Ritrovato il portatile più importante della generazione anni ’80 (e come tenere in vita il vostro)
C’era una volta un Epson L2. L’anello di congiunzione tra i portatili propriamente detti e i “trasportabili” (o “luggable”), come un po’ tutti i notebook degli anni ’80 e ’90. Parliamo quindi di un 286 con 20 Mb di Disco Fisso (il minimo sindacale che vi troverete mai in casa è un 256 Gb, diversi ordini di grandezza superiore e, per capirci, una Nintendo Switch primo modello, non OLED, ha più di 1024 volte quella memoria di serie), 512Kb o 640Kb di RAM e scheda video VGA con display incorporato LCD in bianco e nero.
Torneremo sulle specifiche dei suoi fratelli e su cosa avesse in comune con le due citate categorie (e quale è la differenza): senza altri indugi vi diremo perché è il computer più importante della storia di diversi ragazzini.
Ci fu un tempo in cui una certa Fininvest, diventata nel 1993 Mediaset, usava computer Epson per diverse operazioni legate alla programmazione. I più anzianotti tra voi ricorderanno il meteo preceduto dalla rituale frase “elaborazioni grafiche Epson”.
Ritrovato il portatile più importante della generazione anni ’80
Recentemente Manuela Blanchard, copresentatrice di Bim Bum Bam assieme a Paolo Bonolis e il Pupazzo Uan, ha mostrato sulla sua pagina di avere ancora il suo Epson L2 con i copioni in esterna di Bim Bum Bam in rigoroso formato floppy da 3,5 pollici, 1,44 Mb di dimensione formattata FAT16 (formato standard di MS-DOS).
Al momento non funzionante, probabilmente riparabile, in ogni caso un’Arca di Noè quiescente piena dei dati e dei ricordi di una intera generazione che se non si avvicina agli -anta ci è da poco arrivata.
Secondo le ultime notizie fornite dalla presentatrice, durante l’ultima accensione nota si è spento con del fumo: un po’ di “fumo magico” non è la fine del mondo nel mondo delle riparazioni retro, ed è un ottimo pretesto per parlare delle operazioni più comuni e dei computer dell’epoca.
Epson L2 e la generazione anni ’90: l’anello di congiunzione tra luggable e portable
Gli anni ’80 furono l’impero dei computer c.d. “luggable”, tradotto in Italiano per far piacere a chi non ama gli esterismi nella lingua, i “trasportabili”, come il Commodore SX64 (un Commodore 64 “trasportabile”) e l’Osborne 1.
Un “trasportabile” si distingue dal “portatile” per l’assenza di batterie e, fino ai portatili di attuale generazione, per dimensioni ben più generose. Laddove un portatile moderno ha le dimensioni di un libro ed entra comodamente in uno zainetto, un trasportabile aveva le dimensioni di una grossa valigia, e sovente non entrava in niente, essendo munito di una sua maniglia per il trasporto e scompartimenti interni per custodire cavi e floppy.
Cavi necessari in quanto il “trasportabile” era dipendente dal suo cavo elettrico: niente connessione, niente festa. Per lungo periodo i trasportabili e i primi portatili infatti non furono venduti a videogiocatori, hobbysti e famiglia, ma erano considerati, al pari dei primi cellulari, un oggetto squisitamente di lavoro, solido, utilitario ed associato ad un pubblico di professionisti che avevano bisogno di un “ufficio fuori dall’ufficio” e avrebbero ammortizzato la spesa superiore di un “trasportabile” evitando l’acquisto di computer plurimi, da cui ad esempio il nome dell’edizione trasportabile del Commodore 64, dove la sigla SX nel nome echeggia la parola Executive, dedicato ad un pubblico dirigenziale.
Il peso dei primi “trasportabili” era ragguardevole proprio per il loro contenuto: componenti da PC fisso, le stesse che avreste trovato in un computer fisso, giusto appena riarrangiate (l’Osborne 1 e il Compaq Portable erano veri e propri PC, con scheda madre e alimentazione infilati in un case a valigia, l’SX era un vero e proprio Commodore 64 con una scheda madre ridisegnata a forma di “L” e la mainboard del floppy esterno 1541 avvitata nella parte superiore per pilotare il floppy interno) e un piccolo display a tubo catodico.
Alcuni, come l’SX avevano già tubi catodici a colori, ma questioni di prezzo ed ergonomia (la tecnologia dell’epoca rendeva impossibile avere CRT a colori di quelle dimensioni esigue nitidi come le loro controparti in bianco e nero) resero popolare il monitor CRT in bianco e nero.
Una piccola nota a margine vuole l’Osborne 1 computer di enorme successo nonostante il costo, ma causa del fallimento dei suoi creatori proprio per questo: all’annuncio dell’arrivo di modelli successivi, il pubblico favorevolmente impressionato smise di comprare l’Osborne 1 aspettando dei futuri modelli (Dixen ed Executive) annunciati ma non ancora pronti per la vendita, e che non ebbero mai i soldi per essere messi sul mercato garantendo la sopravvivenza della ditta, inventando l'”effetto Osborne”.
Nei tardi anni ’80 e ’90 arrivarono i primi veri portatili, dotati cioè di pesanti batterie incorporate e, spesso, dei primi sistemi di “sospensione” per poter ricominciare il lavoro interrotto dallo scaricamento delle batterie non appena trovata una presa di corrente.
Dimenticatevi infatti la durata della batteria di un Macbook.
Arrivavamo comunque alla durata della batteria di un UPS aziendale top di gamma o di una console portatile, quindi compresa tra i 50 minuti e le due ore massimo. Alcuni produttori, come Toshiba e la stessa Apple rendevano possibile usare due batterie per volta per raddoppiare la durata prevista, con aumento del peso finale del dispositivo. Ironico contando che lo smartphone che avete in tasca in questo momento è molto più potente del portatile dell’epoca e vi dura tutta la giornata.
La diffusione della tecnologia LCD rese possibile evolversi dal tubo catodico in Bianco e Nero allo schermo piatto in Bianco e Nero, spostando quindi il monitor sul coperchio (nei “luggable” solitamente la tastiera funge da coperchio e “tappo” per proteggere il costoso tubo catodico), lasciando però inalterate le soluzioni tecniche dell’era trasportabile.
Siccome parliamo di computer di molto precedenti l’era delle porte USB, i primi portatili mutuarono dai trasportabili la presenza di un pannello posteriore con ogni genere di porta necessaria per gli accessori che avreste usato su un PC: una porta parallela per collegare una stampante, seriale per un modem esterno o altre periferiche simili, connettori tipo DIN (tondi con dei pin) per mouse e tastiera (quando non si trattava di mouse su seriale) e connettore VGA (o CGA nei modelli più datati, coi “trasportabili” sovente muniti di connettori ancora più desueti ma inconsueti come videocomposito e S-Video) per collegare un monitor esterno più grande.
Negli anni ’90 fu introdotto inoltre lo standard PCMCIA, per collegare schede di espansione con un formato simile alle “CAM” usate attualmente da televisori e decoder per decrittare programmi in abbonamento.
Un portatile dei primi anni ’90 o un trasportabile degli anni ’80 è, sostanzialmente, un PC fisso reinscatolato con qualche concessione alla tecnologia in più, come la comparsa di alimentatori esterni, batterie e un monitor LCD più o meno pronto all’uso (i primi esemplari non erano retroilluminati, rendendo l’uso “in viaggio” disagevole).
E questo era l’Epson L2 finito a lavorare negli studi di Bim Bum Bam per intrattenere voi lettori quando eravate ragazzini.
Come prendersene cura
Abbiamo lasciato in sospeso l’Epson L2 di Manuela Blanchard con l’amata conduttrice televisiva che dichiara la sua intenzione di riportarlo in vita. Effettivamente il “fumo magico” rientra così tanto negli acciacchi dell’età da essere descritto come tipico difetto dei portatili della sua generazione qualora rianimati in tempi moderni, dopo un sonno durato decenni.
Ricorderete che vi abbiamo detto che un portatile degli anni ’90 è essenzialmente un trasportabile con batterie, trasportabile che a sua volta era un computer (non sempre un PC XT, vedi Commodore SX64) reimpacchettato in un guscio facile da trasportare.
Ciò significa che è costruito esattamente come un computer. Tautologia non da poco, dato che ne condivide il principale punto debole: batterie tampone e condensatori, di filtro e non.
La batteria tampone
Un PC, ancora oggi, ha bisogno di una batteria tampone, non ricaricabile, per mantenere memorizzate le varie opzioni nello UEFI, ex BIOS, di fatto il menù in cui oggigiorno nessuno guarda e nel quale il PC custodisce informazioni essenziali come data, ora, periferiche installate e preferenze di avvio.
L’orologio interno e le impostazioni richiedono davvero poca energia: una batteria tampone mediamente sopravvive all’uso destinato del PC, arrivando comodamente ai 10 anni di vita e attivandosi solo quando il PC viene lasciato scollegato da una presa di corrente.
Ma come tutte le batterie, quando vengono abbandonate inutilizzate e/o esauste per molto tempo, cominciano a degradarsi liberando l’acido in esse contenute.
È il motivo per cui si consiglia di rimuovere le batterie da telecomandi, giocattoli e dispositivi portatili che non si prevede di usare nel lungo periodo, ma è la cosa che tutti dimenticano su un PC.
Quando si smette di usarlo, se non viene incerimoniosamente gettato via finisce i suoi giorni in qualche soffitta mentre la batteria tampone si degrada e rigetta i suoi preziosi fluidi vitali che danneggiano e corrodono la scheda madre, nella peggior ipotesi in modo irreversibile, nella migliore non arrivando a distruggere le piste intorno, nella via di mezzo richiedendo qualche filo volante per riconnettere le connessioni elettriche interrotte.
Parimenti, i portatili dell’epoca sono muniti di batterie estraibili ma, al pari delle batterie ora integrate in portatili moderni e smartphone, anche esse sono inclini a gonfiarsi, deteriorarsi e perdere acido, danneggiando le componenti intorno.
Fortunatamente sono disponibili batterie di ricambio per molti dispositivi anche vintage, oppure è possibile con molta manualità “ricostruire” un pacco batterie cambiando le celle al suo interno, perlopiù una serie di batterie collegate assieme.
Ovviamente il risultato sarà tanto buono quanto il materiale di partenza, comunque meglio di niente.
I condensatori
Altra parte responsabile per perdite di acido e strani fumi sono i condensatori, responsabili della stragrande maggioranza delle “fumate” da computer vintage.
Il condensatore a differenza della batteria attinge energia dai circuiti, la trattiene e la rilascia, con una carica e scarica assai rapida. Anche loro contengono fluidi al loro interno e sono soggetti a deterioramento che, risparmiandovi i tecnicismi, li portano ad aprirsi e rilasciare fluidi corrosivi al pari delle batterie.
Il tipico responsabile del “fumo nero” nei dispositivi elettrici vintage è il condensatore di filtro, spesso marcato RIFA, piazzato nei dispositivi con alimentatore interno per limitare le interferenze sulla corrente in ingresso. Finché funziona, fa il suo dovere in modo egregio, ma quando col tempo il suo prezioso guscio di plastica si indurisce e si riempie di crepe, lascia filtrare l’aria e l’ossigeno in essa contenuta reagisce coi fluidi citati provocando reazioni ossidative e l’esplosione.
Anche gli altri condensatori sparsi per la scheda madre non sono certo esenti dalla degradazione: il problema è ulteriormente esacerbato dal fatto che i condensatori prodotti nella seconda metà degli anni ’90 spesso tendono a degradarsi più velocemente della generazione precedente o successiva. Il motivo ad oggi è sconosciuto, e si tende a legarlo ad una interessante storia di spionaggio industriale (sulla cui veridicità non possiamo pronunciarci) basata su dipendenti “infedeli” che cambiando casacca portarono con sé formule difettose o incomplete inondando il mercato di condensatori meno longevi della norma.
Longevi o meno, tutti i condensatori si degradano, alcuni prima degli altri.
È buona norma, comprato un portatile usato, aprirne la scocca con cautela e ispezionare i condensatori stessi: ce ne sono di tutte le taglie, ma controllerete il loro aspetto. Se gonfi o cosparsi di strani fluidi, sicuramente sono da buttare. Se non sono gonfi o spaccati, passata una certa età converrà un controllo da un professionista e, ove riscontrata la difettosità di alcuni esemplari, armarsi di santa pazienza e sostituirli tutti, perché tanto hanno la stessa età e vengono dallo stesso posto e morto uno, moriranno tutti.
Per tutte queste variabili, non è detto che troverete per forza condensatori morti: ci sono Commodore SX64 ancora funzionanti coi condensatori originali, trasportabili Osborne1 che hanno solo perso i RIFA, ma anche dispositivi divorati dai condensatori in perdita. Bisogna valutare caso per caso e, in caso di “fumata nera”, staccare la tensione e controllare.
Le memorie di massa (disco fisso/lettore floppy)
Parliamo di dispositivi ormai vintage: nel caso del portatile storico di Manuela Blanchard, con un prezioso corredo di floppy disk contenenti le preziose sceneggiature di Bim Bum Bam.
Parliamo quindi di computer che, sia pur portatili, hanno dischi meccanici e un lettore floppy disk incorporato. Un disco meccanico non è cosa così desueta: sono ancora in commercio perché in quanto tecnologia messa alla prova dagli anni sono ormai economici e consentono con la stessa spesa di avere più memoria di archiviazione.
Perlopiù sono stati però sostituiti dai dischi SSD, sia in formato SATA che M2, i primi perfetti come economico (rispetto agli M2, ma ormai con prezzi non molto superiori ai meccanici, specie durante offerte come Black Friday o Cyber Monday) rimpiazzo “drop-in” per i dischi meccanici: togli il vecchio e metti il nuovo, senza alcun adattamento particolare.
Per un portatile degli anni ’90 la cosa è decisamente diversa: ovviamente il disco meccanico, negli anni ’80 declinato nei formati ST506, Parallel ATA e SCSI era l’unica soluzione, onnipresente sui modelli degli anni ’90 ma sovente assente nei modelli degli anni ’80, che invece ospitavano uno o due lettori floppy.
Anche considerando per ragione di età i titanici ST506 come merce già datata ai tempi del passaggio dai trasportabili ai portatili e considerando i PATA come la vista più comune, assai probabilmente quando un portatile degli anni ’90 si accende ma dà errori in avvio e non parte in MS-DOS (o Windows 95, se lo avevate) semplicemente ha ceduto il disco fisso.
La prova del nove è spesso empirica: un rumore di sfregamento o “lattina scossa” provenienti dal portatile ad ogni accensione significa che il disco ha delle anomalie e ha cessato di funzionare.
Un disco meccanico è essenzialmente composto da una testina su un braccio attivato da una calamita e dei motorini che saltella su un disco coperto da uno strato magnetico.
Se la logica che controlla quei precisi movimenti si danneggia, se il disco meccanico si usura o lo fa la parte meccanica, ovviamente il disco fisso smette di funzionare.
La scelta è a questo punto tra cercare un disco meccanico compatibile, oppure “barare” e, come abbiamo visto in un capitolo precedente della nostra rubrica, usare adattatori che consentono di usare memorie a stato solido (come Compact Flash, SD o i moderni dischi SSD) al posto delle memorie usuali.
Poco “storicamente appropriato”, ma almeno riuscirete a usare il PC vintage e potrete spedire il disco rotto (sempre se vi siano dati di importanza storica rilevante) a qualche ente interessato a tentare il recupero e l’archivio.
Proprio perché parliamo di macchine nate prima dell’era del pendrive, ma spesso prima dell’era del CD e del DVD, spesso l’unico contatto con l’esterno era un lettore floppy, un 5 pollici e 1/4 per i trasportabili, un 3,5” passati all’era dei portatili, la “nuova tecnologia del momento” nata proprio per ridurre peso e ingombro.
Anche un lettore floppy è tecnicamente un’unità magnetica con una testina magnetica su un braccio mobile attivato da un motorino: ma il disco magnetico ce lo metti tu, e si chiama “floppy disk”.
I punti critici sono molteplici: può ad esempio essersi rotto il motorino, ma il più delle volte il problema è la cinghia di trasmissione che fa ruotare il floppy (nei modelli che usano cinghie e non pulegge o un motorino direttamente sotto il floppy disk) che si è usurata, oppure le slitte su cui corre la testina che, come tutte le parti meccaniche si sono grippate col tempo.
Aggiungendo a questo il fatto che una testina di lettura sporca difficilmente leggerà qualcosa, abbiamo la ricetta per il disastro. Anche qui, puoi andare a stato solido, sostituendo il lettore floppy con una unità tipo GoTek che consente di leggere immagini disco da un pendrive, oppure armarti di santa pazienza e provare a sistemare il lettore.
Una nuova cinghia ad esempio, per poi ingrassare le slitte della testina con del grasso bianco al litio, evitando di mandarlo sulla testina che invece pulirai con alcol isopropilico e un cottonfioc, o alcol isopropilico su un floppy di pulizia, un tempo comune, ottenuto sostituendo il piattino magnetico dentro un floppy con un disco di tessuto-non tessuto che bagnerai con poche gocce di alcol.
Il lettore floppy dovrebbe tornare in vita, ma a questo converrà, se avete floppy disk contenenti dati importanti (anche solo per voi) almeno quanto i copioni storici di Bim Bum Bam, investire qualche soldo in un lettore USB per il vostro PC moderno e scaricare uno dei molteplici programmi per creare immagini disco (un file contenente tutti i dati per “ricreare” il dischetto in caso di danno) e/o copiarne il contenuto su qualche medium più moderno.
Proprio il fatto che il floppy disk sia formato da un piattino magnetico in un guscio protettivo rende il piattino magnetico incline ad usurarsi col tempo, e periodici backup su medium sempre nuovi e diversi terranno il contenuto in vita.
Attenti al display
Proprio perché i monitor sono la parte essenziale di un portatile, bisogna prestare loro particolare attenzione. Se rotti, bisognerà sostituirli in qualche modo, e non è facile reperirne.
Una “malattia” rara ma possibile dei vecchi monitor da laptop è la “sindrome dell’aceto”: per capirla, bisogna sapere che un monitor LCD da portatile non è affatto diverso da quello di un cellulare moderno o di un giochino portatile tipo i GiG della vostra infanzia o i Game&Watch Nintendo.
Sono composti a strati, incollati assieme a sandwich, di cui uno è il “polarizzatore”, una sorta di filtro senza il quale tutto quello che vedreste a schermo è un bianco lattiginoso.
In alcuni casi il polarizzatore e la colla possono degradarsi creando antiestetiche bolle e macchie: anche in questo caso con molta pazienza e una mano molto ferma si può scollare il polarizzatore, fortunatamente lo strato più superficiale e incollarne uno nuovo.
È comunque un tipo di danno molto più raro di tutti gli altri, e non impedisce di usare il portatile col cavo video attaccato ad un monitor che avete a casa.
Un po’ di pulizia serve, anche per la longevità
Probabilmente anche il vostro portatile datato soffre di tutti i mali tipici dei portatili moderni, anzi amplificati dall’età. Laddove un portatile moderno è costruttivamente simile ad un cellulare, compatto all’assenza semitotale di spazi vuoti e tenuto assieme da generose dosi di adesivo oltre che da viti minuscole, un portatile ed un trasportabile sono costruttivamente PC fissi con batteria.
Quindi arrivano col loro carico di ventole da PC fisso, spazi vuoti e tastiere a bolle se non direttamente meccaniche (simili a quelle che potete comprare in negozio per un vostro computer).
Le tastiere diventano ricettacolo di polvere e lanuggine che possono impattare sul funzionamento, le ventole come quelle dei portatili moderni si riempiono di polvere “intasandosi” e il computer ne soffre.
Una buona pulizia aiuta: è naturalmente possibile sostituire eventuali ventole ormai rese rumorose e malfunzionanti dal tempo con omologhi moderni, come le Noctua, note per essere silenziose.
Talora può capitare di imbattersi in plastiche ingiallite (vedi la barra spaziatrice sull’IBM Convertible nella foto): tale fisiologico invecchiamento non sempre è dato dalla nicotina di utenti tabagisti come si pensa, ma dalla fisiologica degradazione delle plastiche “antifiamma” usate nei computer d’epoca se esposte alla luce ultravioletta solare o proveniente da alcuni tipi di illuminazione.
La soluzione è nel c.d. “Retrobrite”, ovvero l’esposizione controllata a radiazioni ultraviolette (luce solare dirette, lampade UV) aiutata da una mistura di perossido di idrogeno, anche se vi sono stati esperimenti riusciti relativi all’uso della sola radiazione UV.
Non sempre il gioco vale la candela però, anche perché esporre un portatile agli elementi o sommergerlo in acqua e/o le creme usate per la decolorazione dei capelli danneggerebbe i delicati circuiti, e prima di “sbiancare” toccherebbe quindi smontare il guscio di plastica per trattarlo a parte.
È sempre possibile lasciare il proprio portatile riparato pulito ma ingiallito, o tentare la verniciatura (anche qui con qualche rischio e perdita di “carattere”).
Conclusione: perché impegnarsi così tanto?
Se ci chiedete come siamo arrivati dallo storico computer di Manuela Blanchard alla conservazione dei portatili tutti, è perché siamo arrivati nel 2023 al punto della storia in cui i computer vintage sono diventati da “e-waste” (rifiuti elettronici di scarsa riciclabilità) sin troppo diffusi a bene necessario per preservare parte della storia.
L’unico fondo di verità nell’ormai mitologica bufala di John Titor il viaggiatore del tempo, soldato americano reduce di una “Terza Guerra Mondiale” e di una “Seconda Guerra Civile Americana” in una linea temporale parallela era la premessa: Titor nella sua narrazione voleva procurarsi un esemplare funzionante dell’IBM 5100, computer tra i primi trasportabili, necessario per leggere alcuni programmi con i quali avrebbe risolto i problemi di data dei sistemi Unix vintage nel 2038 (collegato al famoso “Millennium Bug”).
Esistono intere librerie di programmi e documenti storici custoditi nei floppy disk e nei dischi rigidi corredo di computer ormai storici la cui fruizione e archiviazione è condizionata all’esistenza di almeno un esemplare in grado di leggere quel contenuto o alla capacità di preservare lo stesso in una nuova forma.
Con un certo sforzo dovuto alla traduzione possiamo leggere un intero archivio di lamentele rivolte ad un mercante sumero del 1750 a.C., noto per truffare i suoi clienti con rame scadente, collezionare lettere di reclamo e messa in mora e cambiare città e ragione sociale per evitare i rimborsi, ma non possiamo più accedere a dati simili di negozi del 1980.
O meglio, una volta che non saranno più a disposizione i computer usati per la contabilità e la corrispondenza di piccoli negozi dell’era pre-Windows, leggere quei dati sarà impossibile.
E mentre le tavoletta di terracotta di Ea-Nasir sono ancora leggibili, un floppy disk ha una durata garantita di cinque anni, e molti floppy disk mai usati ma ancora sigillati si rivelano essere ormai inservibili.
È vitale quindi, per lo stesso motivo per cui digitalizziamo libri antichi, recuperare dati da macchine ormai desuete e spostare i più importanti in “teche” virtuali sempre nuove, lasciandosi dietro il maggior numero di esemplari possibili dei computer che hanno prodotto quei dati per le generazioni future.
Un giorno, del resto, come oggi studiamo le lettere di Ea-Nasir, i nostri discendenti potrebbero voler studiare i copioni in esterna di Bim Bum Bam o le lettere del Conad sotto casa.
Esiste inoltre, per concludere la conclusione, un motivo ben più utilitario e meno nobile, ma per gli appassionati altrettanto valido: esiste un ritrovato interesse per la retrotecnologia e il retrogaming e un numero ridotto di piattaforme adatte.
Molti dei computer di cui abbiamo parlato ad esempio possono far girare perfettamente i nuovi giochi per piattaforme vintage, come “PETSCII Robot per MS-DOS” e assolvere al loro compito in modo superiore ai tentativi, spesso costosi, di ricrearli con parti ancora disponibili, come il “Book 8088” di cui abbiamo recentemente parlato.
Vi rimandiamo all’articolo linkato per maggiori dettagli, ma se Book 8088 offre per 300 euro circa una riproduzione quasi (ma non del tutto) perfetta di un computer vintage con qualche sbavatura e imperfezione, un laptop vintage ripulito e riparato vi garantisce l’esperienza piena al costo dei pezzi usati per sistemarlo, di qualche pomeriggio del vostro tempo e tenendo qualcosa altrimenti destinato alla discarica lontano dalle fonti di inquinamento.
E, ammettiamolo, per molti dei portatili che avete visto nelle foto di questo articolo, lo fa con un discreto stile.
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