Covid-19 e plasma iperimmune – alcune importanti avvertenze
Tutto il gran vociare intorno al plasma iperimmune, tra discussioni sul campo e informazioni raccolte dagli enti preposti hanno suscitato la curiosità di voi lettori. Che adesso vorreste raccogliere informazioni anche voi.
Come al solito, le migliori informazioni provengono da Il Post, ormai medaglia d’oro del Giornalismo Consapevole Italiano, che giustamente ci parla di studi scientifici ancora in corso.
Non possiamo che ricordare come parlando di uno studio scientifico, i tag analisi in corso e precisazioni sono obbligatori a prescindere.
Citando un ormai datato anime passato in televisione anni fa
A quel tempo noi eravamo sicuri che fosse anche la verità della vita. Invece, il mondo reale è imperfetto e non esiste davvero una legge che sia in grado di spiegare tutto quanto, nemmeno il principio dello scambio equivalente.
Ogni studio scientifico, finché non perviene dalla teoria ad un risultato certo, ripetibile e verificabile in laboratorio è da intendersi come un modello, un tentativo di interpretare il reale cercando quella legge in grado di spiegare il tutto.
La teoria alla basa del Plasma Iperimmune
Esplorando il Corpo Umano lo ricordate tutti, vero?
E ricordate come veniva raffigurato il sistema immunitario? Un esercito di futuristiche navicelle, guidate da un comandante con le sembianze del bambino protagonista, Pierre, da adulto.
Individuato un patogeno, il Comandante Pierre ed i suoi sottoposti non avevano che da inquadrarlo nelle loro navicelle per liberare una flottiglia di sorprendenti robottini, gli anticorpi
E scagliarli a sconfiggere il patogeno, raffigurato da un sordido vermetto con la faccia da bullo per i virus, e da un nerboruto omone tutto blu per i batteri.
Problema: COVID19 è una malattia insidiosa. Il Colonnello Pierre, anzi tutti i Colonnelli Pierre della flotta del Sistema Immunitario di tutti gli esseri umani non hanno mai visto nella loro esistenza qualcosa come SARS-CoV-2.
Hanno sicuramente incontrato dei Coronavirus, che ci somigliano molto, e questa è una speranza. Ma SARS-CoV-2 no.
Sappiamo che da SARS-CoV-2, con l’aiuto di farmaci spesso host directed, spesso si guarisce. Si muore, specie in un organismo debilitato, ma in un organismo forte, e con farmaci che aiutano il corpo a resistere, e sovente regolano quell’attività immunitaria perché non diventi eccessiva (impedendo a Metro, capo dei robottini, riconoscibile dal collare dorato, di spaccare tutto mentre combatte il Vermetto Nocivo, sostanzialmente), alla fine Pierre e Metro prevalgono su SARS-CoV-2 portando alla sua sconfitta, il cosiddetto Tampone Negativo.
Quindi nel sangue dei malati guariti restano in circolo Metro e i suoi fedeli robottini seguaci, gli anticorpi costruiti in gran fretta da Pierre.
Ma dicevamo: non tutti i malati riescono a costruire degli anticorpi in tempo.
Quindi la scelta successiva, che come ci spiega Il Post esiste nella medicina dai tempi dell’Influenza Spagnola è prelevare quantità di plasma, la parte di sangue dove gli anticorpi proliferano, e infonderli nel corpo di un malato.
La guarigione da COVID-19 avviene quando il sistema immunitario impara a riconoscere il coronavirus, impedendogli di continuare a replicarsi nell’organismo facendo danni. Nel periodo della convalescenza, la quantità degli anticorpi prodotti rimane consistente in diversi pazienti, e questa condizione può essere sfruttata per infondere queste difese sviluppate in altri pazienti ancora malati.
Il meccanismo in breve
Immaginate quindi, ora che avete gli strumenti, il Colonnello Pierre e la sua fidata assistente, il Tenente Kira che riescono, dopo aver studiato con attenzione SARS-CoV-2, a programmare Metro ed i suoi assistenti meccanici per vincere.
Metro e i robottini sono lì, in un campo di battaglia ormai svuotato a godersi il trionfo quando, improvvisamente si ritrovano trasportati in un altro corpo. Uno dove Pierre e Kira non sono ancora riusciti a far assemblare alle loro navicelle nuovi Metro ed i loro assistenti, e quindi SARS-CoV-2 è in vantaggio.
Metro ed i suoi assistenti meccanici, ovvero gli anticorpi, continueranno a fare quella che è l’unica ragione della loro esistenza: continuare a combattere la stessa battaglia che avevano vinto giusto poco tempo prima, cercando di portarla a compimento anche questa volta.
Cosa che richiede, naturalmente, che i donatori di plasma abbiano anticorpi in grande quantità (se prelevi il povero Metro da solo, e lo butti davanti ad un esercito di SARS-CoV-2, sostanzialmente è il suo funerale…), che siano guariti, perché altrimenti trasporti altri esemplari di SARS-CoV-2 pronti alla battaglia, ed altri limiti posti per la sicurezza del paziente.
I convalescenti vengono sottoposti a un test del sangue per valutare la loro carica di anticorpi e, sopra una certa soglia, vengono dichiarati idonei per la donazione. Il loro sangue viene prelevato e poi trattato per isolare il plasma dal resto, e assicurarsi di renderlo sicuro inattivando le sostanze che potrebbero rivelarsi dannose per il ricevente. In media per ogni sacca di sangue prelevata si riescono a trattare due pazienti, ma molto dipende dalla carica complessiva degli anticorpi presenti nel plasma e dalle condizioni dei malati che vengono trattati.
A fine marzo, il Centro Nazionale Sangue dell’Istituto Superiore di Sanità ha approvato il protocollo sperimentale proposto dal Policlinico di Pavia, sulla base di alcune condizioni per garantire la sicurezza dei donatori e dei riceventi. La donazione può essere effettuata solamente da individui la cui guarigione dalla COVID-19 sia stata certificata da due test di laboratorio (tramite tamponi) negativi effettuati in due giorni consecutivi. Ogni ricevente può inoltre ricevere un massimo di tre trasfusioni in 5 giorni, ricevendo ogni volta fino a 300 ml di plasma, poco meno dell’equivalente di una lattina di Coca-Cola.
Una cura efficace, non LA cura
Superata la fase di emergenza, le trasfusioni non potrebbero essere una soluzione definitiva e affidabile contro la COVID-19. L’identificazione di medicinali più adatti per rallentare la replicazione del coronavirus, lo sviluppo di nuovi farmaci e in prospettiva di un vaccino sono considerate le soluzioni più indicate per tenere sotto controllo la pandemia, ma richiederanno ancora tempo prima di essere disponibili.
Ci ricorda il Post. I limiti citati infatti rendono il Plasma assai più raro di quello che sembra. Il numero di guariti da COVID19 è ancora inferiore al numero dei malati totali, il che rende il Plasma una risorsa limitata e preziosa, che bisognerà quindi “rinforzare” fornendo aiuto al sistema immunitario, con medicinali efficaci contro SARS-CoV-2 o il tanto desiderato vaccino che consentirà al sistema immunitario locale di produrre anticorpi in gran quantità, con anticipo e senza aiuti.
Il parere dell’AVIS
«A seguito di messaggi che circolano nelle ultime ore su WhatsApp e Facebook, si vuole precisare e ribadire quanto già evidenziato relativamente alla terapia con plasma iperimmune contro il Covid-19.
Si è dimostrato che in molti casi il plasma è efficace per gli anticorpi presenti nei soggetti guariti, ma con il plasma prelevato si somministrano anche sostanze non necessarie per il trattamento di determinate patologie. Quindi, rappresenta una terapia sperimentale ed emergenziale già nota per altre malattie.
Serve ora capire quali sono gli anticorpi efficaci, isolarli, purificarli e poi somministrare solo quelli in dose controllata e farmacologica. Come avviene per le immunoglobuline antitetaniche, ad esempio.
È comunque importante sottolineare che questo approccio ha dimostrato che il plasma contiene degli elementi che funzionano contro il virus e lo neutralizzano.
AVIS, insieme al mondo scientifico e al Centro Nazionale Sangue, sta seguendo con molta attenzione l’evoluzione e si sta adoperando per studiare queste opportunità. Al momento, però, è importante mantenere la calma e informarsi sempre attraverso fonti attendibili e non creare false aspettative.
Appena conosceremo il test che meglio è in grado di rilevare e dosare questi specifici anticorpi e non appena le aziende di plasmaderivazione saranno in grado di produrre le immunoglobuline specifiche, coinvolgeremo la generosità dei donatori per la plasmaferesi».
I risultati fin’ora
Secondo il portale della Fondazione Veronesi
I risultati registrati tra i primi dei 49 pazienti coinvolti nello studio sono incoraggianti. Il plasma dei pazienti convalescenti – definito iperimmune – starebbe funzionando come auspicato. «Il plasma delle persone guarite dall’infezione contiene gli anticorpi specifici contro il virus Sars-CoV-2 – dichiara Giancarlo Maria Liumbruno, direttore del Centro Nazionale Sangue -. Questi, una volta infusi nei pazienti sintomatici, determinano una rapida risposta terapeutica». A pensarci bene, dunque, un gesto di grande solidarietà compiuto da chi ha vinto la battaglia può salvare la vita a chi è invece nel bel mezzo del conflitto. Secondo Giuseppe De Donno, primario del reparto di pneumologia dell’ospedale Carlo Poma di Mantova, «il plasma, in questo momento, è l’unico farmaco specifico contro Covid-19». Nella pratica, nell’attesa di un vaccino che non potrà arrivare prima di un anno, si fa di necessità virtù. «Inoculando gli anticorpi dei guariti nelle persone malate è come se somministrassimo l’analogo di un vaccino», aggiunge lo specialista
Ma anche in caso gli studi portino a buoni risultati, la Fondazione ci ricorda un ulteriore collo di bottiglia che potrebbe ridurre il Plasma disponibile
Nel caso in cui i primi risultati dovessero essere confermati, la richiesta di donatori di plasma iperimmune è destinata a crescere nelle prossime settimane. «Il gesto – precisa Liumbruno – dovrà comunque rimanere volontario e non remunerato». Al momento, negli ospedali lombardi, si stanno selezionando gli uomini maggiorenni con alle spalle una diagnosi di Covid-19 (con tampone), guariti (con doppio tampone negativo), asintomatici (da almeno due settimane) e idonei alla donazione di sangue. Una volta individuati e registratane la disponibilità, il personale sanitario li sottopone a un nuovo tampone e al test sierologico: passaggi necessari per avere la conferma che l’infezione è ormai alle spalle. Più serrato del solito è anche il meccanismo dei controlli a valle della donazione, che in questo caso prevede la ricerca degli anticorpi diretti contro i virus dell’epatite A ed E e del Parvovirus B-19. Oltre, naturalmente, al dosaggio degli anticorpi neutralizzanti per Sars-CoV-2. L’obbiettivo è quello di reclutare sempre più ex pazienti, per far fronte a un possibile aumento della richiesta (vincolato al consolidamento delle prime evidenze). Le immunoglobluline, con un’efficacia protettiva di 3-4 settimane, potrebbero rappresentare una soluzione provvisoria in attesa dell’esito delle sperimentazioni degli altri farmaci e di un vaccino. Al momento, in nessun centro trasfusionale italiano vi è la possibilità per tutti gli altri donatori (non ammalatisi di Covid-19) di essere sottoposti a uno screening finalizzato a candidarsi come donatori.
Per evitare ulteriori problemi, e ricordando la provvisorietà sia del farmaco che dell’efficacia protettiva, che se per un vaccino sarebbe totale, per le immunoglobuline si fermerebbe ad un mese circa.
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