Quella volta che un “ragazzo della Via Gluck Giapponese” inventò un franchise miliardario
C’era un ragazzo della Via Gluck, e non parliamo di Adriano Celentano o del suo avatar animato “Adrian”. Anche se questo ragazzo ha avuto la stessa identica parabola di Celentano, compreso essere immortalato nella forma di un eroe leggendario eternamente giovane e in grado di salvare il suo mondo un numero incalcolabile di volte per poi decidere un bel mattino di sparire per sempre dopo aver realizzato tutti i suoi sogni e liberato il mondo lasciando via libera a nuovi eroi.
Ci ha messo quasi trent’anni, ma avrete capito di chi parliamo. Se ce l’ha fatta Ash Ketchum della Città di Pallet, al secolo Satoshi Tajiri di Machida (sobborgo di Tokyo), se ce l’ha fatta Adrian, potete farcela anche voi.
Questa è la storia di uno di noi, anche lui nato per caso in via Gluck a Machida
Questa storia nasce da Machida, piccola cittadina inglobata nella più grande Tokyo dove oggi puoi dare da mangiare a tartarughe e scoiattoli per sessanta centesimi di euro, visitare giardini fioriti e un museo dedicato a Snoopy.
Nel 1965 Machida era ancora più rurale, piena di prati fioriti, laghetti e pantani, e ragazzini che scorrazzavano nell’hobby tipicamente giapponese di andare a caccia di insetti.
In quell’anno nacque il piccolo Satoshi Tajiri, il videoludico Celentano di questa storia, ma non ancora il suo “Adrian”, l’eroico eterno ragazzino Ash Ketchum di Pallet.
Come tutti i ragazzini amava giocare, come molti ragazzini amava deludere il padre concessionario di automobili Nissan e la madre casalinga che volevano farne un ingegnere pensando a tutt’altro: nel suo caso due interessi, uno concatenato e collegato ad un altro.
Vieni a vedere, i meravigliosi insetti del podere
Quando Machida era ancora una cittadina prettamente rurale, il piccolo Satoshi come molti suoi coetanei andava a caccia di insetti, perlopiù grossi scarabei, come i Dinastini e i Lucanidi.
Per molti piccoli Giapponesi è un hobby tipico da secoli: generazioni di ragazzini Giapponesi, almeno quelli così fortunati da non vivere in città passano le vacanze estive nei prati cercando lo scarabeo più grosso e luccicante per riporlo in apposite gabbiette di plastica, ammirarlo o farlo lottare con gli scarabei degli amici (tenendo entrambi nella stessa gabbietta per vederli scontrarsi tra loro con le loro mandibole o corna di chitina).
La passione per gli insetti è così forte che puoi trovare gli insetti in vendita per cifre dagli 800 dollari ai due milioni circa a seconda della qualità e pregio dell’esemplare e dal rendere i ragazzini giapponesi con le loro retine e cappellini antisole una vista comune nelle torride estati.
E sin qui l’avventura di Satoshi Tajiri si sarebbe anche fermata, se non fosse che, esattamente come accadde ad Adriano Celentano, ad un certo punto dovette rinunciare al contatto con la natura.
Là dove c’era l’erba, ora c’è una città
Durante l’infanzia e l’adolescenza di Satoshi Tajiri l’espansione industriale e cittadina di Tokyo si mangiò buona parte dei prati e dei boschetti di Machida: se un tempo Satoshi era noto agli amichetti come il “Dottor Insetto” per la sua conoscenza enciclopedica degli scarabei da combattimento e dove trovarne, nonché degli anni passati a studiare i modi di allevarli e farli sopravvivere a lungo anche in cattività, col tempo il giovane Satoshi perse sia gli amati prati sotto il peso del progresso urbano che la spensieratezza di bambino sotto il peso dell’età.
Con gli amati prati trasformati in “catrame e cemento”, Satoshi trovò una nuova passione nelle Sale Giochi, come molti dei suoi coetanei anche nostrani.
Infatti a questo punto della storia siamo arrivati all’uscita di Space Invaders di Taito (1978), ed all’esplosione delle Sale Giochi in Giappone, fenomeno passato da ignoto a cardine di una intera industria dell’intrattenimento.
Incidentalmente in quegli anni nei Grandi Magazzini Seibu di Ikebukuro, uno dei quartieri commerciali di Tokyo, aprì la prima rivendita professionale di Computer nella quale un certo Satoru Iwata (1959-2015) comprò il suo primo computer, un Commodore PET, che l’avrebbe un giorno portato a incrociare la strada del più giovane Tajiri.
Ma ora non bruciamo le tappe: mentre Iwata, già universitario, riuscì a permettersi un Commodore PET dando fondo ai risparmi personali, ai regali dei parenti per l’Università e accollandosi un prestito, Satoshi era ancora un liceale passato dal passare troppo tempo con gli scarabei a passare troppo tempo in sala giochi, così tanto da finire a farsi regalare un cabinato dell’amato Space Invaders per i tempo e i soldi buttatici dentro.
Satoshi Tajiri decise di risparmiare per permettersi i gettoni, arrivando a comprare libri di testo usati per intascarsi la differenza ma ripetendo l’approccio dei tempi di cacciatore di insetti per cominciare a scrivere guide e trucchi sui principali giochi da cabinato, piazzando il suo nome nella scala punteggi di Pacman (Namco, 1980) e Xevious (Namco, 1982).
Nel 1983, all’età di 18 anni, uscì così il primo numero di Game Freak, allora solo una fanzine, un giornalino autoprodotto che raccoglieva tutti i trucchi per trionfare nei principali videogame da sala giochi, imbarcando nell’avventura il disegnatore Ken Sugimori ed arrivando a 10mila copie per i numeri coi trucchi più ambiti.
Parallelamente cominciò a mandare proposte di videogames ad ogni concorso, imparando a impostare ogni gioco come il concetto di una azione.
Se Pac-Man piace perché “mangia” e Space Invaders perché “spari”, nel 1982 riuscì a vincere un premio da SEGA per un gioco chiamato “Spring Strangers”, mai rilasciato, basato sul “saltare” e riuscì, tra il premio e la fanzine, a portare un po’ di soldi in casa per dimostrare di non star perdendo tempo.
Da Game Freak, la rivista a Game Freak, l’editore di videogames
Satoshi cominciò a vendere ogni numero della rivista per l’equivalente di tre dollari circa, e cominciò ad interessarsi al mercato delle console domestiche, rappresentato in Giappone dal Famicom (1983, versione locale del NES, Nintendo Entertainment System, uscito in Occidente due anni dopo) e dal Game Boy.
Siamo ora arrivati al 1987: nel frattempo Satoshi aveva concluso i suoi studi senza proseguire la carriera universitaria se non per un corso breve biennale di ingegneria informatica. Corso che i suoi genitori speravano l’avrebbe condotto ad una carriera da ingegnere, ma che Tajiri prese in modo diverso.
Satoshi Tajiri riunì lo staff di Game Freak, tra cui il disegnatore Ken Sugimori e il compositore di musica da videogiochi e programmatore Junichi Masuda e iniziò a lavorare su Mendel Palace (“Quinty” in originale), stralunato fantasy dove un eroe deve salvare una graziosa principessina dalla sorella gelosa sconfiggendo dei nemici strappandogli il tappeto sotto i piedi.
Le ristrettezze economiche di un gruppo di “scappati di casa” impedirono a Game Freak una partenza usuale.
Nessun dev-kit: Satoshi Tajiri e co. dovettero arrangiarsi smontando dei Famicom e usando computer assemblati con parti in prestito e in offerta. Nessun passaggio diretto con Nintendo: Tajiri nel 1989 dovette costituire Game Freak in società per vendere i diritti di Mendel Palace a Namco in modo che Namco concedesse a Nintendo ottenendo il desiderato “seal of approval”, e quindi uscita su cartuccia.
Guadagnò 50 milioni di Yen dell’epoca che decise di reinvestire in Game Freak.
Da Game Freak a Pokémon
Il 1989 non è solo l’anno di uscita di Mendel Palace, ma l’uscita del Game Boy, prima console portatile della Grande N con un multiplayer accessibile, incarnato dal Game Link Cable.
Tutti i Game Boy della storia (il wifi come unico mezzo di collegamento fu introdotto solo col Nintendo DS) nascono infatti con un particolare connettore per usare un cavo di collegamento bidirezionale da Game Boy a Game Boy.
Come molte funzionalità delle console dell’epoca, all’inizio non fu utilizzata molto. Abbiamo visto come SEGA abbia perso il treno dell’online con Saturn e Dreamcast proprio per la mancanza di interesse per una funzione oggi essenziale: Satoshi Tajiri decise che anziché usare il Game Link Cable per il solo PvP lo si sarebbe potuto usare per scambiare oggetti di gioco.
E poi per scambiarsi personaggi di gioco. E poi per scambiarsi personaggi che sembrassero vivi.
Nonostante stesse facendo del suo meglio per dare un’immagine adulta e ripulita di Game Freak, la sua idea lo portò a immaginare uno “Scambio di insetti mediante cavo”.
Insetti che poi divennero amabili creature, un po’ mostri un po’ amici, che vivono nell’erba alta intorno a villaggi rurali, possono essere catturati, allevati, ammaestrati e fatti combattere tra di loro e grazie al Game Link Cable scambiati per finire la collezione.
Creature con il loro aspetto e una loro “personalità”, che se scambiate ti salutano con un verso per farti percepire il fatto che anche a loro mancherai ma parteciperanno a nuove avventure con altre persone. Nonché creature che nonostante somiglino nell’aspetto non solo ad insetti (pur presenti nel gioco), ma anche a cani, gatti, topi, tartarughine, lucertole e piccoli dinosauri come gli insetti avevano la possibilità di “evolvere”, ovvero passare attraverso diversi stadi della loro vita con aspetto e capacità sempre nuove, precisando però che questo sarebbe stato possibile solo con la cura e l’affetto del giovane giocatore (come accadeva con gli insetti di Tajiri).
Furono gettati le basi di “Capsule Monsters”, che con un altro bel po’ di lavoro divenne Pocket Monsters, abbreviato in Pokémon.
La storia fece cerchio: il “Professor Insetto”, ora diventato programmatore di videogame, creò dei succedanei virtuali degli insetti, un po’ pesci e mammiferi e un po’ insetti, un po’ Tamagotchi e un po’ insetti, che i ragazzini del mondo potessero catturare e scambiarsi mediante il Data Link Cable.
Il tutto imbullonato però ad una struttura da Gioco di Ruolo alla Giapponese classico, che al contrario di “Mendel Palace” però non aveva come protagonisti principi e guerrieri, ma un ragazzino di dieci anni la cui storia si dipana in una “vacanza estiva eterna” con dei cattivoni da sgominare e medaglie da guadagnare per essere certificati dalla Lega Pokemon come un grande campione.
Scelta questa che consentì di aprire al futuro reintroducendo una forma di PvP: i ragazzini avrebbero potuto non solo scambiarsi gli animaletti col Game Link Cable, ma sfidarsi tra di loro: cosa che decenni dopo avrebbe reso Pokémon uno degli eSport principali della Grande N con una fitta presenza di “atleti” italiani.
Il sistema di combattimento sarebbe stato lo stesso usato nel gioco: uno strategico a turni dove l’elemento tipico del fantasy giapponese del “tipo di magia” veniva traslato all’elemento naturale: come in Final Fantasy ci sono incantesimi di diversi elementi, i “Pocket Monsters” sono ognuno legato ad un elemento della natura.
Ad esempio il Pokémon di Erba Bulbasaur può usare gli attacchi del tipo erba con massima efficacia, ma è debole agli attacchi di tipo fuoco, dominio del Pokémon di fuoco Charmander e ghiaccio. A sua volta Charmander è debole agli attacchi di acqua, dominio del Pokémon di tipo Acqua Squirtle, che però è sua volta debole contro Bulbasaur e gli attacchi elettrici del Pokemon elettrico Pikachu.
I Pokemon possono imparare fino a quattro attacchi, non necessariamente del loro tipo (anzi nel competitivo moderno non è auspicabile avere attacchi solo dello stesso tipo), ma sapendo che gli attacchi compatibili avranno un bonus.
Anche qui Tajiri volle che negli scontri si potessero vedere le spalle del “tuo” Pokémon e la faccetta dell’animaletto avversario, come se fosse la replica virtuale di una sfida tra bambini che esibiscono il loro insetto prediletto.
I problemi tecnici e la nascita del mito
A parole il piano era semplice: Game Freak avrebbe continuato a vendere manualistica e lavorare agli altri progetti in corso, dirottando su Pokémon i fondi.
Ma a seguito dell’abbandono di alcuni programmatori Masuda, il compositore, dovette prendere parte del loro incarico. Masuda diventerà il compositore di ogni colonna sonora di ogni singolo gioco di Pokemon dalla prima alla nona generazione, assumendo altri incarichi di peso nella compagine fino al trasferimento, nel 2022, da Game Freak a The Pokémon Company, cosa che non gli ha impedito di lavorare sui titoli “Scarlatto e Violetto” e persino su Pokemon Sleep, il “misuratore di sonno”.
Anche nel caso di Masuda dobbiamo dichiarare che esiste un pezzo di Commodore nella saga di Pokémon: come molti artisti multimediali Masuda scriveva le sue musiche su un Commodore Amiga per poi usare un programma da lui scritto per convertirlo nel formato adatto alla cartuccia del futuro gioco.
Ken Sugimori, inizialmente autonomo affiliato a Game Freak, decise di diventare a tutti gli effetti un impiegato di Game Freak dedicandosi a tempo pieno alla creazione dei personaggi del gioco e gli stessi limiti tecnici di un gioco che non nacque esente da bug e glitch definirono gli ulteriori dettagli della saga.
Il fatto che Shigeki Morimoto, programmatore e disegnatore come Sugimori avesse inserito Mew nell’ultimo momento utile e senza alcun modo per catturarlo se non “sbloccandolo” nel corso di eventi che non sarebbero mai arrivati portò alla saga il concetto di “Pokemon Misterioso”, ovvero ottenibile tutt’ora solo mediante codici rilasciati online o in promozioni in negozio.
L’idea piacque molto a Satoshi Tajiri: anche se come anticipato l’evento pubblico per “sbloccare” Mew non arrivò mai nel corso della prima generazione di giochi, l’idea che ci fossero Pokémon ottenibili solo in eventi pubblici o, in quegli anni (la situazione poi diventerà diversa, e il Giappone comincerà a considerare forme di pirateria informatica diverse manipolazioni del dato) in cui imbattersi solo mediante bug di gioco e passaparola avrebbe acceso il fuoco della discussione ritornando all’epoca dei ragazzini in Sala Giochi pronti a scambiarsi consigli e leggende metropolitane discutendo per giorni e giorni del gioco amato.
La necessità di tradurre Pokémon in più lingue consentì a Satoru Iwata di mettere le sue mani sul codice sorgente, ricreandolo in Pokemon Stadium e gettando le basi per il gioco competitivo come lo conosciamo, consentendo ai ragazzini di “scaricare” le loro bestiole sul Nintendo 64 per lottare con gli amici o contro il computer con un commentatore digitale in uno stadio virtuale.
Nonostante a Tajiri fu consentito usare cartucce con sufficiente memoria per catturare tutti e 150 i Pokémon, egli fu costretto a selezionare: la cosa consentì, quando la saga continuò per il suo grande successo di continuare ad aggiungere nuovi Pokémon basati sulle idee scartate e nuove idee, superando ufficialmente i 1000 tipi di creature con l’attuale nona generazione.
Gli enormi ritardi nella programmazione fecero in modo che Pokémon Verde e Rosso (in Occidente Blu e Rosso, vedremo) arrivassero tardi su una console che nel 1996 era già al canto del cigno.
Ma per molti ragazzini il GameBoy era tutto quello che potevano permettersi, e Pokémon si rivelò un’insperata fonte di longevità per il GameBoy stesso, fungendo da traino per un uso arguto del Super Game Boy (adattatore per usare i giochi Game Boy sul Super Nintendo) visibile anche sul GameBoy Color (versione del 1998 del GameBoy con un display a colori): le città venivano mostrate con una tonalità di colore diversa, ispirata al proprio nome, suggerendo che il mondo grigio e bianco del piccolo protagonista si “colorasse di meraviglia” col crescere delle sue conoscenze e delle sue avventure al fianco degli amati Pokémon per diventare il più grande degli allenatori e salvare il mondo dal Team Rocket, iconico gruppo di cattivoni che, forse espressione della biografia di Satoshi Tajiri, volevano rubare ai bambini i loro amati Pokémon per prendere il controllo di città e industrie rendendo il verdeggiante mondo del gioco una landa corrotta e basata sul business ad ogni costo.
Laddove non era disponibile il Super Game Boy o un GameBoy Color, era la stessa fantasia e intuizioni tecniche volute dallo stesso Tajiri (la possibilità di dare soprannomi ai Pokémon catturati che non fossero modificabili in caso di scambio, i citati nomi delle città ispirati a colori) a creare quel senso di empatia e meraviglia dove l’immaginazione avrebbe supplito al limite tecnico di una console tecnologicamente in debito ma con l’enorme vantaggio di poter accompagnare i bambini a scuola e nei parco giochi.
La necessità di stimolare i ragazzini allo scambio delle creature creò la tradizione ancora in uso nella saga delle “versioni appaiate”.
La prima generazione del gioco apparve in versione “Verde e Rossa”, con alcuni Pokémon mancanti in entrambe: chi voleva completare il Pokedex, ovvero l'”enciclopedia di tutti i Pokemon”, avrebbe dovuto per forza ricorrere agli scambi. Shigeru Miyamoto aveva proposto a Tajiri ben sette versioni, una per ogni colore dell’arcobaleno, ognuna difettante di alcuni Pokémon: Tajiri preferì avere solo due giochi a scaffale con una singola concessione. Il numero fu considerato sufficiente per “obbligare” i ragazzini ad acquistare assieme e insieme scambiarsi Pokémon per finire il gioco, cedendo gli animaletti della versione prescelta.
Come unica concessione all’idea di Miyamoto di avere più versioni, e necessità data dal fatto che all’epoca era impensabile aggiornare un gioco per correggere bug sfuggiti allo sviluppo, Satoshi Tajiri introdusse nel primo anno di pubblicazione della “versione a coppia” una versione “terziaria” successiva. Tradizione questa durata per buona parte del franchise (con qualche eccezione cominciata con XY, la sesta generazione nativa 3DS e mandata in soffitta con l’era Switch per sempre) di rilasciare dopo i due giochi primari una versione “perfezionata, riveduta e corretta”.
Dopo Pokémon Verde e Rosso apparve Pokémon Blu, le cui mappe e disegni migliorati furono usati per la release internazionale chiamata Rosso/Blu.
Seguirà Pokémon Giallo, ispirato alla serie animata ispiratrice di questo articolo, Pokémon Cristallo (versione migliorata di Oro/Argento, nativi GameBoy Color), Pokémon Smeraldo (versione migliorata di Pokémon Zaffiro e Rubino per GameBoy Advance), Pokémon Platino (versione migliorata di Pokémon Diamante e Perla per Nintendo DS), Pokémon Bianco2/Nero2 (che interruppe la tradizione creando non una versione perfezionata, ma un seguito diretto dell’avventura iniziata in Pokémon Bianco/Nero per Nintendo DS con supporto per le funzioni evolute del modello DSi e connessione col 3DS), la tradizione saltò il turno con Pokémon X/Y per 3DS, nuovamente con Pokémon UltraSole/UltraLuna avemmo un’edizione perfezionata di Sole e Luna, e con l’era Switch la tradizione è tramontata del tutto, proiettando anche Pokémon nell’era moderna della possibilità di acquistare dei DLC, livelli esclusivi a pagamento, circa un anno dopo l’uscita di Pokémon Spada/Scudo e Pokémon Scarlatto/Violetto.
L’impero crossmediale e “l’Adrian di Satoshi”
Nintendo aveva investito molto sulla saga e decise di sfruttarla: si decise così di lanciare una serie animata basata sul franchise.
A questo punto entra in scena Takeshi Shudo, sceneggiatore noto per Baldios, Gotriniton e il Magico Mondo di Gigì.
Nonostante i temi cupi di opere come Baldios riuscirà a portare in TV il mondo dei Pokémon esattamente come sognato da Satoshi Tajiri, alieno ad ogni forma di violenza (i Pokémon non possono morire, svengono perché “Non più in grado di combattere” e vengono rianimati dall’Infermiera Joy con una “macchina pokenergetica”), Shudo riesce a creare un anime abbastanza leggero e rispettoso delle direttive di Tajiri, riservandosi i momenti più cupi nel romanzo tratto dall’anime.
Se in Pokémon Rosso/Blu il protagonista era il giocatore, Satoshi Tajiri chiese di creare un personaggio che rappresentasse “l’elemento umano nel gioco”.
Non a caso in Giappone Ash Ketchum si chiama Satoshi, Pallet Town si chiama “Masara Town” e nella storia dell’anime scritto da Shudo Satoshi è un ragazzino che sogna di andare a caccia di Pokémon nei boschi e nelle foreste per coronare il suo sogno di diventare “Un Maestro di Pokémon” e sorpassare il suo amico di infanzia Shigeru Okido (da Shigeru Miyamoto), per il quale nutre sia ammirazione che l’ardente desiderio di raggiungerlo e sorpassarlo, incontrando per la sua strada altri personaggi pronti a seguirlo.
Personaggi sovente ispirati ai collaboratori ed amici di Tajiri, come Max, introdotto durante il passaggio della saga al Gameboy Advance e disegnato sul modello fisico del figlio di Satoru Iwata con l’aggiunta degli occhiali tipici del padre (sfruttando quindi la somiglianza padre-figlio per creare un Satoru appena decenne), nonché i personaggi creati da Game Freak per i giochi sullo scaffale in quel momento, consentendogli un certo “diritto di visita”.
La stessa sigla originale giapponese attribuisce a Satoshi i tratti già visti in Satoshi Tajiri: l’amore per la natura, il desiderio di conoscere la natura e la convinzione (maturata come abbiamo visto dalla natura corale di Game Freak) che per quanto vivere onestamente e felicemente inseguendo i propri sogni sia difficile e faticoso sia il dolore che la fatica potranno essere divisi con gli amici più cari.
In America si decise di ribattezzare i personaggi: Satoshi divenne Ash Ketchum, gioco di parole con “Gonna catch’em all”, “acchiappali tutti”, la tagline della serie, e Shigeru divenne Gary Oak.
Ash Ketchum divenne l’Adrian di Satoshi, una versione idealizzata del Satoshi bambino a cui fosse consentito continuare a vagare in quella eterna “via Gluck” ormai distrutta dal cemento per coronare il suo sogno in una eterna estate, e l’animazione divenne il mezzo con cui Ash Ketchum avrebbe introdotto le nuove generazioni del gioco.
Il ruolo del “Professor Insetto”, trasformato in “Professor Pokemon” venne preso dallo svampito ma allegro “Professor Oak”, nonno di Gary e saggio mentore di Ash pronto a insegnargli come coronare il suo sogno consegnandogli il Pokédex, enciclopedia virtuale dei Pokémon da riempire coi dati di ogni creatura catturata (come i quaderni del vero bambino Satoshi Tajiri e le “Guide di Game Freak”) e venne introdotto il “Trio Rocket”, tre buffi personaggi parte dell’organizzazione malvagia del videogioco ma tragicomicamente inefficienti, a tratti persino amichevoli e pronti a tifare per il giovane Ash… a patto di lasciargli rubare il suo amato Pokémon Pikachu per mostrarlo al loro capo Giovanni come segreto della sua forza.
Trio, evidentemente, ispirato dai goffi cattivi di Yattaman e delle “Time Bokan”, le serie Tatsunoko collegate dove una dispotica ma un po’ stereotipata “bella donna” tiranneggia due tirapiedi dall’entusiasmo superiore alle loro possibilità ottenendo solo fallimenti, occasione di divertimento e qualche primo turbamento dei ragazzini della generazione di Satoshi Tajiri.
Takeshi Shudo ebbe modo di sfogarsi in un romanzo tratto dall’anime con idee più cupe di quelle del franchise crossmediale. Nella visione di Shudo, non coincidente con quella più leggera di Satoshi, Ash Ketchum sarebbe diventato il primo Ketchum dell’intera storia del genere umano a combinare qualcosa di buono nella vita, un vincente nato da una famiglia di perdenti e motivato a diventare Maestro di Pokémon perché suo padre e suo nonno non erano neppure riusciti a entrare in classifica.
Lo stesso Ash Ketchum diventerà famoso almeno quanto il suo “originale” e latore di una serie di scelte che peseranno enormemente sul franchise tutto: il suo amato Pikachu, scelto letteralmente per caso (nella serie animata Shudo scriverà che semplicemente Ash aveva rotto la sveglia ed era arrivato dal buon Professor Oak troppo tardi per ritirare i tre Pokémon di partenza del gioco e quindi aveva dovuto accontentarsi di un animaletto discolo e disubbidiente che nessun altro aveva accettato, conquistando il suo affetto e la sua fedeltà) divenne il protagonista di un gioco unico in tutta la saga: una “seconda terza versione” chiamata Pokémon Giallo dove i protagonisti erano Ash Ketchum e l’unico starter possibile Pikachu, arricchito da Satoshi Tajiri di funzioni per vedere Pikachu scorrazzare (in forma di ammasso di pixel ovviamente) al fianco di Ash e interagire con lui per vedere le sue faccette evolvere dal disappunto alla gioia.
Lo stesso Pikachu divenne il volto del franchise, eterna mascotte dalle mille incarnazioni e Pokémon più noto per un semplice caso: Game Freak e Nintendo non volevano creare una “scelta canone”.
Se Ash avesse “scelto” uno dei tre starter, due terzi dei giovani giocatori avrebbero pensato di aver “scelto il Pokémon sbagliato” e interrotto quel rapporto privilegiato con tutti i loro Pokémon: si decise così per uno dei Pokémon facilmente reperibili nelle prime fasi di gioco, facendo in modo che Ash ottenesse gli altri tre “starter Pokémon” nella storia in altri modi, ma creando il suo legame più solido col topino giallo.
Ironicamente, la classifica citata solo nei romanzi diventerà parte del canon assieme a Pikachu (scelta canonica obbligata in “Pokémon Giallo” e nel suo rifacimento “Let’s Go Pikachu”, gioco “a coppie” con “Let’s Go Eevee”, dove la scelta obbligata era il Pokémon di Gary, un Eevee) anni dopo la morte di Shudo e nel finale della saga, dove, dopo 25 anni in TV, l’eterno decenne Ash riuscirà grazie all’aiuto di Pikachu stesso a diventare il Primo Classificato tra tutti gli Allenatori per poi concedersi un’ultima avventura e capire che un vero Maestro di Pokémon è colui che ha imparato a conoscere e diventare amico di tutte le creature che vivono nel suo mondo, e che anche se non gli basterà una vita per riuscirci non consentirà al fatto di essere diventato il Campione Mondiale di impedirgli di continuare a viaggiare per provarci e non consentirà alla sua nuova fama di privarlo della gioia dell’eterno viaggio e dell’eterna conoscenza.
Proprio il concetto sognato da Satoshi Tajiri e dal suo alter ego animato del giocatore come “amico di tutti gli animali”, Licia Colò antelitteram e non solo organizzatore di combattimenti tra ragazzini influenzerà tutta la saga e nei capitoli successivi diversi meccanismi introdurranno la soddisfazione e la felicità dei Pokémon come variabili della loro crescita.
Un po’ come l’essere diventato il capostipite di un impero crossmediale in grado di muovere miliardi e piazzare il suo marchio su una infinità di progetti non ha impedito a Satoshi Tajiri di continuare ad essere il Produttore Esecutivo del gioco per cui ha speso tutto se stesso, l’anime ha quindi mandato in soffitta Ash, sostituito dalla giovane Liko, scolaretta in viaggio anche lei per comprendere il “Mondo dei Pokémon” di continuare a fare quello che ha sempre amato fare: solo lontano dai riflettori.
Una nota a margine ci regala l’assurdo “spot Americano” di Pokémon, dove la doppiatrice iniziale di Ash Ketchum, Veronica Taylor, appariva nei panni di una improbabile “zia di Ash” incline alla vendita degli allora sconosciuti in Occidente videogame e gioco di carte, con al rimorchio un treno di altrettanto improbabili parenti americani appioppati al buon Tajiri per fini fiscali come in una gag del Gialappa’s Show.
Il futuro di entrambi dopo il debutto
Ash Ketchum della città di Pallet, come abbiamo visto, si è recentemente ritirato: le sue avventure animate sono finite ma non la sua eterna estate: dopo venticinque anni di tribolazioni dinanzi a ragazzini ormai adulti, ha coronato il suo sogno di essere “il migliore sai, come nessuno è riuscito mai” ma ha deciso che semplicemente non era abbastanza.
Se avete letto le biografie dei due (e non ci siamo dilungati troppo sui dettagli tecnici dei giochi solo per non annoiarvi), avrete notato che in Ash Ketchum è stato travasato l’eterno amore per la conoscenza di Tajiri.
Ash Ketchum ha chiuso il suo arco narrativo dichiarando allo spettatore che arrivato alla vetta del mondo il trionfo non era una scusa per smettere di imparare e viaggiare, Satoshi Tajiri ha deciso che l’avventura dei Pokémon non si sarebbe fermata.
Con un aiuto del citato Satoru Iwata riuscì a trasformare Pokémon da fenomeno locale a fenomeno mondiale, e rese possibile il successo del seguito diretto di Blu/Rosso, il citato Oro/Argento comprimendo i dati relativi ad un numero raddoppiato di creature ed una mappa grande almeno il doppio (comprendente sia il paese immaginario del primo gioco, Kanto, che un posto nuovo, Johto) e creare una serie di spin-off fortunatissimi per le console fisse della grande N.
L’impronta e la direzione di Tajiri nella saga si vede ancora adesso. Il metodo di costruzione dei giochi intorno a delle idee è stato nei capitoli moderni la probabile ispirazione per inserire nella modalità competitiva nuove meccaniche per ogni capitolo di gioco anche esse ispirate all’idea generale di una azione.
In XY per il 3DS fa capolino la “Megaevoluzione”, capacità per i Pokémon di accedere ad una evoluzione aggiuntiva ma temporanea legata alle emozioni dell’allenatore, sostituita in Sole/Luna dalla “Mossa Z”, un unico attacco dal potere sfolgorante utilizzabile una sola volta per scontro e con la possibilità di collezionare i cristalli luminosi nel mondo reale (come gadget prodotti da Bandai), in Spada/Scudo dall’effetto Gigamax/Dynamax (la possibilità di “ingrandire” un Pokemon per tre turni sbloccando versioni potenziate dei suoi attacchi) e in Scarlatto/Violetto dalla Terastalizzazione, un “tipo aggiuntivo” che riscrive temporaneamente la resistenza del Pokémon agli attacchi e modifica il bonus (facendo in modo di avere ad esempio un Pikachu di tipo Volante, normalmente debole al tipo Terra, che ora è immune agli attacchi di tipo Terra e riesce ad usare alla massima efficienza sia attacchi volanti che elettrici).
Non solo l’approccio di tipo “per idee”, ma anche l’idea di un gioco portatile che accompagnasse i ragazzi stimolandoli a socializzare e riscoprire l’amore per la Natura ormai distrutta dal progresso è rimasta chiodo fisso di Satoshi Tajiri.
L’evoluzione tecnologica gli ha consentito di unire la saga di giochi “da console fissa” diretta dal compianto Iwata nella saga usuale, rendendo la Nintendo Switch grande casa di tutti i Pokémon.
Lo sviluppo dei cellulari ci ha dato Pokémon Go, applicazione Niantic su licenza, erede dell’ormai meno noto Ingress dove puoi catturare creature vagando per la tua città e trasferirle nel gioco per Switch perché esse ti siano amiche nella nuova avventura.
Coi giochi di carte collezionabili i giovani meno inclini a incontrarsi col mezzo tecnologico potranno farlo al tavolo di gioco, e l’era di Internet rende possibile non più cercare amici in città per scambiarsi i Pokémon, ma far viaggiare i propri beniamini in giro per il mondo in autentiche “stazioni di scambio virtuali” che coronano l’idea del Tajiri di avere un gioco che crea legami.
“Quel ragazzo ne ha fatta di strada”, e sa che anche con tutti i soldi che ha guadagnato non potrà ricomprare nuove città rurali e campagne.
È finalmente riuscito nel suo sogno di portare un angolo di campagna in ogni cellulare e regalare ad ogni ragazzino il sogno di una eterna estate a caccia di fidate creature con cui giocare.
Incidentalmente ha anche creato un eSport che ogni anno attira giocatori e spettatori da tutto il mondo: e se volete cimentarvi, in questi giorni è uscito il primo dei due DLC per Pokémon Scarlatto/Violetto, ultimo capitolo della saga, oppure potete scaricare Pokémon Go per scoprire quali bizzarre creature si stanno agitando sotto la vostra scrivania proprio in questo momento.
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