica esperienza del “picchiaduro come in sala giochi”.
Il Mad Catz Arcade Fighting Stick viene ancora venduto a prezzi da console.
Altra nicchia dove il joypad stenta a prendere piede è il magico mondo delle riproduzioni vintage: per lo stesso motivo per cui anche chi potrebbe collegare una console o un computer vintage ad un moderno monitor LCD preferisce il Tubo Catodico, chi potrebbe usare un moderno gamepad con adattatori preferisce l’antico.
O, in questo caso, con un TAC-2 usato a prezzi da Nintendo Pro Controller per Switch, repliche quasi perfette.
Come ArcadeR, riproduzione del citato Competition Pro costruito interamente con parti da joystick Arcade Sanwa e una serie di switch nascosti sotto la scocca per configurarlo per le principali piattaforme di gioco con standard Atari.
O come la pletora di riproduzioni dell’originale CX40 Atari, tra cui il CX40+, prodotto recentemente da Atari stessa, l’Hyperkin Trooper o gli infiniti “simil CX40” di sottomarca.
Per i coraggiosi, la citata semplicità del formato Atari consente di costruire il proprio joystick: ci sono video e guide online che ho personalmente seguito. Basta reperire i citati bottoni e leve arcade (reperibili facilmente anche su Amazon) e provvedere al cablaggio con un aiuto del saldatore o dei connettori a crimpare di tipo “fast-on”, un’esperienza che potrebbe aiutarvi a riconnettervi (in ogni senso) alle radici dell’elettronica.
Tasti, sempre più tasti
Arrivati alla boa degli anni ’90, lo standard Atari era stato perlopiù abbandonato, salvo per i cloni a basso costo (di cui abbiamo parlato in un precedente capitolo legato all’informatica Russa vintage).
Del resto, su un DB9 potevi avere due, massimo tre tasti. Ma il giocatore voleva molto di più.
SEGA riuscì a spremere dal formato DB9 fino a sei tasti col controller del Mega Drive, ma usando una circuitazione tale per cui se provi a collegare un pad del Mega Drive su un computer meccanicamente compatibile come il Commodore 64 rischi di danneggiarlo.
Nintendo portò ad evoluzione il suo standard, aggiungendo sempre più tasti e creando controller dalle forme più strane.
Il Pad del Nintendo 64 introdusse il “thumbstick” o “controllo analogico” (venendo anticipato solo da un controller di terze parti per il Mega Drive, venduto solo in Giappone per simulatori di volo).
Come i paddle e il joystick Kraft, usava due potenziometri montati su una sorta di “sfera armillare” che consentiva di registrare le due posizioni.
Tale intuizione portò al primo joypad riconoscibilmente “moderno”, come il Dual Analog Controller della Playstation (1997), il pad del GameCube (2001) e, sostanzialmente, tutti i joypad attuali compresi quelli della Nintendo Switch, della Playstation 5 e della Xbox.
Due controlli analogici, quattro tasti frontali e “quattro a spalletta”, in modo da dare un’esperienza di gioco sempre più immersiva.
La Babele di formati anche in questo caso, finì con l’arrivo delle prese USB e del Bluetooth: se in passato i joystick e i joypad wireless erano costose curiosità, oggi è inconcepibile una console che non supporti modalità di gioco senza fili.
Alternative al joystick e al joypad di dubbio successo
Esattamente come per il mouse, il joystick e il joypad possono essere migliorati, ma non superati. I più giovani di voi ricorderanno il WiiMote, tentativo Nintendo di sostituire il controllo a levette col gesto.
Ma ancora prima i gamer hanno tentato di superare il joystick per poi tornare ad esso strisciando come i Vendicatori davanti a Thanos.
Negli anni ’80 sono arrivati il Mattel Powerglove, antenato del WiiMote popolarizzato dal film Il piccolo grande mago dei Videogames, affare grosso, scomodo e pieno di tasti da indossare come un guanto e il “Lipstick”, poco più che un microfono attaccato alla porta Atari in grado di reagire a rumori forti “premendo” il tasto di sparo consentendoti dunque di giocare a piccoli minigiochi urlando “fuoco! Fuoco! Fuoco! Fuoco” fino all’arrivo dei pompieri.
Assieme a questi ed altri esperimenti tristemente falliti sono arrivati i joystick “gimmick”, ovvero di forme strane dettate non dall’ergonomia, ma da un perverso senso di moda e collezionismo.
Come ad esempio il “Terminator”, Joystick fatto a forma di bomba a mano e venduto in un tubo di cartone dalle fattezze militareggianti o l’improbabile controller a forma di motosega creato per PS2 e GameCube per consentire ai giocatori di Resident Evil di dedicarsi a improbabili esperimenti ergonomici.
Tutti esperimenti di poca durata: alla fine siamo sempre tornati a forme sostanzialmente simili l’una all’altra.
Attualità: la caduta e la rinascita del joystick e joypad
Come abbiamo già visto nella trilogia, la vita del gamer è un eterno ritorno: sul PC tastiere e mouse hanno ormai superato il joystick e il joypad in molte applicazioni.
Il motivo è semplice: se negli anni ’80 il joystick era una necessità, negli anni ’90 un lusso, ora il lusso è la tastiera. Tastiere meccaniche, precise, comodissime: in molti giochi dove ogni click conta, uno switch è più rapido ed efficiente di un analogico o un contatto.
I joystick si sono ridotti nell’uso, i joypad hanno vinto sui loro avi-cugini per praticità e portabilità.
Non per solidità purtroppo: il “drifting” è un problema sempre alle porte. Quella delicata “sfera armillare” col tempo si logora e consuma: i citati paddle dopo anni di carriera diventavano tremebondi e inclini a movimenti saltellanti. Un Gamepad usurato tenderà a spostare il personaggio in una determinata direzione, non mantenendo più il centro.
Recentemente sono stati introdotti sensori “ad effetto Hall”, puramente magnetici che promettono di combattere l’effetto drifting. Ironicamente, uno dei primi joypad commerciali ad averlo è una riproduzione per Nintendo Switch del pad del GameCube, il Nyxi Wizard.
Joystick vengono usati ancora nella guida dei droni e per manipolare strumenti industriali e medici: un gamepad era all’interno del Titan, il sottomarino imploso durante un viaggio verso il relitto del Titanic, ed era un umile gamepad da 30 euro circa modificato con parti stampate in 3D.
Ovviamente, a parte questo, il gioco su console differisce dal gioco per PC perché non solo i gamepad lì non sono mai andati via, ma sono ancora l’unica forma ammessa di gioco.
Anche in questo caso, come nel mondo PC si fa cerchio: c’è chi ha giocato Diablo IV solo con una tastiera meccanica davanti agli occhi, e c’è chi ha giocato Return to Monkey Island su Switch alternando al touchpad l’uso del joypad al posto del mouse per goderlo sul grande schermo.
Come anticipato, tutti questi joystick e joypad moderni, a parte le “riproduzioni retro” hanno superato la babele di formati: il joystick e joypad moderni sono generalmente USB e Bluetooth, con adattatori disponibili solo per convincere pad per diverse consoles a “riconoscere” una console diversa da quella di marca.
Il wireless ha aperto la porta a nuovi tipi di controllo: dalla PS3 in poi, tutte le console attuali hanno introdotto sistemi di riconoscimento del movimento, che consentono ad esempio di usare un’arco “muovendo” il gamepad di fronte a te, e nonostante tentativi di sostituire del tutto il Pad con strumenti come i WiiMote e altri strumenti di lettura del gesto, alla fine siamo sempre tornati a giocare con le dita ben piantate su tastini e levette.
Come in passato, ci sono “i gamepad della casa” e gamepad evoluti di produttori terzi, con tasti aggiuntivi sul retro, turbo e autosparo e tutte le altre funzioni possibili, ricercati dai giocatori hardcore da console tanto quanto le tastiere meccaniche lo sono per i giocatori da PC.
Joystick e Joypad insomma continuano a far volare (con la fantasia), e sono ancora lo strumento prevalente di gioco in tutte le occasioni in cui una tastiera non è facilmente trasportabile o impiegabile.
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